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Brexit, Commissione e Parlamento Europeo violano l’art. 50 del Trattato di Lisbona?

Il Parlamento Europeo ha votato una risoluzione con cui chiede alla Gran Bretagna di aprire “non appena possibile” la procedura del negoziato per il recesso dall’Unione Europea, ma il voto di oggi potrebbe costituire una violazione dello spirito e della lettera dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona, che regola proprio il diritto di recesso dall’UE. Cosa stabilisce la norma

L’Assemblea Plenaria del Parlamento Europeo, riunita in sessione straordinaria, ha votato oggi una risoluzione con cui si è chiesto al Regno Unito di aprire “non appena possibile” la procedura per il negoziato sull’uscita dall’UE. La risoluzione è passata a maggioranza, con 395 voti a favore, 200 contrari e 71 astenuti.

Al di là delle posizioni di chi ha votato a favore o contro, l’aspetto più importante è: il Parlamento Europeo ha il potere legale di chiedere un’accelerazione della richiesta britannica di uscire dall’Unione Europea?

A tal proposito, occorre verificare quanto stabilisce l’Articolo 50 del Trattato di Lisbona in materia di diritto di recesso dall’UE.

Nel testo in inglese (in nero, in rosso traduzione in italiano), si legge:

1. Any Member State may decide to withdraw from the Union in accordance with its own constitutional requirements.

1. Ogni Stato membro può decidere di recedere dall’Unione in conformità con le proprie norme costituzionali. 

2. A Member State which decides to withdraw shall notify the European Council of its intention. In the light of the guidelines provided by the European Council, the Union shall negotiate and conclude an agreement with that State, setting out the arrangements for its withdrawal, taking account of the framework for its future relationship with the Union. That agreement shall be negotiated in accordance with Article 218(3) of the Treaty on the Functioning of the European Union. It shall be concluded on behalf of the Union by the Council, acting by a qualified majority, after obtaining the consent of the European Parliament.

2. Uno Stato membro che decida di recedere notificherà al Consiglio Europeo la propria intenzione. Alla luce degli orientamenti formulati dal Consiglio Europeo, l’Unione negozierà e concluderà un accordo con quello Stato, definendo le modalità del proprio recesso, tenendo conto del quadro delle future relazioni con l’Unione. L’accordo sarà negoziato conformemente all’articolo 218 (3) del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea. Esso sarà concluso a nome dell’Unione da parte del Consiglio, che delibererà a maggioranza qualificata, previa approvazione del Parlamento Europeo.

3. The Treaties shall cease to apply to the State in question from the date of entry into force of the withdrawal agreement or, failing that, two years after the notification referred to in paragraph 2, unless the European Council, in agreement with the Member State concerned, unanimously decides to extend this period.

3. I trattati cesseranno di essere applicabili allo Stato in questione a decorrere dalla data di entrata in vigore dell’accordo di recesso o, fallendo questo, due anni dopo la notifica di cui al paragrafo 2, a meno che il Consiglio Europeo, d’intesa con lo Stato membro interessato, decida all’unanimità di prorogare tale termine. 

4. For the purposes of paragraphs 2 and 3, the member of the European Council or of the Council representing the withdrawing Member State shall not participate in the discussions of the European Council or Council or in decisions concerning it.

A qualified majority shall be defined in accordance with Article 238(3)(b) of the Treaty on the Functioning of the European Union.

4. Ai fini dei paragrafi 2 e 3, il membro del Consiglio Europeo o del Consiglio che rappresenta lo Stato membro che recede non parteciperà alle discussioni del Consiglio Europeo o il Consiglio o alle decisioni che lo riguardano. 

La maggioranza qualificata è definita in conformità con l’articolo 238 (3) (b) del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea. 

5. If a State which has withdrawn from the Union asks to rejoin, its request shall be subject to the procedure referred to in Article 49.

5. Se lo Stato che si è ritirato dall’Unione chiede di aderirvi nuovamente, tale richiesta è oggetto della procedura di cui all’articolo 49.

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Dalla lettura dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona si desume quindi, anzitutto, che dall’Unione Europea uno Stato membro può recedere (art. 50, comma 1), non secedere, mentre fino alla sottoscrizione di questo trattato ‘costituzionale’ (ma non una vera costituzione federale) la possibilità di uscire dal novero degli Stati membri non era espresso in modo esplicito.

Tuttavia, la procedura di recesso è complessa e si articola in diversi momenti, con il concorso A) dello Stato interessato a recedere; B) del Consiglio Europeo; C) del Parlamento Europeo.

Il primo attore a dover intervenire nel procedimento di recesso è lo Stato interessato, che deve notificare la propria decisione al Consiglio Europeo, ma “in conformità con le proprie norme costituzionali”, precisa la norma europea. Così, occorre risalire alla Costituzione Britannica (non scritta e fondata sulla tradizione) e capire se l’esito referendario della consultazione del 23 Giugno scorso sia sufficiente a produrre l’atto giuridico sufficiente a esternare tale decisione. Per non dilatare il ragionamento ai meandri della costituzione britannica, si può senza dubbio affermare che il referendum #Brexit è insufficiente a produrre la decisione, ma costituisce un presupposto legale perché la Camera dei Comuni decida – secondo regole proprie del funzionamento della monarchia costituzionale di Londra – di assumere la decisione di uscire dall’UE.

Dunque, non è sufficiente il risultato del referendum, è indispensabile che il Parlamento britannico traduca quell’indicazione in decisione istituzionale e che il Primo Ministro in carica la comunichi al Consiglio Europeo.

Successivamente, al Consiglio Europeo spetterà l’apertura di negoziati con lo Stato membro recedente (nel caso di questi giorni, la Gran Bretagna), per dirimere la matassa delle legislazioni concorrenti intrecciate, delle norme applicate e della transizione verso un regime nuovo di relazioni economiche e commerciali (che potrebbe perfino non mutare di tanto, come avviene già oggi con la Norvegia, Stato non membro ma associato).

Ancora, il Consiglio Europeo delibererà sulla domanda di recesso a maggioranza qualificata, previo voto del Parlamento Europeo. Che significa ‘a maggioranza qualificata’?

Secondo l’indicazione del Comma 4 dell’articolo 50, la magioranza richiesta è quella indicata nell’articolo 283(3b) del Trattato sul Funzionamento dell’UE, ossia la maggioranza qualificata richiesta per decidere sulle proposte non presentate al Consiglio Europeo dalla Commissione o dall’Alto Rappresentante PESC. In tali casi, una decisione è assunta con il voto del 72% dei membri del Consiglio Europeo, purché i membri a favore rappresentino il 65% della popolazione dell’Unione Europea.

Un principio democratico, che però non è valso per il referendum consultivo sulla #Brexit, che ha visto la partecipazione del 72% degli aventi diritto, distintisi in 52% a favore del recesso dall’UE e il 48% a favore del Remain, il che significa che il 37,4% degli aventi diritto avrebbe deciso di abbandonare l’Unione contro il 34% a favore della permanenza del Regno Unito nelle istituzioni europee.

La deliberazione del Consiglio dovrà essere preceduta dal voto del Parlamento Europeo, che interverrà solo a negoziato concluso.

Senza proseguire oltre nell’analisi dell’articolo 50, il lettore a questo punto si domanderà: “che c’entrano la Commissione Europea o il Parlamento, in una fase antecedente all’attivazione dell’articolo 50?”.

Noi stessi ci siamo posti questa domanda e l’unica risposta giuridicamente rilevante è: “Parlamento e Commissione Europea al momento non c’entrano niente, non hanno alcuna competenza o ruolo”.

Siamo in presenza di un atto illegale del Parlamento, che non ha alcun diritto di chiedere una accelerazione del processo di recesso del Regno Unito dall’UE; di un atto giuridicamente infondato da parte del presidente e dei membri della Commissione, che non hanno alcuna potestà nel processo di recesso di uno Stato membro dall’Unione.

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In realtà, siamo in presenza di un pericoloso atto politico di tentata trasformazione di egemonia in dominio, attraverso l’avvicinamento di Francia e Italia alle tesi tedesche e a quelle del fantoccio tedesco posto a capo della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker, in uno scenario che peraltro non è monolitico neanche a Berlino, dove la lady d’acciaio Merkel passa da una posizione di fuga in avanti alla frenata repentina, dalla fermezza anti-britannica alla linea morbida di prudenza, perché si valuti con attenzione la gamma di effetti che sarebbero prodotti da una vera uscita di Londra dalle istituzioni comuni.

La richiesta di “tempi rapidi” della #Brexit o di annullamento del semestre britannico del Consiglio dell’Unione Europea, in programma dal 1° Luglio al 31 dicembre 2017, sono infondate e costituiscono una rottura del Trattato di Lisbona e la violazione dei diritti e delle prerogative della Gran Bretagna, che ancora non ha formalizzato ufficialmente alcuna richiesta di attivazione della domanda di recesso dall’UE.

Fino ad allora, questi atteggiamenti sono passibili di azione di fronte alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per violazione dei Trattati e compressione illegale dei legittimi diritti del Regno Unito. Una circostanza che si potrebbe ribaltare contro Francia, Germania e Italia, membri di un triunvirato illegittimo e che rompe di fatto anche le prerogative degli altri 24 Stati membri.

Insomma, dall’ebbrezza dei britannici per la riacquistata indipendenza alla resa dei conti sia tra i conservatori che tra i laburisti è stato necessario attendere qualche giorno. Un fenomeno contrario si è registrato tra i soci del ‘Condominio Europa’, passati dall’incredulità del risultato alla superbia di voler cacciare la Gran Bretagna prima possibile.

La decisione migliore – per puro paradosso – potrebbe averla presa il kamikaze David Cameron, che in un colpo solo ha messo fine alla propria carriera politica, ha demolito le fondamenta di quelle dell’amico-nemico Boris Johnson, ha posto una mina nel bacino di consenso dell’avversario Geremy Corbyn (amico dei Fratelli Musulmani) e consegnato il Partito Conservatore a George Osborne e Theresa May, che probabilmente prenderà il suo posto al 1 di Downing Street.

Una nuova Lady di Ferro dopo Margareth Thatcher fa già battere i cuori liberali di mezza Europa, che non necessariamente e non sicuramente dovrà fare a meno dell’essenziale contributo britannico alla costruzione della casa comune europea. Un dato è certo: se i britannici si stanno scoprendo più europei di quanto si immaginasse, può anche significare che la democratizzazione delle istituzioni europee passa per Londra e per il carico di tradizione democratica che – dalla Magna Carta del 1215 alla Costituzione del 1689 – ha dato all’Occidente e al mondo intero il governo parlamentare, la monarchia costituzionale, la rule of law, il giusto processo e l’habeas corpus.

Davvero l’Europa può esistere senza la Gran Bretagna?

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