Il Governo Renzi mette in pericolo la sicurezza nazionale

Non un generico interventismo si richiederebbe all’esecutivo, ma il compimento di atti precisi richiesti dallo scenario di minacce sull’Italia di fronte alle Nazioni Unite, all’Unione Europea (che è assente, tranne che con gli inviti al dialogo) e all’Alleanza Atlantica. La Costituzione impone la difesa della Patria. Dimissioni e Governo di unità nazionale

Verona – Le minacce dei jihadisti libici, confluiti nel sedicente Stato Islamico, verso l’Italia hanno cambiato il ruolo del Paese nello scenario globale di quella che Papa Francesco ha chiamato la III Guerra Mondiale a puntate, ma che semmai sarebbe la IV Guerra Mondiale (come abbiamo spiegato qui).

Non si tratta di esprimere posizioni più o meno vagamente interventiste, perché chiunque abbia un minimo di sale in zucca sa che lo scenario strategico mediterraneo impone una gestione multilaterale della crisi per mera opportunità politica e perché costituisce un’occasione per aprire una nuova pagina nelle relazioni tra Italia, Egitto, Tunisia, Algeria e la stessa Libia. Intreccio di relazioni che possono portare al Paese opportunità, ma anche rischi. Benefici e costi da preventivare e minimizzare al massimo.

Dunque, non la guerra tout court, ma un’operazione intelligente di ripristino delle condizioni di vivibilità in Libia, in preda al fanatismo religioso che rischia di far fare al Paese un balzo indietro di 300 anni.

Il Governo Renzi è però titubante, inadempiente e omissivo sullo scenario internazionale.

Lo è stato nella vicenda che riguarda i due fucilieri di Marina, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, ‘sequestrati’ in India per l’omissione aggravata e continuata dell’attivazione dell’arbitrato internazionale prescritto dal Trattato di Montego Bay 1982 (UNCLOS), praticamente abbandonati dagli ultimi quattro ministri degli Esteri: Emma Bonino (per due volte alla Farnesina), Federica Mogherini e Paolo Gentiloni.

Lo è stato nella storia che coinvolge un diplomatico in servizio – Daniele Bosio – scaricato indecorosamente da Federica Mogherini come un delinquente (che, peraltro, se italiano dovrebbe essere assistito lo stesso), di fronte ad accuse tanto infamanti quanto infondate.

Infine lo è nella vicenda libica, che ha un precedente grave: la scandalosa gestione del flusso di immigrati irregolari nel nostro Paese, con oltre 150mila persone di cui non si sa più dove siano e cosa facciano (basterebbe che l’1% di loro fosse terrorista per avere due battaglioni di miliziani jihadisti pronti a combattere strada per strada).

Così, il presidente del Consiglio dei Ministri (Renzi), il ministro degli Esteri (Gentiloni), la ministra della Difesa (Pinotti) e il ministro delle Infrastrutture (Lupi) si sono macchiati di omissione in atti d’ufficio, cercheremo di spiegarvi perché.

La base del ragionamento è l’attacco, con uso di armi da fuoco, subito da una motovedetta della Guardia Costiera italiana il 15 febbraio scorso. Inizialmente, non era stato reso noto che l’unità fosse stata fatta oggetto di colpi di arma da guerra (AK47 Kalashnikov), circostanza emersa il giorno dopo (16 febbraio) e che getta una luce diversa sulle dichiarazioni di solidarietà alla Guardia Costiera da parte del ministro Lupi, che non poteva non sapere della circostanza.

Quell’atto è stato un atto di guerra, perché tutta l’azione del cosiddetto terrorismo internazionale jihadista è in realtà un’azione militare avviata da uno Stato in via di formazione, che ha l’obiettivo geopolitico di allargare la base territoriale della Ummah islamica attraverso la sottomissione definitiva del dār al-Islām (ossia i territori in cui vivono musulmani) e la conquista del Dar al-Harb (la terra degli infedeli e dei miscredenti: l’Occidente decadente e non solo).

Non è una minaccia, quella lanciata dal sedicente ‘califfato’: è una promessa. Lo è fin da quando Osama bin Laden lanciò la sua “Dichiarazione di Guerra” (DECLARATION OF WAR AGAINST THE AMERICANS OCCUPYING THE LAND OF THE TWO HOLY PLACES, qui) il 23 agosto 1996 dalle montagne dell’Hindukush.

Il cosiddetto terrorismo islamico è in realtà guerra, materia di militari, non affare di forze di polizia, law enforcement, ma di aviazione, marina, fanteria, operazioni speciali.

Se, quindi, da un barchino usato dai trafficanti di migranti vengono sparati colpi di arma da guerra, la risposta dello Stato attaccato deve essere di ordine militare. Bene hanno fatto i militari della Guardia Costiera a non rispondere al fuoco con le armi di bordo: così non hanno messo in pericolo la sicurezza dei migranti civili già trasbordati.

La reazione dello Stato – di fronte a un evidente ‘test di reazione’: seguiranno ben altri attacchi, purtroppo – avrebbe però dovuto essere decisa, inequivocabile, volta alla difesa della sicurezza nazionale.

Cosa avrebbe dovuto fare il Governo?

RICHIESTA DI RIUNIONE DEL CONSIGLIO DI SICUREZZA ONU – Anzitutto, il presidente del Consiglio dei Ministri (PCdM) avrebbe dovuto – tramite il ministro degli Esteri – chiedere una riunione urgente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, per le minacce alla sicurezza dell’Italia proferite per via multimediale dello sedicente Stato Islamico e di cui l’attacco alla motovedetta della Guardia Costiera è stato (repetita) solo un test. Insomma materia regolata dal Capitolo VII, articolo 39 dello Statuto dell’ONU (Azione rispetto alle minacce alla pace, alle violazioni della pace ed agli atti di aggressione), che recita: “Il Consiglio di Sicurezza accerta l’esistenza di una minaccia alla pace, di una violazione della pace, o di un atto di aggressione, e fa raccomandazione o decide quali misure debbano essere prese in conformità agli articoli 41 e 42 per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale”.

Non risulta che il Governo, tramite il ministro degli Affari Esteri Paolo Gentiloni, abbia indirizzato al Consiglio di Sicurezza dell’Onu una siffatta richiesta. Risulta piuttosto che tale richiesta sia pervenuta dalla Francia e dall’Egitto.

RIUNIONE CONSIGLIO NORD-ATLANTICO: CONSULTAZIONI SOTTO L’ART. 4 NATO – In seconda battuta, il Governo avrebbe dovuto richiedere la riunione urgente del Consiglio Nord-Atlantico a livello di ambasciatori, per valutare la situazione, in ossequio all’articolo 4 del Trattato istitutivo dell’Alleanza Atlantica (Trattato di Washington, 4 aprile 1949).

L’articolo 4 recita: “Le parti si consulteranno ogni volta che, nell’opinione di una di esse, l’integrità territoriale, l’indipendenza politica o la sicurezza di una delle parti fosse minacciata”.

Non risulta che il Governo, tramite il ministro degli Affari Esteri Paolo Gentiloni, abbia indirizzato al Consiglio Nord-Atlantico la richiesta di una riunione straordinaria dello stesso Consiglio.

MISURE DI SICUREZZA NAZIONALE CON ATTIVAZIONE DELLE FORZE ARMATE – Ancora, di fronte alle reiterate minacce verso l’Italia, il Governo avrebbe dovuto agire sotto il profilo tecnico-militare, cambiando anzitutto le regole di ingaggio (ROE, Rules of Engagement) della Marina Militare e della Guardia Costiera imegnate nel Mediterraneo.

In questo quadro, la prassi – ammessa dal diritto internazionale – avrebbe potuto e potrebbe spaziare dal blocco navale sulla Libia, per prevenire l’infiltrazione in territorio europeo di miliziani jihadisti, alla distruzione preventiva della flottiglia dei trafficanti di esseri umani nei porti libici, sulla falsariga di quanto si fece qualche anno fa nei porti albanesi per stoppare il flusso che sembrava ininterrotto.

La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino”, stabilisce in modo perentorio il primo comma dell’articolo 52 della Costituzione.

Viceversa il PCdM e i ministri Pinotti, Gentiloni e Lupi hanno messo – e mettono – in pericolo la sicurezza dei cittadini italiani. Per questo dovrebbero essere destituiti con la sfiducia parlamentare (lo ha chiesto ieri la Lega Nord), per manifesta incapacità di gestire una situazione così complessa.

Occorrerebbe un Governo di unità nazionale, presieduto da personalità indipendenti, competenti e in grado di attivare tutti gli strumenti di politica internazionale necessari ad affrontare al meglio una situazione così delicata.

In attesa che il primo barchino kamikaze si faccia esplodere su qualche unità della Marina o della Guardia Costiera e tutto il mondo politico pianga lacrime di coccodrillo di cui non si sente alcun bisogno.

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