La visita a Cuba del Papa. Francesco, Raul Castro e i cubani: vincitori e vinti

di Anonimo

Il regime ha mostrato una faccia “tollerante”, quasi a voler dare l’impressione di fare “tabula rasa” del passato di persecuzione verso la Chiesa cattolica. È impossibile ricostruire la nazione senza il riferimento alla fede. “Servire l’uomo”: un monito per il governo, ma anche per la Chiesa. Un bilancio della visita del Papa nell’isola caraibica da parte di una personalità ecclesiale cubana, impegnata nel campo dei diritti umani, che vuole rimanere anonima.

20151002-papa-francesco-raul-castro-800x533L’Avana – Se ci fossero solo le colonne del “dare” e “avere”, nonostante le complessità dell’economia, tutto sarebbe infinitamente facile valutare. Quando si tratta di eventi di profonda carica umana, con tutte le componenti cognitive e soprattutto emozionali che influenzano con insospettabile profondità la coscienza di un popolo e di una cultura, è quasi impossibile fare un bilancio preciso.

Tutto diventa più difficile quando, come in questo caso, la visita del papa a Cuba, implica la religiosità di un popolo e la sua storia che, nel caso di Cuba, hanno un’indiscutibile matrice cristiana cattolica, al punto che non si può capire o avvicinare la nostra storia senza passare attraverso l’evangelizzazione cattolica fin dai tempi di Miguel Velazquez, attraverso il periodo d’oro dei famosi vescovi Compostela, Valdes, Santa Cruz, Espada e dell’insigne Felix Varela che ci hanno insegnato a pensare in cubano, facendo crescere una generazione di eroi, il cui effetto formativo ha portato al più universale dei nostri connazionali: José Martí.

Chi ha vinto, chi ha perso? Sono domande semplicistiche se formulata in termini di “dare” e “avere”; sono domande sagge se ci muove il desiderio di costruire un Paese “con tutti e per il bene di tutti”, e se come disse Varela, “non c’è patria senza virtù, non c’è virtù senza pietà[religiosità-ndr]”. A guadagnare è stato di certo il governo cubano: ha messo in atto una copertura mediatica senza precedenti in cui i giornalisti ufficiali hanno dovuto rincorrere padre Rolando Montes de Oca per salvare, per quanto possibile, ignoranze e imprecisioni che le letture affrettate all’ultimo momento non potevano risolvere. Questo battage mediatico comunica alla gente semplice un chiaro messaggio che potrebbe essere formulato così: il governo è in sintonia con il cattolicesimo … Per coloro che hanno una memoria storica, la formulazione sarebbe un po’ diversa: è un tentativo di “tabula rasa …” che, in ogni caso, da una prospettiva di fede, è apprezzabile, anche se il “disgelo” sembra più cosmetico e appariscente che reale.

Ha vinto l’istituzione Chiesa nell’essere riconosciuta, di fatto, come un fattore sociale che integra, una spina dorsale di valori patriottici radicati nella fede cattolica. Questo riconoscimento la impegna ad essere “voce di chi non ha voce”, e nella nostra realtà non sono pochi.

Ha vinto il credente medio di qualsiasi fede, che ha percepito in tutto questo un forte incentivo per liberarsi di tutte le paure che così a lungo hanno pesato sulle espressioni religiose. Hanno vinto gli strumenti timidi ed emergenti di educazione informale, che a forza di sacrifici e fra impulsi ed errori, sono stati istituiti. Ha vinto il forte discorso che rivendica il valore della famiglia, così gravemente ferita dalle politiche economiche, educative, riproduttive, sempre escludenti [una parte della popolazione – ndr], e che in gran parte hanno portato alla migrazione dei giovani in età fertile. Lo stesso discorso era risuonato durante la visita di S. Giovanni Paolo II ha a Santa Clara, quando disse: “Cuba, prenditi cura delle tue famiglie per mantenere sano il tuo cuore”.

Ha vinto la grande domanda sulla speranza per i giovani posta dalla Chiesa a tutta la società. Nel sentire del popolo ha vinto la percezione che la Chiesa – istituzione e comunità credente – è dalla parte del popolo che essa cerca di servire senza affanno da protagonista. Rimane il monito che il pericolo da evitare a tutti i costi è un’immagine di Chiesa come potere parallelo o, peggio ancora, l’immagine della Chiesa del “patto coloniale”. Francesco è venuto al momento giusto, dicendo in tutta semplicità: “chi non vive per servire, non serve per vivere” e per segnalare la vittoria della cultura dell’incontro, del dialogo, rafforzando la partecipazione di tutti… “sul sistema morto per sempre delle dinastie e dei gruppi” (José Martí).

Infine, ha vinto il popolo cubano, quello che sta a Cuba e quello pellegrino nei luoghi più diversi del pianeta in questa migrazione ed esilio senza fine. Le parole, le azioni e gesti lungo tutta la presenza di Francesco a Cuba sono stati stellari. Marcano, segnano un prima e un dopo … E’ stato chiaro in modo misericordioso, concreto, pieno di speranza e infondendo speranza … Indietro non si torna… Ha messo la persona umana, ogni uomo, guardata e accarezzata con affetto, al centro di tutte le relazioni e gli incontri umani. E questo è certamente un dono dello Spirito, “Kairos”, un tempo di grazia. In breve, ha vinto il Regno di Dio.

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