Relazioni ebraico-cattoliche: in 50 anni dalla contrapposizione alla “profonda amicizia”

Una “riflessione teologica” della Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo intende riprendere e chiarire questioni affiorate negli ultimi decenni nel dialogo ebraico-cattolico, nel 50° anniversario della promulagazione della dichiarazione Nostra Aetate. L’importanza della rivelazione, il rapporto tra l’Antica e la Nuova Alleanza, la relazione tra l’universalità della salvezza in Gesù Cristo e la convinzione che l’alleanza di Dio con Israele non è mai stata revocata, il compito evangelizzatore della Chiesa in riferimento all’ebraismo – VIDEO INTEGRALE DELLA PRESENTAZIONE DEL DOCUMENTO SULLE RELAZIONI EBRAICO-CATTOLICHE

Città del Vaticano – In 50 anni, da quando il Vaticano II con la Nostra Aetate cambiò la visione cattolica dell’ebraismo, i rapporti sono passati “dalla contrapposizione di una volta ad una proficua collaborazione, dal potenziale di conflitto ad un’efficiente gestione dei conflitti, da una coesistenza contrassegnata dalle tensioni ad una convivenza solida e fruttuosa”, a una “profonda amicizia”. Sono state chiarite le radici ebraiche del cristianesimo, perché l’ebreo Gesù “può essere compreso solo nel contesto ebraico del suo tempo e si è affermato che i rapporti tra cattolici ed ebrei sono parte di un “legame di parentela strettissimo e imprescindibile”.

In questo quadro, la Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo ha elaborato un documento, presentato oggi in Vaticano, intitolato “Perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili. Riflessioni su questioni teologiche attinenti alle relazioni cattolico-ebraiche”. “Si tratta – ha spiegato il cardinale Kurt Koch, presidente della Commissione – di un documento esplicitamente teologico, che intende riprendere e chiarire le questioni che sono affiorate negli ultimi decenni nel dialogo ebraico-cattolico”. Documento, ha precisato, non magisteriale, e di parte cattolica, anche se nel corso della sua elaborazione sono stati sentiti anche alcuni studiosi ebrei.

Nella convinzione che il dialogo con l’ebraismo non può essere assolutamente comparato al dialogo con le altre religioni, vengono affrontate questioni teologiche fondamentali, come l’importanza della rivelazione, il rapporto tra l’Antica e la Nuova Alleanza, la relazione tra l’universalità della salvezza in Gesù Cristo e la convinzione che l’alleanza di Dio con Israele non è mai stata revocata, il compito evangelizzatore della Chiesa in riferimento all’ebraismo. E, oltre a ribadire il no a ogni forma di antisemitismo, si afferma la “grande rilevanza” della situazione delle comunità cristiane nello Stato di Israele, “poiché là, come in nessun altro luogo al mondo, una minoranza cristiana si trova davanti ad una maggioranza ebraica” , si auspica il comune impegno “nella promozione della giustizia, della pace e della tutela del creato” e l’intensificarsi della loro collaborazione “in favore dei poveri, dei deboli, degli emarginati, per diventare così, insieme, una benedizione per il mondo”.

Affrontando poi i temi più strettamente teologici, il cardinale Koch ha detto che “Gesù nasce, vive e muore come ebreo; anche i suoi primi discepoli e gli apostoli, quali colonne della Chiesa cristiana, si situano in continuità con la tradizione religiosa ebraica del loro tempo. Tuttavia, Gesù la trascende, poiché, secondo la fede cristiana, egli non può essere considerato soltanto come ebreo, ma anche e soprattutto come Messia e Figlio di Dio. Il documento afferma pertanto: ‘La differenza di fondo tra ebraismo e cristianesimo consiste nel modo in cui si ritiene di dover valutare la figura di Gesù. Gli ebrei possono vedere Gesù come un appartenente al loro popolo, un maestro ebraico che ha sentito di essere chiamato in modo particolare ad annunciare il Regno di Dio. Il fatto però che il Regno di Dio sia venuto con lui quale rappresentante di Dio è al di fuori dell’orizzonte ebraico di attese messianiche (n. 14)”.

Ma sia ebrei che cristiani credono che il Dio di Israele si è rivelato attraverso la sua Parola, offrendo così agli uomini un insegnamento su come vivere in maniera riuscita nel giusto rapporto con Dio e con il prossimo. Questa Parola di Dio è individuabile per gli ebrei nella Torah; per i cristiani, essa si è incarnata in Gesù Cristo. Tuttavia, la Parola di Dio è indivisa e richiede da parte degli uomini una risposta che permetta loro di viverla nella giusta relazione con Dio.

E se per i cristiani attraverso Gesù tutti gli uomini hanno parte alla salvezza, tutti sono salvati, anche se gli ebrei non possano credere in Gesù Cristo quale Redentore universale, essi hanno parte alla salvezza, perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili. Come ciò avvenga rimane un insondabile mistero del piano salvifico di Dio.

Di qui, tra l’altro, anche l’affermazione, più avanti, che “la Chiesa cattolica non conduce né incoraggia alcuna missione istituzionale rivolta specificamente agli ebrei. Fermo restando questo rifiuto -per principio- di una missione istituzionale diretta agli ebrei, i cristiani sono chiamati a rendere testimonianza della loro fede in Gesù Cristo anche davanti agli ebrei”.

Positivo, nel complesso, il giudizio espresso, nel corso della presentazione dal rabbino David Rosen, International Director of Interreligious Affairs, American Jewish Committee (AJC), e da Edward Kessler, Founder Director of the Woolf Institute di Cambridge.

Rosen ha evidenziato positivamente “il chiaro ripudio affermato in questo documento, di qualsiasi ‘teologia della sostituzione o superamento che mette uno contro l’altro una Chiesa dei gentili e la sinagoga” del quale si vuole prendere il posto. A suo giudizio, però, “nello spirito del nostro reciproco rispetto e amicizia”, va sottolineato, “per rispettare pienamente l’idea che gli ebrei hanno di sé”, è necessario comprendere “la centralità che la Terra di Israele gioca nella vita storica e contemporanea della religiosità del popolo ebraico, e che sembra mancare”.

Il rabbino ha infine ricordato che studiosi ebrei nel corso dei secoli hanno elaborato “un concetto di complementarietà nel vedere il cristianesimo come un veicolo divino attraverso il quale le verità universali che l’ebraismo ha portato al mondo, possono infatti essere più efficacemente diffuse in tutto l’universo al di là dei limiti posti dalla ebraica Peoplehood”, la consapevolezza dell’unità di fondo che rende un individuo una parte del popolo ebraico.

“Oggi – ha detto Kessler – è chiaro che molte delle principali questioni di divisione sono state eliminate o portate al punto più lontano, in cui un accordo è possibile”. “Durante gli ultimi 5 anni – ha aggiunto – ebrei e cristiani hanno assistito a un grande cambiamento e, come il nuovo documento dimostra, passi da gigante sono stati fatti, ma stiamo parlando di un processo dinamico e implacabile. Non saremo mai in grado di sedersi e dire: ‘Il lavoro è svolto. L’ordine del giorno è stata completato’. Tuttavia, su molte questioni importanti, ebrei e cattolici si ritrovano dalla stessa parte della barricata teologica, di fronte alle stesse sfide, e siamo nell’insolita posizione di cercare di affrontarle insieme”.

(AsiaNews)

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