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POLITICA LOCALE
La piccola casta degli enti locali, pozzo senza fondo d’inadeguatezza
Sindrome Grillo, demagogia e campagna elettorale. Licenziare i padreterni?
Tablet e video porno.A Gela, città della legalità parolaia, un muro di omertà copre i nomi dei protagonisti di una vicenda boccaccesca
di Vincenzo Scichilone
Articolo pubblicato l'8.06.2012 - h 14.20 | Tag: tablet, consiglieri comunale, Gela, siti porno
Lo sconquasso prodotto dal successo della lista di Beppe Grillo alle recenti amministrative deve aver convinto qualcuno che è tempo di avviare una lotta senza quartiere per la moralizzazione della politica e ogni occasione è buona per farlo. Avviare una sorta di sorveglianza morale è un compito da polizia etica, come nella peggiore tradizione islamista. Ultimo episodio, qualche giorno fa, proprio a Gela, sesta città della Sicilia, martoriata da mille contraddizioni e da potenzialità inespresse.
A far scoppiare il caso è stato l’unico esponente del PSI nell’assise civica, Piero Lo Nigro, il quale avrebbe abbandonato rumorosamente una riunione informale della maggioranza politica che sostiene il lavoro della giunta municipale, dopo essersi accorto che alcuni colleghi erano intenti a visionare – con attenzione formativa? – un video porno attraverso un tablet, piuttosto che seguire il ragionamento del collega. Ne è seguito un diluvio di prese di posizione degne di un feuilleton.
Il fuoco alle polveri l’ha dato il sindaco, Angelo Fasulo (PD di robusta tradizione democristiana), che ha affidato il proprio sdegno a una nota stampa (pubblicata integralmente sul sito istituzionale del comune e poi rilanciata dall’Ansa), vera e propria denuncia di un fatto non avvenuto ma forse accaduto. Un nonsense comunicativo, un ombrello aperto sotto il sole in attesa di una pioggia che non si sa se arriverà o se c’è già stata.
In scia, il capogruppo dell’MPA nell’assemblea civica, Terenziano Di Stefano, il quale in un articolato (quanto contorto) comunicato stampa ha semplicemente affermato “noi non c’entriamo!”
Infine, perla tra le perle, il presidente del consiglio comunale Giuseppe Fava ha dato la colpa ai soliti giornalisti, perché ha dichiarato con originale equilibrismo (ma senza alcun equilibrio) che «il video hard nel tablet è partito senza che alcuno ne potesse controllare gli sviluppi. Si sta facendo un rumore eccessivo, alimentato da una parte della stampa che tende a esaltare solo quanto di peggio vi è nella politica gelese». Affermazione che non avrebbe bisogno di alcun commento, interessante solo perché appone il suggello della verifica ai fatti. Avvenuti a prescindere dalle strumentalizzazioni di stampa.
Naturalmente si è scatenato il putiferio in città sull’irresponsabilità dei soggetti protagonisti del fatto, con richieste di dimissioni invocate a gran voce anche a mezzo stampa. Le ipotesi lanciate – anche da chi scrive – hanno ruotato sulla proprietà del tablet su cui le immagini porno sono state visualizzate: in caso fosse stato di proprietà comunale si sarebbe potuto ipotizzare perfino un reato (peculato).
Sennonché, approfondendo la questione sembra che la “tavoletta” multimediale appartenga al consigliere che l’avrebbe utilizzata in modo inappropriato, dimostrando scarsa sensibilità e forse anche mancanza di educazione personale, ma non commettendo un reato. Questo consigliere è ben conosciuto dal presidente Fava (che ha citato un fatto preciso, quindi non può non conoscerlo), il quale avrebbe dovuto piuttosto esercitare il proprio alto ruolo istituzionale per chiarire le circostanze senza ombra di dubbio e tirare le orecchie all’erotomane prestato alla politica locale. Sic et simpliciter.
Sarebbe interessante capire perché, al contrario, Fava ha attribuito colpe alla stampa, senza esprimere una parola (dicasi una) di esecrazione per un comportamento improprio a prescindere dal genere di video visionato: fosse stato un film di Totò sarebbe stato di uguale gravità, sia per l’insensibilità politica mostrata, che per la cattiva educazione evidente.
Questa faccenda però mostra una manipolazione dei fatti che ha fatto cadere molti in errore (compresi noi) e tale uso strumentale è percepibile nella catena costituita da “denunzia preventiva/dichiarazioni di estraneità/ammissione di fatti avvenuti a propria insaputa”, come se qualcuno avesse voluto suscitare sentimenti d’indignazione e cavalcare la tigre grillina dell’antipolitica che alberga oggi in ogni cittadino esausto da un fisco asfissiante e da uno Stato oppressivo e divorante risorse pubbliche. Insomma, pura strumentalizzazione.
Viene il sospetto infatti che l’alone di segretezza omertosa sulle identità dei trastullati (dal video porno) sia ad uso e consumo della battaglia politica locale, in pre-
Ovvio che il vero scandalo è costituito dalla disamministrazione della città e del territorio, dal massiccio uso di demagogia senza costrutto, dalle inaugurazioni plurime di strutture e dallo sperpero di denaro pubblico (ultimo esempio, due parcheggi costati fior di denari: il primo con problemi di stabilità strutturale e chiuso poco dopo l’apertura; l’altro mai consegnato alla fruizione della città). La visione di un video hard durante una trattativa politica (sarebbe utile sapere l’ordine del giorno della riunione…) è questione di lana caprina, volta a nascondere il fallimento di un’intera classe dirigente locale e regionale, con il supporto della burocrazia spesso capace solo di autoassolversi o di pavoneggiarsi in inutili conferenze stampa.
Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella quasi un anno fa hanno pubblicato l’ennesimo libro-
Trattando però dei soggetti protagonisti di questa pagina sgradevole di politica locale cialtrona, il titolo del libro di Rizzo e Stella sembra impegnativo e sovradimensionato. Nella migliore delle ipotesi, si potrà parlare -
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