La vittoria kurda a Kobane preoccupa Erdogan. E la Turchia ha finora giocato un ruolo ambiguo

Da settembre la città era minacciata dall’autoproclamato e sedicente Stato Islamico. La lotta di contenimento della furia islamista dei jihadisti neo-califfali ha fatto 1800 morti e decine di migliaia di profughi. La Turchia vede con timore la nascita di una zona autonoma kurda nel nord della Siria, ma i kurdi hanno combattuto per la loro libertà e per salvare da un contatto diretto gli Stati del Mediterraneo, Italia in primis: non dimentichiamolo

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Istanbul – A Istanbul – e soprattutto nella zona kurda a sud-est della Turchia, a Diyarbakir e Hakkari, – migliaia di persone sono scese in piazza per festeggiare la vittoria dei kurdi contro le milizie dell’autoproclamato e sedicente Stato Islamico nella città di Kobane. Una città simbolo della resistenza contro la barbarie islamista, che dovrà ora essere mantenuta, e che è frutto sicuramente della coriacea forza dei peshmerga  kurdi – con un ruolo tutto da raccontare delle donne – supportati dai bombardamenti della Coalizione Internazionale raccolta attorno alla guida statunitense. 

Un fatto che dovrebbe rendere lieti tutti in Europa, ma che sembra essere stato al centro degli interessi di pochi, ossia di chi si rende conto di cosa avrebbe potuto (e potrebbe ancora) significare la caduta di questa città del ‘Kurdistan‘ siriano al confine con la Turchia.

Tra chi non si è felicitato della riconquistata libertà di Kobane c’è il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, il quale ha escluso dal novero delle possibilità la nascita di una regione autonoma kurda nel nord della Siria, in modo simile a quanto già realizzato nel nord dell’Iraq.

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Erdogan ha affermato, stante a quanto riportato dal quotidiano Hürriyet, “Noi non vogliamo una [ripetizione] della situazione in Iraq… Non possiamo accettare la nascita di una zona kurda autonoma nel nord della Siria“, su cui peraltro – abbandonando la tradizione diplomatica che impone di tacere sull’articolazione di un altro Stato – ha aggiunto: “riguardo a questo, dobbiamo conservare la nostra posizione, altrimenti il nord della Siria sarà come il nord dell’Iraq. Questa entità è fonte di grossi guai per il futuro“. Del resto, basta capire la cartina sovrapposta del ‘Kurdistan’ e dei Paesi che ne sono interessati per capire che quella kurda sarà una questione da affrontare con la massima serietà e fermezza. 

Da settembre 2014, la città di Kobane – alla frontiera con la Turchia – è stata teatro di una lotta senza quartiere (letteralmente) fra kurdi e le milizie dell’autoproclamato e sedicente Stato Islamico. Nella guerra sono intervenuti anche peshmerga provenienti dall’Iraq, ma un ruolo importante di copertura aerea l’ha fornito la Coalizione riunitasi contro lo Stato Islamico, che ha bombardato con decine di missioni al giorno avvalendosi dei velivoli statunitensi, francesi, britannici, giordani e di altri Paesi aderenti a questa forza internazionale che ha il fine di sconfiggere i jihadisti. Finora sono morte più di 1800 persone, delle quali un migliaio appartenevano all’esercito jihadista.

Decine di migliaia di kurdi – insieme a vecchi, donne, bambini – sono fuggiti rifugiandosi in Turchia. Lunedì si è diffusa la notizia della vittoria e la città è per la quasi totalità sotto il controllo dei peshmerga. Nelle città kurde i festeggiamenti sono stati tali da produrre la reazione della polizia turca, che ha usato gas lacrimogeni e idranti contro i manifestanti kurdi che premevano sul posto di frontiera Mursitpinar per passare il confine e festeggiare con i ‘connazionali’, dopo oltre quattro mesi d’assedio.

È in dubbio che in tutto questo tempo la Turchia di Erdogan abbia avuto una posizione ambigua: ha frenato l’entrata dei profughi da Kobane; ha rifiutato di partecipare alla Coalizione Internazionale contro i jihadisti in Iraq e in Siria; ha perfino sfidato la reazione degli americani, supportando con forniture militari gli estremisti islamici ‘neocaliffali’.

Alla fine, sotto le pressioni degli Alleati – anche sulla scorta di fotografie pubblicate dai kurdi sui social network – Ankara ha dovuto deglutire e accettare di ospitare i profughi e ha permesso il passaggio sul suo territorio di un contingente simbolico di kurdi irakeni che andavano a rafforzare le difese a Kobane.

La Turchia tuttavia teme che la vittoria kurda nel Nord della Siria provochi delle velleità di indipendenza della zona kurda nel Paese.  Per questo Erdogan ostacola la vittoria di Bashar Assad in Siria – pragmaticamente favorevole a una zona autonoma kurda, come già avviene in Iraq, e considera “terroristi” i partiti kurdi della Turchia che sostengono autonomia o indipendenza.

In Turchia vi sono almeno 15 milioni di kurdi, che prima o poi rifaranno sentire la propria voce, ‘scontando’ questa volta la simpatia di una parte maggioritaria dell’opinione pubblica occidentale. 

(Credit: AsiaNews)  © RIPRODUZIONE RISERVATA

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