La fine dell’Unione Europea: il funzionalismo è morto. La necessità dell’unità europea (federale) è più viva che mai

Il referendum di oggi non sarà risolutivo per le sorti della Grecia in senso stretto, ma deve cambiare il paradigma di sviluppo delle istituzioni comuni, riagganciando il tracciato ideale delineato dai Padri Fondatori del processo di integrazione europea, che pensarono a un espediente momentaneo (il funzionalismo), per fare decantare le tensioni che avevano generato nei precedenti 150 anni morti e distruzioni nell’intero Continente e avviare prima possibile il processo di costituzionalizzazione delle istituzioni comunitarie. Solo i nani politici e storici che ci hanno governato negli ultimi 15 anni possono pensare alla mole di baggianate storiche messe finora in campo: dal pareggio di bilancio all’austerità declinata a uso e consumo di un solo Paese, la Germania egemone

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L’improvvido referendum indetto per oggi dal primo ministro greco Alexis Tsipras non è a favore o contro l’Euro; non è a favore o contro la permanenza della Grecia nell’Unione Europea; non è contro o a favore il dovere di pagare i debiti contratti dalla Grecia.

Il referendum chiede – in modo fumoso e non del tutto chiaro – se i greci pensano sia giusto o meno piegarsi al ‘diktat’ dei ‘creditori internazionali’ o, invece, se i greci ritengono che il governo dovrebbe contrattare misure più ‘sostenibili‘ perché il Paese paghi i propri debiti con maggiori dilazioni e, in parte, con un taglio del debito stesso.

In realtà, questo referendum passerà alla storia come un tentativo di ridare peso al processo democratico all’interno della dinamica istituzionale dell’Unione Europea.

Al di là della questione in sé (debito) e dei modi che hanno portato la Grecia a essere esposta con le banche francesi, tedesche e con i governi degli Stati membri dell’UE, c’è una questione di fondo che interessa la sopravvivenza del processo di integrazione europea: la transizione dalla diplomazia alla democrazia.

Un passaggio che implica l’abbandono del paradigma funzionalista e l’avvio di quello federale.

I Padri Fondatori del processo di unità europea, avviato all’indomani della tragedia della II Guerra Mondiale, trovarono un espediente istituzionale per far decantare le differenze, i dissidi, le lotte intra-europee (continentali) che nei precedenti 150 anni avevano portato le nazioni europee a combattersi in modo sanguinosissimo in due guerre mondiali e in una serie di guerre fratricide volte a contrastare i tentativi di unificare il Continente con la forza.

Dopo aver assistito al fallimento napoleonico e hitleriano, le menti illuminate di matrice cristiana e democratica promossero un nuovo progetto finalizzato a unificare il Continente, attraverso il metodo pacifico fondato su un paradigma: il funzionalismo. Basato sulla capacità di affrontare un problema concreto di ordine economico-industriale, il modello funzionalista era la modalità con cui gli Stati nazionali europei avrebbero risolto problemi comuni. Il carbone e l’acciaio – al centro delle guerre franco-tedesche dell’ultimo secolo e mezzo – fu il primo tema affrontato in modo cooperativo da sei nazioni che, non a caso, dalla tragedia della ‘Seconda Guerra dei Trentanni’ (le due guerre mondiali) erano uscite in uno stato di prostrazione economica, industriale ed etica.

La CECA (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio) fu dunque la prima applicazione (con l’Euratom in materia di energia nucleare) di questo metodo funzionalista, che però era fin dall’inizio del processo un espediente da superare in un certo lasso di tempo, perché fin dall’avvio fu pensata la transizione dal funzionalismo al federalismo. La soluzione di problemi concreti attraverso la cooperazione e il coordinamento ‘confederale’ in un settore avrebbe dovuto spingere all’approfondimento e all’allargamento ad altri settori.

Sullo sfondo della cooperazione ‘confederale’ europea avviata nel 1950 con la ‘Dichiarazione Schuman’ c’è infatti un presupposto storico fondamentale: lo Stato-nazione sorto in Europa nel 1648 alla fine della Guerra del Trentanni con la Pace di Westfalia nel 1945 ha definitivamente cessato di avere un ruolo nello sviluppo istituzionale degli Stati europei. L’ultimo atto dello Stato nazione europeo fu la capitolazione della Germania e la fine della II Guerra Mondiale in Europa l’8 Maggio 1945. Dopo quasi 300 anni, gli Stati europei avevano perso il loro ruolo individuale nel Mondo in cui la globalizzazione dei mercati faceva capolino.

Il funzionalismo fu perciò l’espediente istituzionale con cui si avviò il processo inverso: se a titolo individuale gli Stati europei non erano più in grado di essere attori del proprio sviluppo, lo sarebbero stati insieme.

Se non si comprende questo presupposto, non si capisce (o peggio: si dimentica) lo straordinario successo del processo di integrazione europea, che ha conseguito l’obiettivo essenziale per cui era stato avviato: rendere impossibile una nuova guerra tra Stati dell’Europa.

Questo obiettivo è stato raggiunto finora, perché nel progetto iniziale era previsto che l’incremento e l’approfondimento della cooperazione funzionalista ‘confederale’ avrebbe portato naturaliter (naturalmente) all’avvio della fase successiva e alla transizione dalla contrattazione diplomatica ai giochi del compromesso politico democratico.

Questo meccanismo di transizione ‘naturale’ si è inceppato.

A nostro avviso l’inceppamento della transizione dal modello ‘confederale’ alla costituzionalizzazione ‘federale’ del processo di integrazione europea si è inceppato per inconsistenza del ceto politico europeo, caratterizzato dal fatto che la stragrande maggioranza delle personalità politiche degli Stati dell’Unione non ha conosciuto gli effetti della guerra per motivi anagrafici, sconosce i presupposti culturali e le finalità intrinseche del processo di integrazione europea e si illude di poter ridonare vigore alla sovranità nazionale su base statale.

I vari movimenti anti-europeisti cavalcano questa ignoranza di fondo, ma non spiegano come uno Stato nazione potrebbe affrontare le sfide della globalizzazione in termini di proiezione politica, proiezione di potenza militare a fini difensivi e proiezione diplomatica. Il motivo di questa mancata spiegazione è la seguente: nel mondo globalizzato la Germania – per quanto il più popolato Stato europeo e il più potente – non avrebbe le risorse sufficienti per avere una proiezione politica globale tale da garantirne l’indipendenza interna e la sopravvivenza internazionale. Tutto il resto è gioco di parti.

Ecco perché la decisione di sottoporre il popolo greco a un referendum su temi europei – latu sensu – è importante: rompe il fronte della contrattazione diplomatica ‘confederale’ inter-governativa, pone il popolo greco come avanguardia ideale per ridare al popolo degli Stati europei la parola finale sull’evoluzione del processo.

Non ci vuole più Europa, ma è indispensabile riallacciarsi al processo iniziale e riagganciare il paradigma federale.

A Filadelfia nel 1787 i delegati riuniti in Convenzione per studiare un allargamento della cooperazione retta dagli “Articoli di Confederazione” – dopo che il ragionamento era già stato avviato l’anno prima ad Annapolis – non avevano per mandato la redazione della Costituzione degli Stati Uniti d’America. Una rivolta fiscale di bassa intensità (la Rivolta di Shays) convinse i delegati a darsi un nuovo obiettivo, perché si rifletté sul fatto che i 13 Stati non avrebbero avuto la capacità necessaria ad affrontare problemi di sicurezza maturati all’interno della ‘confederazione’ o provenienti dall’estero.

A quell’evoluzione federale hanno guardato tutti i Padri Fondatori dell’unità europea. A quel filo federale occorre tornare.

I greci dovranno rimodulare la tendenza a esternalizzare i loro problemi e a pagare le conseguenze di una mala gestio che in apparenza fa comodo a molti (baby pensioni, evasione fiscale endemica, corruzione istituzionale e burocratica). Ma questo processo non può essere affrontato con metodo egemonico da uno Stato europeo sugli altri.

A Filadelfia 228 anni fa i delegati del Massachusetts tentarono di imporre sugli altri 12 Stati l’egemonia: fallirono. I politici della Germania non possono pensare di avere più successo, l’unità dell’Europa e degli europei valgono più di imbecilli paure che generano mostri.

Oggi il regime finanziario imposto da personaggiucoli senza spessore politico europeo come Schäuble e Merkel fanno venire i nodi al pettine. Il paradosso è che altri personaggi politici senza apparente spessore continentale come Tsipras e Varoufakis richiamino all’esigenza insopprimibile di portare l’Europa all’approdo federale e all’abbandono del metodo funzionalista, che ormai ha perso la spinta propulsiva per dare all’Europa e agli europei libertà, speranza e prospettive per un futuro migliore.

Ecco perché l’Unione Europea è morta, ma la necessità dell’unità europea è più viva che mai.

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