“Così fu detto agli antichi: ma io dico a voi…”. Il Vangelo della VI Domenica del Tempo Ordinario

Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti dò, ti stiano fissi nel cuore; li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando sarai seduto in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte (Dt., 6, 4-9). Il Commento di Marie Thérèse Tapsobà Franceschini e di Sant’Ilario di Poitiers

Vangelo  Mt 5, 17-37
Così fu detto agli antichi: ma io dico a voi …

Dal vangelo secondo Matteo

[In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:] «Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà dalla legge neppure un iota o un segno, senza che tutto sia compiuto. 

Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. 

Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli. Poiché [io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli. 

Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non uccidere”; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio.] Chi poi dice al fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna. 

Se dunque presenti la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare e và prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono. 

Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei per via con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia e tu venga gettato in prigione. In verità ti dico: non uscirai di là finché tu non abbia pagato fino all’ultimo spicciolo! 

[Avete inteso che fu detto: “Non commettere adulterio”; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore.] 

Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, càvalo e gettalo via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geenna. E se la tua mano destra ti è occasione di scandalo, tàgliala e gettala via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geenna. 

Fu pure detto: “Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto di ripudio”; ma io vi dico: chiunque ripudia sua moglie, eccetto il caso di concubinato, la espone all’adulterio e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio.

[Avete anche inteso che fu detto agli antichi: “Non spergiurare, ma adempi con il Signore i tuoi giuramenti; ma io vi dico: non giurate affatto]: né per il cielo, perché è il trono di Dio; né per la terra, perché è lo sgabello per i suoi piedi; né per Gerusalemme, perché è la città del gran re. Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. [Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno».] 

Commento di Marie Thérèse Tapsobà Franceschini

Abbiamo detto la scorsa volta che il Discorso della montagna è rivolto ad intra, a quel popolo che, unico, può riconoscere la presenza del Salvatore Gesù, che è l’adempimento delle Scritture, l’Amen di Dio, Colui che è venuto a realizzare quanto Dio aveva già promesso per mezzo della Legge e dei Profeti. Soltanto chi conosce la Legge ed i Profeti può comprendere il mistero del Salvatore, di questa dottrina nuova, la cui novità è all’interno di un precedente insegnamento, una dottrina che Israele ha custodito nei secoli tra fatiche, tribolazioni e persecuzioni: «È stato detto […], ma io vi dico […]».

È un insegnamento che non è dato singolarmente, ma, nel momento in cui i discepoli Gli si avvicinano ed è quanto accade ogni Domenica: coloro che sono discepoli di Cristo, che da Lui hanno imparato Gli si avvicinano recandosi alla Messa e allorquando l’assemblea è riunita insieme il Signore ci insegna per mezzo della Sua Chiesa. Questo ritmo ecclesiale è il ritmo che è proprio del popolo d’Israele, che si raccoglie nell’unità al sabato per ascoltare la Parola di Dio, ma trova la sua pienezza in Cristo, che, nel giorno della Sua risurrezione, la Domenica, convoca alla Sua Mensa il Suo popolo, quelli che Egli si è acquistato con il Suo Sangue, per insegnare loro a diventare Suo Corpo, Sue membra. «È stato detto […], ma io vi dico […]».

Il rapporto con Cristo a partire dalla Liturgia è molto importante, perché quando siamo insieme nel nome del Cristo, perché abbiamo risposto alla Sua chiamata, in quel momento ci presentiamo al Signore non più come persone singole, ma come la Sua Chiesa, la Sua Sposa. Questo è la Liturgia: il rapporto d’amore tra Dio ed il Suo popolo; ed è un ritmo che per primo Israele ha appreso e grazie al quale questo popolo ha acquisito una sapienza diversa da quella degli altri popoli che entrano in rapporto con Dio a partire dai loro bisogni. Il ritmo della Liturgia rovescia il rapporto pagano che i popoli e le genti hanno con Dio. Le genti e i popoli pagani chiamano il Signore nelle loro cose, chiedono danaro, salute, lunga vita e, dunque, moltiplicano le parole; Dio rovescia il rapporto, ci chiama perché noi ascoltiamo la Sua Parola. Non è, prima di tutto, il Signore che entra nella nostra vita, ma ci chiama per farci entrare nella Sua Vita divina: «È stato detto […], ma io vi dico […]».

Oggi Gesù ci spiega il vero senso delle parole che erano state dette, perché quella Parola che è custodita con grande amore da questo popolo, da Israele, rimane lettera che uccide, se Cristo non viene in noi e non ci svela il senso delle Scritture. Egli non viene a dire cose nuove: «Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà dalla legge neppure un iota o un segno, senza che tutto sia compiuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli». Ci dà la chiave per penetrare con l’intelligenza dello Spirito quelle parole che altrimenti rimarrebbero lettera morta, schiacciandoci sotto il peso di una semplice prescrizione legale; divina, ma proprio per questo irrealizzabile. Nel ritmo della Liturgia lo stesso Signore Gesù si rende presente, Lui che è Signore e che dona lo Spirito per farci intendere le Sue parole e renderci capaci di metterle in pratica.

L’inizio del dono dello Spirito, lo abbiamo detto già l’altra volta è dato nell’atto dell’insegnamento, perché il Vangelo «è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede» (Rm., 1, 16) è un insegnamento dato con potenza, con  autorità, un insegnamento che stupisce, che non è solo lettera che uccide, perché di quella lettera, Gesù è il Maestro autorizzato. È Lui che spiega quella lettera, che la apre, che spezza i sette sigilli, che apre quel libro, che ce ne dà l’intelligenza interiore, che ci guida a penetrare i segreti di Dio, alla conoscenza di Dio, che è la conoscenza della salvezza, del Salvatore, di Gesù che vuol dire “Dio salva”. La parola scritta rimane una lettera che uccide fino a quando il Signore Gesù non la spiega e non la illumina direttamente e personalmente con la luce e la potenza dello Spirito Santo, spezzando l’incredulità del nostro cuore e insegnandoci a vivere il ritmo ecclesiale sapendo che il Signore è il salvatore della Sua Chiesa, nella quel siamo anche noi; Colui che l’ha amata e ha dato per lei la Sua vita per purificarla e renderla santa.


Commento di Sant’Ilario di Poitiers, Commentario a Matteo, V, 14-23.

«Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge e i profeti: non sono venuto per abolire, ma per dare compimento». La virtù e la potenza delle parole celesti comportano in se stesse un valore sublime. La Legge è stata stabilita per le opere e ha tutto racchiuso nella fede in quelle realtà che dovevano essere rivelate in Cristo il cui insegnamento e la cui passione rappresentano una decisione sublime e profonda della volontà del Padre. Ora la Legge, sotto il velo di termini spirituali, ha parlato della nascita di nostro Signore Gesù Cristo, della Sua incarnazione, della Sua passione, della Sua risurrezione. E che ciò, già prima del tempo dei secoli, sia stato così predisposto per l’epoca in cui viviamo è confermato autorevolmente e spesso dai profeti e dagli apostoli. Dopo il digiuno di quaranta giorni dunque, Satana, turbato per ciò che sospettava così bene proruppe fino all’audacia di tentare Gesù, temendo in lui il grande mistero del piano celeste. Gesù infatti è il nome di nostro Signore, che gli viene dal corpo. Così la sua incarnazione e la sua passione costituiscono la volontà di Dio e la salvezza del mondo. Ed è una cosa che supera la capacità espressiva della parola umana, il fatto che il Dio nato da Dio, il Figlio che procede dalla sostanza del Padre e sussiste nella sostanza del Padre, prima incarnato, poi soggetto alla morte per la sua condizione umana, infine dopo tre giorni ritornando dalla morte alla vita, abbia ricondotto al cielo la materia del corpo che aveva assunto, rendendola partecipe dell’eternità dello Spirito e della sua sostanza.

 Affinché non si creda che nelle sue opere ci sia qualche altra cosa oltre quello che era contenuto nella Legge, Egli ha affermato di non abolire la Legge, ma di compierla. Il cielo e la terra che, come crediamo, sono i più grandi elementi, certamente avranno fine, ma neppure il più piccolo comandamento della Legge potrà essere incompiuto: in Lui infatti si compie tutta la Legge e i Profeti. Al momento della passione, nell’ora stessa in cui stava per rimettere il suo Spirito, sicuro del grande mistero che era in Lui, bevve dell’aceto e affermò che tutto era compiuto. Tutto ciò che avevano detto i profeti veniva confermato in quel momento dai fatti. Egli stabilì quindi che non si doveva trasgredire nessuno dei comandamenti di Dio, neppure il più piccolo, se non si voleva essere colpevoli verso Dio e dichiarò che coloro, i quali avrebbero trasgredito il più piccolo di essi, sarebbero stati i più piccoli, cioè gli ultimi e quasi una nullità.

Ora non ci possono essere cose più piccole di quelle che sono le minime e la cosa più piccola di tutte è la passione del Signore e la morte di croce. Così colui che non la confesserà, come se dovesse vergognarsene, sarà il più piccolo, ma a colui che la confesserà è promessa la gloria di una grande chiamata in cielo.

«Poiché vi dico: Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli».

Egli introduce in modo stupendo il superamento dell’opera della Legge, non per abolirla, ma per superarla con un miglioramento progressivo: dichiara infatti che l’entrata in cielo sarà offerta agli Apostoli, solo se essi supereranno la giustizia dei farisei. Dopo aver esposto dunque le prescrizioni della Legge, Egli le supera perfezionandole, non abolendole.

La Legge proibiva di uccidere, facendo espiare con un giudizio severo il reato di omicidio. Ma nei Vangeli un sentimento malvagio verso un’altra persona incorre nella stessa pena, e, secondo il precetto della fede, il lasciarsi prendere dall’ira senza ragione non è una colpa minore dell’omicidio nelle opere della Legge. «Chi poi dice al fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio». “Stupido” è un insulto indirizzato alla vacuità. Colui che calunnia qualcuno pieno di Spirito Santo, inveendo contro la sua vacuità, diventa colpevole davanti al sinedrio dei santi, e dovrà espiare con la punizione inflitta dai santi giudici l’oltraggio allo Spirito Santo. «Chi dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna». È esporsi a una grave empietà offendere colui che Dio ha chiamato sale, dicendogli per oltraggiarlo che è insensato ed esasperare l’intelligenza che dà il sale alle realtà insensate, considerandola, per insultarla, come una intelligenza stolta. In questo modo dunque sarà alimentato il fuoco eterno. Pertanto tutto ciò che la Legge non ha condannato, anche se si trattava di azioni, la fede dei Vangeli lo condanna in base alla leggerezza nell’insultare anche solo con parole.

Unendo tutti gli uomini col vincolo di un amore vicendevole, egli non tollera che si faccia una preghiera senza spirito di pace. Prescrive invece che coloro che portano offerte all’altare, se si ricordano di avere qualche lite con i fratelli, si riconcilino con una pace umana prima di ritornare alla pace divina, per passare dall’amore degli uomini all’amore di Dio.

E poiché non consente che trascorra un solo istante senza avere sentimenti di clemenza, Egli comandò di affrettare, durante tutto il cammino della nostra vita, la nostra riconciliazione benevola con l’avversario, per evitare che, a forza di temporeggiare nel rinnovare l’amicizia, arriviamo all’ora della morte senza esserci riappacificati, e che «l’avversario ci consegni al giudice, il giudice alla guardia e non usciremo di là finché non avremo pagato fino all’ultimo spicciolo». Nelle istruzioni sulla preghiera domenicale, c’è una condizione per chiedere che i nostri peccati siano rimessi: che noi accordiamo ai nostri avversari il perdono richiesto, per implorare a nostra volta il perdono. Così esso ci sarà rifiutato se lo rifiutiamo agli altri, e noi siamo la causa della nostra stessa condanna se arriviamo all’ora del giudizio senza aver perdonato le offese, allorché l’avversario ci consegnerà al giudice, poiché il rancore, che continuiamo a provare nei suoi confronti per l’offesa ricevuta, ci accusa. Siccome poi la carità copre una moltitudine di peccati  ed è presso Dio un avvocato che intercede per le nostre colpe, se la ricompensa della stessa carità non riscatta la colpa dei nostri numerosi peccati, noi pagheremo fino all’ultimo spicciolo della nostra pena. 

[…] «Avete inteso che fu detto: Non commettere adulterio […]».

L’insegnamento nel suo sviluppo segue il suo proprio corso. Siccome le opere della Legge sono superate, il semplice movimento di uno sguardo malizioso viene ora considerato nei Vangeli come un adulterio e la cupidigia di uno sguardo fuggevole è punita come un atto di fornicazione .

«Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo cavalo e gettalo via da te […]».

Appare qui un livello più alto di purezza e la fede realizza un progresso. Siamo esortati a evitare non solo i nostri vizi personali, ma anche quelli che provengono dall’esterno. Così, se viene comandato di recare un danno al nostro corpo, non è perché le nostre membra si siano rese colpevoli di peccato: l’occhio sinistro infatti potrebbe peccare non meno dell’occhio destro, Certamente il piede, che non è cosciente della sua concupiscenza subisce inutilmente un danno, e la responsabilità del castigo non cadrà su di esso. Ma poiché, pur essendo delle membra diverse tra di loro, noi tutti formiamo tuttavia un corpo solo, siamo esortati a gettare via lontano da noi o piuttosto a tagliare i legami con i nomi più cari, per non passare dall’amicizia ad una complicità peccaminosa con essi, se scorgiamo in essi un pericolo di questo genere. Infatti conviene di più essere privati di membra utili e necessarie, come l’occhio o il piede, che essere uniti dal sentimento di un legame peccaminoso, che conduce ad essere gettati insieme nel fuoco della Geenna. Ma sarebbe inutile tagliare delle membra, se non può essere tagliato anche il cuore. Dal momento infatti che la concupiscenza è assimilata a un’attività, è inutile recare un danno al corpo, se rimane l’impulso della volontà.

«Fu pure detto: Chi ripudia la propria moglie le dia l’atto di ripudio».

Se ha fatto dell’uguaglianza una disposizione valida per tutti, Egli ha prescritto di osservarla soprattutto nella pace tra gli sposi. Aggiunge così molte cose alla Legge, senza togliere nulla. E un miglioramento certamente non può essere deplorato. Mentre la Legge aveva accordato la facoltà di notificare il divorzio con la garanzia di un atto di ripudio, ora la fede evangelica non solo ha ordinato al marito di avere sentimenti di pace, ma gli ha anche imputato la colpa di aver spinto sua moglie all’adulterio, nel caso in cui, costretta dalla separazione, ella si trovasse nella necessità di sposare qualcun altro. Ha prescritto come unico motivo, che giustifichi l’abbandono del legame coniugale, il disonore causato al marito dall’unione con una moglie prostituta.

«Avete anche inteso che fu detto agli antichi: Non spergiurare […]». La Legge aveva stabilito una pena per lo spergiuro, affinché il rispetto del giuramento tenesse a freno l’intenzione di ingannare, e nello stesso tempo perché il popolo, rozzo e sfrontato, facesse con frequenza menzione del suo Dio nella sua maniera abituale di giurare. Ma la fede elimina l’abitudine di giurare. Essa stabilisce nella verità le attività della nostra vita e, facendo rigettare l’inclinazione a mentire, prescrive la lealtà nel parlare e nell’ascoltare, di modo che ciò che è sia e ciò che non è non sia. Infatti, tra “è” e “non è” c’è spazio per la menzogna e il di più viene tutto dal maligno. Ciò che è, ha la proprietà di essere sempre, ciò che invece non è, ha per natura di non essere. Così coloro che vivono nella semplicità della fede non hanno bisogno del legame del giuramento. Con essi ciò che è, è sempre, ciò che non è, non è, per cui tutte le loro azioni e tutte le loro parole sono nella verità.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Se hai gradito questo articolo, clicca per favoreMi piacesulla pagina Facebook di The Horsemoon Post (raggiungibile qui), dove potrai commentare e suggerirci ulteriori approfondimenti. Puoi seguirci anche su Twitter (qui) Grazie.


banner-solidali-istituzionale-468x60