Kayla Jean Mueller, una vita per i bambini e per le persone in difficoltà

Una storia emblematica della migliore gioventù occidentale, che pensa di poter cambiare il mondo con l’amore. La differenza (profonda) con le pseudo-volontarie italiane Greta e Vanessa: la neutralità

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Verona – Se la notizia della morte di Kayla Jean Mueller sarà confermata, bisognerà capire il valore esemplare di questa ragazza di 26 anni, che aveva fatto una scelta controcorrente fin da piccola: spendersi per gli altri, per le persone in difficoltà, cui aveva deciso di dedicare la propria vita. In particolare, i bambini erano il cruccio di questa americana dell’Arizona

Il suo decesso durante un bombardamento degli F-16 giordani sulla Siria, nei pressi di Raqqa, ha posto fine alla sua vita, ma non all’anelito di libertà dal bisogno che attraversa tante generazioni di occidentali, 20150206-Kayla-Jean-Mueller-TW-320x450giovani di varie generazioni, giovani dentro, che vorrebbero solo un mondo migliore.

Lei, Kayla, aveva già scelto a 15 anni di spendersi per un mondo migliore, dedicandosi ai bambini in fuga dalle guerre, ai malati di Aids, alle ragazze madri. Verso la Siria si era mossa nel 2012, prima sul confine turco, dove aiutava le famiglie in fuga dalla guerra con l’organizzazione umanitaria ‘Support to Life’; poi ad Aleppo, dove aveva iniziato a lavorare con Medici Senza Frontiere nell’ospedale spagnolo, e dove fu rapita il 4 agosto 2013.

Già negli anni del liceo Kayla aveva cominciato a fare la volontaria per Save Darfur Coalition. Scriveva lettere ai membri del Congresso per sensibilizzarli sul genocidio nel Sud del Sudan. Nel 2009, dopo la laurea alla Nothern Arizona University, Kayla decise di andare in India a fare volontariato in un orfanotrofio e a insegnare inglese ai rifugiati tibetani.

Tornata in Arizona nel 2011, fece la volontaria in una casa famiglia e in una clinica per malati di Aids. Poi si trasferì in Francia per fare la ragazza alla pari e imparare il francese, in vista di una sua nuova missione in alcuni Paesi africani, dove trascorse qualche mese. Infine la decisione di andare in Siria, che si rivelerà fatale.

Chi l’ha rapita non vale un centesimo del valore umano di questa giovane donna idealista e buona, protesa agli altri, sofferenti con differenti dolori in corpore et animo. Tanto simile a giovani italiani ed europei che si spendono per gli altri senza riposo. 

Si potrebbe obiettare: ma anche Greta Ramelli e Vanessa Marzullo sono andate in Siria per fare del bene, per i bambini che soffrono, per la gente che patisce le pene di una guerra feroce! Forse l’intenzione di base era anche analoga in Greta, Vanessa e Kayla, ma c’è un piccolo particolare che ne ha differenziato la sorte e il valore morale: la neutralità.

Greta e Vanessa non sono mai state neutrali, hanno preso posizione per la parte ritenuta vittima, ma essa stessa carnefice, la parte che le ha tradite. Se avessero avuto più conoscenza delle cose mediorientali avrebbero capito che niente è definito nelle questioni complesse, difficile distinguere il bianco dal nero, ma forse si può solo percepire alcune gradazioni di grigio tendente al nero della morte.

Kayla è stata sempre partigiana solo della sofferenza, la sola fazione di cui ha preso su di sé il peso è stata quella del dolore. Questo rende questa caparbia cavaliera del rischio e del bene dell’Arizona diversa da Greta e Vanessa (per le quali abbiamo sincera gioia di poter loro rivolgere ogni rimprovero al limite della contumelia: sono qui, sane – forse non del tutto – ma salve); questo rende Kayla un’eroina della libertà dal bisogno e dal dolore

Un esempio assoluto per chi pensa che per fare del bene basti solo volerlo: perché si deve capire come volere il bene altrui, per renderlo esemplare, equidistante e inattaccabile. Un bene partigiano solo della sofferenza. 

Ciao Kayla, e grazie.

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