La via indonesiana agli interessi nazionali. Jakarta colpisce la pesca illegale affondando 41 pescherecci stranieri

Colate a picco con dinamite imbarcazioni di Cina, Vietnam, Thailandia e Filippine. La linea dura scelta dal presidente Widodo rischia di riaccendere le tensioni nel Mar Cinese meridionale. Sembra lontano un accordo sui confini marittimi contestati. Non risulta alcuna autorizzazione delle Nazioni Unite…

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Jakarta (AsiaNews/Agenzie) – La Tentara Nasional Indonesia Angkatan Laut (Marina Militare indonesiana) con una operazione speciale ha affondato 41 navi straniere, accusate di pescare in modo illegale nelle proprie acque territoriali.

I pescherecci fanno parte delle flotte di Vietnam, Thailandia e Filippine, alcuni di essi sono stati distrutti con cariche di esplosivo e lasciate affondare. Tra le imbarcazioni affondate anche un peschereccio d’altura cinese che operava nel Mar Cinese meridionale. È la prima volta che una nave di Pechino viene colpita dalle autorità indonesiane.

Susi Pudjiastuti, ministro della Pesca, ha difeso la linea dura del governo: “Senza la continua lotta alla pesca illegale, non saremmo in grado di aumentare il benessere dei nostri pescatori”, ha detto, spiegando che “questo non è un atto di forza. Stiamo solo applicando le nostre leggi”.

La guerra alla pesca illegale è uno dei punti fermi della politica del presidente Joko Widodo che, fin dall’elezione – nell’ottobre 2014 – ha promesso di fare di tutto per interrompere una pratica che costa all’Indonesia (la più grande economia del sud-est asiatico) miliardi di dollari di mancate entrate ogni anno.

Secondo le autorità indonesiane, la pesca illegale straniera è colpevole anche dell’enorme danno all’ambiente causato dall’uso diffuso di esplosivi e cianuro, che distruggono gli habitat dei pesci.

La politica dura di Jakarta rischia di aumentare l’irritazione dei Paesi vicini, in una regione che da anni è teatro di scontri. Il Mar Cinese meridionale – oltre a essere fonte ricchissima di gas naturali e petrolio – è una delle zone più pescose del pianeta, fornendo il 10% del prodotto mondiale. Il pesce rappresenta una parte fondamentale dell’economia dei Paesi asiatici, visto che il 22% delle proteine assunte in media dalla popolazione provengono da lì (per il resto del mondo è il 16%). I cinesi mangiano in un anno quasi il doppio del pesce rispetto alla media mondiale (26,3 kg a persona, contro 16,9 kg).

Gran parte della popolazione costiera di Cina, Vietnam, Filippine e Indonesia pratica pesca di sussistenza. A causa dell’eccesso di pesca e dell’inquinamento dei litorali, i pescatori sono costretti ad lavorare più lontano, in zone dove i confini marittimi sono contestati. Incidenti su piccola scala accadono di continuo tra pescherecci cinesi, vietnamiti e filippini.

Nel 2013, grazie alla mediazione di Thailandia e Indonesia (e dopo un tentativo fallito nel 2002), negoziati tra Asean (Associazione delle nazioni del sud-est asiatico) e Cina hanno portato alla ripresa di un codice vincolante di condotta nella zona. In ogni caso, il raggiungimento di un accordo duraturo sembra incerto nel prossimo futuro. Bisognerebbe ricordare ai governanti italiani che al riguardo non risulta alcuna autorizzazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, a differenza di quanto richiesto dall’Italia per proteggere i propri confini con azioni mirate per impedire il traffico di migranti che rischia di mettere in crisi la pace sociale in Italia.

(Credit: AsiaNews) © RIPRODUZIONE RISERVATA

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