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Cultura
Roméo e Juliette sono da poco diventati genitori. Adam, il loro bambino, ha 18 mesi e un tumore al cervello, di una forma talmente rara che la guarigione non è più una speranza ma la certezza di un miracolo. Roméo e Juliette sono Jérémie Elkaim e Valérie Donzelli, protagonisti non solo della pellicola ma della vicenda reale che hanno affrontato insieme prima che l’amore tra i due finisse.
Un uomo e una donna diventati una famiglia per caso, così come incidentalmente si trovano a dichiarare guerra al male di tutti i mali, costretti a diventare adulti senza averlo chiesto, inconsapevoli e impreparati ad affrontare un evento straordinario.
L’intento de “La guerre est declarée”, film francese acclamatissimo alla scorsa edizione del Festival di Cannes, però, non è farci sapere se Adam si salva o meno.
I nomi dei due attori vogliono indubbiamente rivelare la sventura della vicenda, ma la tragicità degli avvenimenti raccontati dalla Donzelli -
La macchina da presa segue con ritmo febbrile e ossessivo i due attori/genitori che si muovono compulsivamente tra stanze d’ospedali e dottori, tac, protocolli clinici, terapie incomprensibili e dichiarazioni di quasi morte. Sono giovani e totalmente inesperti. «Bisogna condividere il brutto per conservare il buono», dice saggiamente Roméo dopo aver appreso la notizia della malattia del figlio. Entrambi hanno la consapevolezza che da soli non ce l’avrebbero fatta e che se hanno vinto quella battaglia attraversando l’inferno è solo perché erano insieme. Non si può certo parlare di ottimismo, ma di vitalità sì. Di humour, complicità, coraggio e, soprattutto, amore. E di paure.
C’è una scena, nel film, che per alcuni potrebbe sembrare di cattivo gusto o addirittura superficiale, ma è lì che viene rivelata la natura sorprendente dei protagonisti e della loro capacità di reagire di fronte al dolore e alla sfortuna: Roméo e Juliette dormono nella stanza d’ospedale, la sera prima di un intervento lungo 9 ore al quale sarà sottoposto il bambino. Si accucciano l’uno a fianco all’altra e si confessano le rispettive paure, ai limiti dell’assurdo. Nessuno dei due pensa alla morte ma ai drammi più disparati fino a diventare quasi una scena comica e a strappare una sonora risata allo spettatore.
La regia di questo piccolo grande film è fenomenale per quanto sia capace di riprodurre certe soluzioni à la Nouvelle Vague. Un po’ Godard per la fedeltà documentaria di alcune riprese, un po’ film d’azione per l’impatto visivo di alcune immagini: la natura clinica del cancro, i colori saturi, la musica elettronica, il montaggio discontinuo. La città, Parigi, è lo spazio caotico nel quale rifugiarsi per non smettere di sentirsi comunque dei combattenti; ma è anche la spiaggia che li accoglie per “complimentarsi” del loro resistere, per permettere loro di respirare di nuovo.
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