Daniele Bosio, il Terzo Maro’. Renzi e Gentiloni, se ci siete battete un colpo!

Da dieci mesi il diplomatico italiano, tarantino di nascita, vive un incubo parallelo a quello dei suoi corregionali, sottufficiali della Marina Militare Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. Arrestato con un’accusa tanto infamante, quanto non provata (sospetti abusi su minori e traffico di bambini) a Manila, il suo calvario giudiziario ha mosso migliaia di persone che possono invece provare chi davvero egli sia: un benefattore dell’umanità, forse un po’ ingenuo, un servitore dello Stato che onora la migliore italianità. Un Comitato Internazionale è stato costituito per raccogliere queste testimonianze, ma su tutto si erge il vergognoso silenzio del Governo italiano, sia sotto il regno di Nostra Signora della Farnesina by Veltroni, Federica Mogherini, che sotto Paolo Gentiloni, il quale da settimane è sollecitato sui social media dalla famiglia Bosio e dagli amici. Senza rispondere. Oggi il Comitato Internazionale ha diffuso una lettera aperta a Gentiloni, che è chiamato a rispondere – IL TESTO DELLA LETTERA

Daniele Bosio intento a intrattenere alcuni bambini in uno dei mille posti da cui provengono gli attestati di stima e di riconoscenza per la sua opera di benefattore disinteressato (foto dalla pagina Facebook "Page for Daniele Bosio)
Daniele Bosio intento a intrattenere alcuni bambini in uno dei mille posti da cui provengono gli attestati di stima e di riconoscenza per la sua opera di benefattore disinteressato (foto dalla pagina Facebook “Page for Daniele Bosio)

Roma –  Oltre 10 mesi fa, il 5 aprile 2014, Daniele Bosio – ambasciatore italiano in carica in Turkmenistan – veniva arrestato nei pressi di Manila, dove si trovava in vacanza, con un’accusa infamante e terrificante: abuso e di traffico di minori.

Demmo la notizia (qui), riportando che la Farnesina si era «attivata per “chiarire le circostanze del fermo” e ha assicurato “la massima trasparenza e rigore sul caso“». Tuttavia, tempo dopo si seppe che non era stato proprio così, perché nell’attivazione del servizio diplomatico in loco (Manila, capitale delle Filippine) molti furono i disservizi, provate le lacune del personale addetto all’ambasciata italiana e perfino all’Unità di Crisi del Ministero degli Esteri. Come mise in rilievo il senatore Lucio Barani (Gruppo Autonomie e Libertà – Gal), in un’interrogazione parlamentare rivolta il 25 settembre 2014 alla ministra degli Esteri pro tempore, Federica Mogherini (Nostra Signora della Farnesina by Veltroni) che però non ebbe risposta alcuna.

Scrisse Barani: «Bosio ha tentato di contattare l’ambasciata il cui numero di emergenza, nonché quello personale dell’ambasciatore e del vicario, non hanno risposto per 18 ore». E ancora: «l’unità di crisi gli ha fornito il numero di un ex capo della cancelleria consolare, cessato dal servizio da oltre 2 anni», ma  «una volta riuscito a prendere contatto con l’ambasciatore, e spiegato la situazione, Bosio ha chiesto l’assistenza dell’ambasciata per il reperimento di un avvocato difensore, nella fase cruciale che avrebbe potuto portare alla convalida dell’arresto. In questa fase così fondamentale, l’ambasciata ha ancora una volta drammaticamente tardato un’intera giornata nel reperire un legale e soprattutto ne ha proposto uno totalmente inadeguato che non solo non era specializzato in diritto penale ma non ha nemmeno ritenuto opportuno recarsi in tribunale per l’udienza di convalida dell’arresto; questo stesso legale si è limitato a consigliare per telefono a Bosio, proprio nel momento delicato e concitato dell’udienza, di firmare un documento, dai contenuti incomprensibili per uno straniero, con il quale rinunciava alla scarcerazione immediata e ai propri diritti di difesa e gli apriva immediatamente le porte del carcere. Una stanza di 30 metri quadrati con oltre 80 persone, alcune affette da gravi malattie, incluse la tubercolosi e l’AIDS, pressoché senza ricambio d’aria, a temperature torride e tassi di umidità tropicali. Vi è rimasto 40 giorni fino al ricovero ospedaliero seguito all’insorgere di gravi problemi renali causati proprio dalle terribili condizioni di detenzione» (per leggere per intero l’interrogazione del senatore Barani, cliccare qui).

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Il giorno successivo, la ministra degli Esteri Mogherini sospese l’ambasciatore Bosio (con sospensione dello stipendio, ovviamente), con una decisione tanto veloce quanto incomprensibile, ma perfettamente innestata nel filone giustizialista senza fondamento (descritti analiticamente qui). Di assoluta gravità per almeno tre motivi:  contesto allora non chiaro (e ora molto chiaro: per inconsistenza delle accuse!), senza una precisa formulazione ufficiale delle accuse (che ancora non sono state formulate), in assenza di un processo e di una condanna.

In più, rilevavamo che se fosse stato provato il grave reato di Bosio – di certo non un colpo di testa, ma probabilmente ultimo episodio di una lunga ‘carriera’ di pedofilo coperto dall’immunità diplomatica – questo avrebbe significato l’esistenza di una grave falla nei controlli sulla lealtà e fedeltà ai valori costituzionali di legalità del personale diplomatico da parte dei Servizi di Informazione e Sicurezza, che avrebbero mancato di scoprire il ‘vizietto’ del diplomatico tarantino, innescando l’iter di segnalazione interna, di trasmissione alla polizia e all’autorità giudiziaria dell’ambasciatore criminale.

Invece, di tutto questo non c’era traccia, né poteva essercene, perché da tutto il mondo – dal Giappone agli Stati Uniti, dal Venezuela a molti Paesi africani, all’Europa – sono piovute testimonianze dirette di persone che sono state beneficiate nei modi più disparati da un uomo che del far bene agli altri ha fatto la propria missione, ‘sfruttando’ (in senso assolutamente commendevole) la propria posizione professionale, con cui ha rappresentato la migliore italianità nel mondo.

Come forma di particolare ringraziamento, il Governo Renzi praticamente se ne è fottuto (usiamo un grazioso eufemismo, confidiamo nella vostra comprensione sul perché), sia con Mogherini alla Farnesina, che con il successore, Paolo Gentiloni, il quale non solo non ha risposto alla seconda interrogazione parlamentare presentata lo scorso 27 gennaio – questa volta a firma della deputata Fucsia Nissoli Fitzgerald, membro della III Commissione della Camera dei Deputati – Affari Esteri e Comunitari (per leggerla cliccare qui) – ma ha anche fatto finta di niente di fronte alle ripetute sollecitazioni pervenutegli attraverso i social media dai familiari di Bosio, dagli attivisti del Comitato Internazionale costituito a sostegno del diplomatico italiano (e perfino da chi vi scrive).

Dietro il silenzio del Governo, ieri la famiglia e gli amici di Daniele Bosio – riuniti nel Comitato Internazionale di sostegno costituistosi – hanno preparato una lettera, che oggi diffonderanno a tutti gli organi di stampa e in cui chiedono a Paolo Gentiloni di occuparsi del “caso Bosio”. Nell’appellarsi al titolare della Farnesina (e, indirettamente al suo dante causa: Matteo Renzi), nella lettera non si fa menzione delle inefficienze, delle inconcludenze, delle lacune mostrate dall’ambaciata italiana a Manila e, in particolare, dall’ambasciatore Massimo Roscigno, che forse dovrebbe essere chiamato a rispondere a qualche domanda sia dal ministero degli Esteri che dalla procura di Roma, viste le notizie trapelate sulla stampa nazionale circa la gestione non del tutto trasparente dei fondi disponibili in loco.

Perché nella lettera tutto questo non è evidenziato? Probabilmente per amore di Patria, per evitare di gettare ulteriore fango sulle Istituzioni e sui funzionari pubblici che hanno portato disdoro alle stesse

Risponderà Gentiloni alla lettera (che alleghiamo alla fine dell’articolo)?

Dubitiamo fortemente, ma mai dire mai. Suggeriamo però ad Andrea Bosio – fratello di Daniele – di non arrendersi e di puntare sull’attenzione del colle più alto di Roma: il Quirinale. Il nuovo inquilino sembra l’uomo adatto per affrontare casi spinosi, con rabbia calma. Andrebbe appellato. 

Quel che però si può già dire è che Daniele Bosio rischia di diventare il Terzo Maro’. Al Governo e alla maggioranza di sinistra che lo sostiene devono essere antipatici i servitori dello Stato pugliesi: l’elettorato della Puglia se ne ricordi alla prima occasione utile.

Così, tanto per non passare da fessi…

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Raccolta di testimonianze su Daniele Bosio: qui

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LETTERA APERTA AL MINISTRO GENTILONI

Il Comitato Internazionale di sostegno a Daniele Bosio* chiede al Ministro Gentiloni di occuparsi del caso Bosio, mostrando che il governo non abbandona un cittadino italiano, trattenuto nelle Filippine da quasi un anno e ancora in attesa di processo.

Daniele Bosio è stato arrestato nell’aprile 2014 sulla base di sospetti, per aver violato una legge filippina raramente applicata che vieta a qualsiasi adulto di trovarsi in compagnia di un minore senza un legame di parentela fino al quarto grado. Le testimonianze dei bambini delle baraccopoli con cui si trovava Daniele, che raccontano come dopo averli sfamati e rivestiti abbia offerto loro un pomeriggio in un parco acquatio, sono pubbliche e rivelano la gratitudine dei bambini per i quali Daniele ha mostrato, come sempre, massimo rispetto.

Daniele Bosio si trova dunque da quasi un anno ‘sequestrato’ nelle Filippine dopo aver subito una carcerazione preventiva e passato 40 giorni in una cella di 30 mq con altri 80 detenuti in condizioni che gli hanno causato gravi problemi di salute. Egli si trova senza stipendio e neppure un documento d’identità (il passaporto gli è stato sequestrato dalle autorità filippine) ed è ancora in attesa dell’inizio del processo malgrado la libertà su cauzione gli sia già stata accordata sulla base dell’assenza di prove determinanti di colpevolezza. Come la stessa stampa italiana ha riportato, il processo langue e l’accusa – complice la scarsa efficacia del sistema giudiziario locale– ha assunto una strategia dilatoria. Il caso tende dunque a complicarsi ogni giorno di più e urgono interventi decisi da parte del governo italiano. A chiedere un cambio di atteggiamento da parte dell’Italia, anche l’ambasciatore Sergio Romano, che non ha dubbi: «Siamo stati accanto ai due marò quando il governo indiano li ha accusati di omicidio e ci siamo attenuti al principio della presunzione di innocenza. Credo che dovremmo dare prova di coerenza e fare altrettanto nel caso di Daniele Bosio».

Testimonianze da tutto il mondo sono giunte al Comitato* di cui una selezione è disponibile sulla pagina FB “Page for Daniele Bosio”: Page for Daniele Bosio (ma anche qui, ndr)

Il Comitato confida in un riscontro rapido ed effettivo da parte delle autorità competenti.

*Il Comitato conta più di 1000 persone, tra cui autorevoli membri di entità governative e non governative che sostengono l’innocenza di Daniele Bosio.