Caos PD. Su Italicum Renzi mette sul banco la legislatura. Voto alla Kim Jong-un: 190 sì (su 190), Speranza si dimette

L’assemblea dei deputati del Partito Democratico finisce ‘a schifìo‘. La minoranza non partecipa al voto. Il capogruppo alla Camera si dimette: Sarò leale al mio gruppo e al mio partito, ma voglio essere altrettanto leale alle mie convinzioni profonde”. Bersani: “non sono disponibile ad andare avanti così”. Finisce con un voto all’unanimità che mette sulla stessa frequenza il Nazareno con  Pyongyang. Renzi brandeggia un’arma letale: la minaccia di elezioni anticipate, che per molti si tradurrebbe con perdita di ruolo e di indennità. Questioni di vile pagnotta – Le opposizioni scrivono a Mattarella: “fermare il golpe”

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Roma – L’Italicum va votato così com’è, senza modifiche. Lo ha ribadito il ‘premier’ Renzi all’assemblea dei deputati PD, legando la vita della legislatura alla legge elettorale. Le sorti del governo sono legate all’Italicum, “nel bene e nel male“, ha osservato. Insomma: prendere o lasciare. Se non si vota l’Italicum, si deve avere il coraggio di fare cadere il Governo, di sfiduciarlo.

L’assemblea del gruppo (dei deputati PD, ndr) – ha detto Renzi – confermi la linea della direzione nazionale. Coloro che chiedono un gesto di mediazione devono riconoscere che una mediazione c’è stata”. “L’assemblea del gruppo deve essere un luogo di dialogo”, ha aggiunto Renzi, ma per “chi ama il Libro della Giungla fuori di qui ci sono tanti Tabaqui”, ha sottolineato, con esplicito riferendosi allo sciacallo del romanzo di Kipling.

In Italia, ha poi spiegato, c’è un consociativismo istituzionale, un sistema di pesi e contrappesi che blocca il Paese. Parole che fanno accapponare la pelle, perché in tutti gli Stati democratici esistono pesi e contrappesi che garantiscono la democraticità del sistema istituzionale. Del resto, Renzi è esperto di comunicazione, di diritto costituzionale e di istituzioni politiche nulla sa: e si vede.

La legge elettorale dunque per Renzi non si tocca, anche se poi – con una classica manovra diversiva – il segretario del PD e presidente del Consiglio dei ministri ha aperto la porta alla possibilità di modifiche da introdurre alle riforme costituzionali.

Ora la nostra discussione deve essere depurata da toni di Armageddon”, ha osservato parlando dell’Italicum, mentre sulle riforme “sono possibili ulteriori modifiche”. Un classico modo per cambiare il piano della discussione, un metodo che Crocetta, presidente della Sicilia, ha sempre usato ogni volta che si è trovato con le spalle al muro per le critiche alle sue virtù amministrative: fuori dal cilindro ha sempre tirato fuori un coniglio antimafia, tema su cui nessuno osa contraddirlo in modo plateale (proprio per il tema delicato). A volte è stata la stessa mafia a correre in soccorso del ‘governatore siciliano’, con una busta minatoria (ovviamente con proiettili annessi).

Ecco, Renzi ha usato lo stesso metodo durante l’assemblea dei deputati PD. E in questo quadro, ha poi parlato delle prossime scadenze. Il 21 aprile il CdM approverà la prima parte dei decreti attuativi della delega fiscale. Il 16 giugno la restante parte. Il 27 aprile parlerà alla direzione del PD di quanto sta avvenendo negli enti locali – “io non abbandono i nostri amministratori” – mentre prima o poi si dovrà discutere di intercettazioni, soprattutto perché ora riguardano molti esponenti del PD.

La reazione della cosiddetta ‘minoranza’ del partito è stata dura. Anzitutto con le dimissioni di Roberto Speranza da capogruppo alla Camera. Credo con forza nel Pd e nel governo e sono perché le riforme si facciano, ma sulla legge elettorale è sbagliato andare avanti senza un pezzo del partito”, ha spiegato Speranza. “Non sono in condizione di guidare questa barca, perciò con serenità rimetto il mio mandato”, ha aggiunto. “Sarò leale al mio gruppo e al mio partito, ma voglio essere altrettanto leale alle mie convinzioni profonde”, ha spiegato l’ormai ex capogruppo PD alla Camera, motivando la decisione di dimettersi.

Non cambiare la legge elettorale – ha spiegato Speranza – è un errore molto grave che renderà molto debole la sfida riformista che il Pd ha lanciato al Paese. C’è una contraddizione evidente tra le mie idee e la funzione che svolgo e che sarei a svolgere nelle prossime ore”. Un atto di coraggio e di coerenza intellettuale, il gesto di Speranza, al quale non abbiamo lesinato critiche, ma del quale si deve apprezzare il polso fermo.

Bersani, “non sono disponibile ad andare avanti così” – “Non sono disponibile ad andare avanti in questo modo, qui parliamo non solo della legge elettorale ma del nostro sistema democratico”, che non sarebbe né presidenziale né parlamentare, e per ribadire determinazione ad andare avanti in questa battaglia ha poi precisato: “Non può esistere sempre un piano B“. Tradotto, sulla difesa dei principi democratici, gli interessi dell’Italia prevalgono su quelli di un partito, fosse anche il proprio partito, avrebbe detto Bersani, secondo fonti parlamentari, ribadendo la propria distanza dall’Italicum. “Se si sceglie di andare avanti in questo modo io non ci sto”, ha osservato. Sono intervenuti, tra gli altri, anche Matteo Orfini, presidente del partito, e Guglielmo Epifani, un altro ex segretario PD.

Da quanto emerso dal dibattito, Alfredo D’Attorre, bersaniano, ha mostrato la propria avversità a una legge che “introduce l’elezione diretta del premier”, contestando l’invocazione alla ‘disciplina di partito’ nel caso di una “modifica di sistema” come l’Italicu, Pippo Civati ha mantenuto fermo il proprio ‘NO’.

Serpeggia il sospetto che Renzi stia manovrando per separare gli ‘scissionisti’ da chi invece è propenso al dialogo, ma forse sarebbe meglio dire ‘è sensibile alla pistola puntata alla testa’, politicamente parlando ovviamente.

L’arma che Renzi potrebbe usare è infatti lo spettro delle elezioni anticipate: spettro nel senso di indennità che per alcuni, forse molti, scomparirebbe: trattasi dunque di mero pensiero per i rapporti con il proprio direttore di banca, piuttosto che per il destino del Paese, sulla via sudamericana nell’accezione peggiore del termine.

Lo ha evocato ieri Gianni Cuperlo questa minaccia velata. “Bisognerebbe smetterla di minacciare pistole e scendere tutti dal ring”, ha detto l’ex presidente del PD, che successivamente – discutendo con altri deputati – ha ammesso: “Spero non mettano la fiducia, perché dopo un tale strappo la legislatura è finita”.

Alla fine dell’assemblea dei deputati PD il colpo-di-scena (atteso, in realtà…): la minoranza del partito ha abbandonato l’assemblea, non partecipando al voto finale sulla riforma elettorale. Il voto è stato alla coreana (del Nord): unanimità, 190 voti su 190 per il compagno Kim Matteo Renzi, mentre i 120 oppositori hanno tolto le tende e forse stanno pensando di unirsi a chi intende chiudere questa esperienza di governo con molte ombre e poche luci.

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