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Cultura
Luisa Morandini – donna, attrice, regista, critico cinematografico – lo scorso 11 maggio è stata la protagonista del quinto appuntamento di “Cunta 2012 -
Una “chiacchierata” sul cinema, come l’autrice ha voluto definirla, guardato con gli occhi di chi lo ha fatto e di chi lo recensisce. Due approcci antitetici in una sola persona, cresciuta all’ombra di un simbolo della critica cinematografica, Morando Morandini, secondo una ferrea educazione in cui non era permesso sbagliare in termini culturali e etici, ma dove i compleanni dei bambini venivano festeggiati con proiezioni di Charlie Chaplin e Buster Keaton.
Inevitabile per lei la scelta di vivere una vita per e con il cinema, prima come attrice comica in un periodo, gli anni Settanta, durante il quale alle attrici erano più richieste qualità estetiche che Luisa Morandini non aveva che capacità interpretative, soprattutto comiche. L’Italia, in questo, non è mai cresciuta, diversamente da Stati Uniti, Francia e Inghilterra, dove le qualità artistiche torvano maggiore considerazione.
Questo lo scotto da pagare in una società ancora intrisa di modelli superficiali imposti dall’alto e in cui cinema e televisione non sono riusciti a favorire uno slancio culturale ma anzi hanno abbassato il proprio livello, avvicinandosi a quello delle realtà private e propinando un’offerta mediocre per un pubblico considerato inadeguato ad altro. Eppure film come “La vita è bella” di Roberto Benigni hanno dimostrato – secondo Luisa Morandini – che tematiche più serie, come quelle della guerra e dell’antisemitismo, possono essere comunicate a tutti con grande successo.
I modelli diffusi in questi ultimi anni non hanno fatto altro che imbarbarire socialmente e eticamente il popolo italiano, soprattutto per quanto riguarda lo stereotipo femminile da sempre legato alla mercificazione e all’impossibilità di far carriera senza pregiudizi. Gli stessi che Luisa Morandini ha dovuto affrontare quando è approdata nel mondo della critica cinematografica e della regia, due realtà sentite come prettamente maschili e in cui una donna stenta a farsi accettare, seppur con qualche eccezione.
Tra critico cinematografico e regista esiste un dualismo di difficile coniugazione, perché se il critico, come un voyeur introverso, è una persona esperta, amante del cinema, che racconta e dà un parere personale, condizionando le sorti di un film, il regista lavora dietro la macchina da presa, gestisce e decide tutti i passaggi di un prodotto cinematografico che diventa lo specchio della sua anima e della sua creatività. Luisa Morandini sembra avere trovato la propria dimensione come regista e documentarista, riuscendo anche a rivolgersi direttamente all’universo femminile e a intraprendere un percorso di cambiamento in un momento di crisi.
Fare cinema, fare cultura, oggi, significa portare il nuovo, il non banale in luoghi e realtà umane diverse, anche impensabili, per instillare il germe della rinascita al di là delle difficoltà. «Si deve continuare a fare ciò che stiamo già facendo» ha dichiarato la Morandini per rispondere a chi crede che la non produca reddito o che il mondo del cinema sia in crisi, mentre le risorse, economiche e creative, vengono gestite in modo errato, non permettendo ai giovani e alle produzioni emergenti di esprimersi.
Il cinema è impresa e necessita di risorse per produrre risultati, è intrattenimento, a volte arte, ma di certo è mezzo di comunicazione immediato e potente che ha il dovere di fare qualcosa per questa società.
Questo il messaggio che Luisa Morandini ha voluto lanciare al pubblico gelese, nel quale ha avvertito un fermento, interesse ad ampliare la visione oltre ai problemi quotidiani di una città in difficoltà, raccontando la sua storia, la sua esperienza di donna e di professionista impegnata quotidianamente a cercare di raddrizzare le storture nel proprio mondo sociale e professionale, con l’auspicio di non essere sola.
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