In 5 giorni la Grecia salvi l’Unione Europea e l’Unione Europea salvi la Grecia

Alexis Tsipras ha la responsabilità storica di dover fornire gli strumenti per una gestione straordinaria e sostenibile della crisi, il Consiglio Europeo quella di non mandare all’aria il processo di integrazione europea in un momento storico drammatico

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Ci vorrebbero personalità storiche e dotate dell’unico armamentario ammesso nel dibattito pubblico europeo oggi: le armi del coraggio. Solo 76 anni fa, l’estate del 1939 viveva lo scivolamento nella tragedia della II Guerra Mondiale quasi in modo inconsapevole, mentre 100 anni fa si combatteva già da un anno il primo episodio della Seconda Guerra dei Trentanni, un conflitto europeo lungo, avente riflessi globali.

Tra il 1648 e il 1945, nel centro del Vecchio Continente si sono scritte le pagine di apertura e chiusura della storia dello Stato nazione in Europa. In Westfalia, tra Münster e Osnabrück, nel maggio 1648 i trattati di pace tra le potenze europee avevano sancito la nascita del sistema internazionale con lo Stato protagonista e soggetto; 297 anni dopo – tra Francia, Olanda, Danimarca e Germania si chiudeva – con la capitolazione delle forze armate naziste – la tragedia della II Guerra Mondiale e il lungo conflitto iniziato nell’estate del 1914, di cui oggi gli storici più illuminati evidenziano la continuità: 30 anni di guerre fratricide e suicide.

Il suicidio dello Stato nazionale europeo fu certificato dal ‘ritorno in Patria’ dei coloni europei andati in giro per il mondo a erigere nuove nazioni. Un ritorno da liberatori e da garanti – per oltre 40 anni – della pace e della indipendenza. Ma tra le pagine tragiche dell’ultimo conflitto europeo su larga scala si posero i germogli di un nuovo raccolto, mettendo insieme il pensiero più illuminato cresciuto – da punti di vista diversi – negli ambienti del cattolicesimo democratico e del riformismo socialdemocratico. Quei germogli furono impiantati il 9 Maggio 1950 per iniziativa dell’allora ministro degli Esteri francese, Robert Schuman.

La ‘Dichiarazione’ che diede l’avvio al processo di integrazione europea, basata sul principio funzionalista, aveva però un retroterra concettuale federalista: nella visione profetica dei Founding Fathers dell’unità europea l’approdo dello Stato federale europeo era già previsto.

Oggi, questo processo è entrato definitivamente in crisi, perché i nodi intergovernativi, l’illusione dell’autosufficienza (anche militare), la presunzione di poter esercitare un’egemonia sugli altri Stati – con il vizio storico di alcuni Stati di considerare altri come minorati – sono venuti al pettine della realtà.

Nessuno Stato europeo può essere autosufficiente, da ogni punto di vista: finanziario, industriale, geopolitico, militare.

Così, il governo greco di Alexis Tsipras ha oggi la responsabilità di darsi un assetto storico e di fornire all’Unione Europea gli strumenti per salvare sia Atene che Bruxelles. E di converso, l‘Unione Europea ha però una speculare responsabilità: trovare uno scatto di fantasia istituzionale per salvare la Grecia (anche da se stessa) e allo stesso tempo salvare il processo di integrazione europea.

Le istituzioni europee sono infatti al bivio della storia comune: chiedere ai cittadini, al popolo sovrano, quale direzione devono intraprendere: maggiore integrazione o affievolimento dei rapporti, con riduzione a un’area di libero scambio che può fare a meno di un’altisonante moneta comune e può rinchiudersi in una tana di cambi fissi tra monete diverse.

Nell’uno o nell’altro caso, il popolo sovrano degli Stati membri dovrà decidere su una serie di piattaforme propositive chiare, definite, intellegibili negli scenari che comporteranno.

L’esercizio del metodo democratico è l’unico modo per riavvicinare la cittadinanza europea alle istituzioni statali e comuni. Se vogliamo, l’unico dato positivo del referendum in Grecia del 5 Luglio non è il risultato in sé, ma l’esercizio di un diritto/dovere fondamentale per dare alle istituzioni la legittimità necessaria a governare i processi democratici.

Oggi gli Stati dell’UE hanno questa legittimità diretta, conferita dal popolo sovrano con il voto, ma non la capacità di agire. Le istituzioni dell’Unione Europea invece hanno la capacità di agire (seppur potenziale), ma difettano di legittimità democratica. Per colmare questo divario serva uno sforzo creativo, serve che la Grecia si salvi, salvando l’Europa; e che l’Unione Europea si salvi, salvando la Grecia.

Forse è più facile di quel che sembra, ma in gioco c’è l’azzeramento formale degli Stati nazione europei, che la Storia ha però già azzerato di fatto in quei giorni di Maggio del 1945, quando l’ultimo tentativo di unificazione violenta dell’Europa falliva con una striscia di dolore e morte incancellabile. Un azzeramento che può aprire a conquiste dall’esterno, a egemonie di uno o più Stati sugli altri o a un accordo costituzionale per far svoltare la Storia europea.

Sia abbia però l’onestà intellettuale di dire che non sarebbe lo Stato federale europeo a salvare gli Stati in difficoltà perché gestiti male. La solidarietà vaneggiata da certuni appartiene agli stati unitari, con un unico fisco, istituzioni uniche. Idee sovietiche che non possono avere ulteriore spazio in Europa.

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