Naufragio Costa Concordia: Schettino condannato a 16 anni. Costa Crociere risarcirà famiglie
Si chiude il primo grado del processo iniziato il 17 luglio 2013, con quasi 200 testimoni. Il giudice Puliatti non ha riconosciuto esistente il pericolo di fuga del comandante: “ha dimostrato la volontà di difendersi nel processo“. No attenuanti generiche, sì aggravanti (ma non la volontarietà, colpa cosciente, nell’omicidio colposo). Nessuna misura di custodia cautelare in carcere
Grosseto – Francesco Schettino è è stato condannato a 16 anni di reclusione e a un mese di arresto per il naufragio della Costa Concordia. Lo ha stabilito la corte del tribunale di Grosseto nella sentenza di primo grado. La Costa è stata condannata al risarcimento delle famiglie delle vittime.
La sentenza è stata letta dal presidente del collegio giudicante Giovanni Puliatti alle 20 in punto, dopo circa 7 ore e mezzo di camera di consiglio. La Procura aveva chiesto una pena di 26 anni di reclusione. Il Tribunale ha inflitto a Schettino 5 anni per il reato di disastro colposo, 10 anni per gli omicidi plurimi colposi e 1 anno per il reato di abbandono di persone minori o incapaci, per un totale di 16 anni di reclusione a cui è stato aggiunto un mese di arresto.
Il Tribunale non ha invece riconosciuto, come richiesto dalla pubblica accusa, l’aggravante del naufragio colposo e neppure l’aggravante della colpa cosciente per gli omicidi plurimi colposi. Nel dispositivo della sentenza, i giudici hanno anche interdetto in perpetuo Schettino dalla possibilità di ricoprire pubblici uffici. La Corte ha stabilito anche per un periodo di 5 anni l’interdizione dalla carica di comandante.
Il Teatro Moderno di Grosseto, trasformato per l’occasione in un aula di tribunale, ha visto sfilare in 37 mesi centinaia di testimoni, una trentina di consulenti, oltre 50 mila pagine tra documenti e ricostruzioni, per una serie infinita di udienze. Le tappe della sciagura iniziano dall’impatto della nave sugli scogli delle Scole all’Isola del Giglio, alle 21,45 del 13 gennaio 2012. Rocce affilate come rasoi procurano uno squarcio di 70 metri nella fiancata sinistra dello scafo.
Quella che doveva essere una tranquilla crociera, si trasformò in breve in un incubo per gli oltre 3200 passeggeri. A modificare la rotta e a causare l’incidente, il rito dell’inchino, un passaggio sotto costa per rendere omaggio all’isola. Ma la manovra ravvicinata si rivelò fatale. La fiancata della nave si squarciò, imbarcò acqua e si generò un black-out. Tra omissioni, sottovalutazioni, un incrocio di telefonate e tanta paura, iniziarono le operazioni di evacuazione. Lo specchio d’acqua antistante il disastro si trasformò in un gigantesco andirivieni di aerei, elicotteri, navi. Un soccorso cui parteciparono tutti i mezzi disponibili nel raggio di poche miglia dall’incidente, militari e civili.
Una gigantesca operazione di salvataggio cui parteciparono anche con grande generosità gli abitanti dell’Isola del Giglio. In poco tempo si resero conto dell’accaduto e case, negozi, chiese aprirono le proprie porte per portare un pizzico di umanità in una tragedia immane. Ecco allora arrivare vestiti, cibo e medicine a chi, appena sbarcato, di colpo si trovò a non avere più niente.
Schettino, nel frattempo, da comandante gallonato, diventò in quell’anno anche uno degli uomini più citati e non solo in Italia. A partire dalla frase che fece il giro del mondo in poche ore: “Schettino è un ordine, torni a bordo, cazzo!“. Era la voce alterata al telefono del capitano di Fregata Gregorio De Falco, l’ufficiale che la sera di quel tragico 13 gennaio era al comando della sala operativa della capitaneria di porto di Livorno.
Il secco e perentorio ‘invito’, in breve si trasformò nel tormentone più cliccato della rete. Ma lo scambio telefonico quella notte fu ancora più drammatico. Quando dalla sala comando della capitaneria venne accertato che Schettino non era più a bordo, De Falco gli disse: “Guardi Schettino che lei si è salvato forse dal mare ma io le faccio passare l’anima dei guai“. Una conversazione il cui epilogo è altrettanto noto con De Falco che intima a Schettino: “Vada a bordo, è un ordine. Lei non deve fare altre valutazioni, ha dichiarato l’abbandono nave, adesso comando io, lei vada a prua, risalga sulla nave e vada a coordinare i soccorsi. Ci sono già dei cadaveri“. Eppure il comandante aveva accumulato negli anni una grande esperienza.
Ora i giudici, attraverso la sentenza, hanno messo la parola fine alla vicenda, almeno nella prima puntata. Schettino, condannato a 16 anni e un mese di reclusione, farà appello. Resta il fatto che la Corte non ha ritenuto di accogliere le richieste della pubblica accusa. Per non parlare dei toni con cui i pubblici ministeri si espressero durante la requisitoria, più adatti a tribunali jihadisti che a un Tribunale di una Repubblica democratica come l’Italia. Ma questa è davvero un’altra storia.
Il processo è iniziato davanti al Tribunale di Grosseto il 17 luglio 2013. Quasi 200 sono stati i testimoni, i consulenti e periti che sono sfilati durante le udienze nel corso di più di un anno e mezzo sul palco del teatro Moderno dove è stata allestita l’aula di giustizia.
(Credit: AGI) © RIPRODUZIONE RISERVATA
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