Editoriale del direttore | L'Eni chiude lo stabilimento di Gela per manutenzione, ma c'è chi teme non riapra mai più, di John Horsemoon - 19.04.2012 | THE HORSEMOON POST -

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Editoriale del direttore | L'Eni chiude lo stabilimento di Gela per manutenzione, ma c'è chi teme non riapra mai più, di John Horsemoon - 19.04.2012 | THE HORSEMOON POST


Indice degli articoli

Gli editoriali del direttore

Cinquecento persone in cassa integrazione, ulteriore ferita per un territorio in crisi
L'Eni chiude lo stabilimento di Gela per manutenzione,

ma c'è chi teme non riapra mai più
Un'occasione d'oro da non lasciarsi sfuggire per cambiare la prospettiva di una città martoriata
di John Horsemoon

Articolo pubblicato il 19.04.2012 - h 15.30

Tag: Eni, petrolio, Gela, abusivismo, cultura, mare, agricoltura, energie rinnovabili

La notizia si è diffusa ieri con la stessa intensità di un uppercut inferto a un pugile claudicante, un colpo da ko. Una di quelle botte che, se non cadi, impone comunque ai secondi di gettare la spugna. In effetti, la città sembra avere pochi margini di reazione, nell'anno che dovrebbe celebrare il 2700° anniversario della fondazione per opera dei coloni greci. Parliamo di Gela, una città dalle potenzialità straordinarie, ma da molto tempo stretta da una manovra a tenaglia: da un versante la cappa di intollerabile violenza e inciviltà che è stato terreno di coltura di diverse consorterie criminali; dall'altro un'economia imperniata sull'insediamento petrolchimico dell'Eni, una scelta miope figlia dell'industrialismo meridionale pesante marcato DC e PSI.  L'agricoltura, pur avendo molti dardi nella propria faretra, messa in un angolo culturale, malgrado raccolga oggi più del doppio degli impiegati nell'industria dell'indotto petrolifero.

Aperto negli anni '60 grazie ai buoni uffici di Salvatore Aldisio, eminente democristiano locale, il petrolchimico ha dato un futuro diverso a migliaia di persone, non solo native di Gela. Da ogni parte della Sicilia e da alcune parti d'Italia arrivarono nella cittadina del golfo migliaia di persone, con le professionalità richieste sia dall'industria che dal rapido aumento della popolazione, passata in pochi anni da 30 a quasi 100mila abitanti (negli anni d'oro).

Eppure, fin dall'inizio fu chiaro che la pioggia di denaro caduta sulla città non avesse prodotto quel cambiamento strutturale indispensabile a imporre una duratura modificazione degli assetti socio-economici. Lo certificò il sociologo norvegese Evydin Hytten, in uno studio ordinato dall'Eni alla fine degli anni '60, che avrebbe dovuto celebrare trionfalisticamente l'insediamento industriale, ma che fu occultato a bella posta perché formulava un giudizio tanto indipendente quanto perentorio sugli effetti dell'industrializzazione forzata di un territorio con ben altri talenti: crescita senza sviluppo. Amen.

L'Eni ha annunciato la chiusura di due linee di raffinazione del petrolchimico di Gela
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Tornando all'oggi e alla notizia che ha colpito la città improvvisamente (per i ciechi, i sordi e chi mente sapendo di mentire): l'Eni chiuderà per 12 mesi due linee di raffinazione del greggio tra le più efficienti del gruppo sotto il profilo tecnico (grazie alle maestranze qualificate), ma – a detta della multinazionale italiana – meno sotto quello economico. A sostegno di questa decisione ci sarebbe la flessione della domanda di carburanti seguita alla crisi economica, che renderebbe meno competitivo il prodotto raffinato a Gela.  In attesa che i mercati si raffreddino e la crisi si attutisca, occorre – secondo l'Eni – tagliare l'occupazione. Se ne riparlerà fra 12 mesi, sempre che la crisi economica si attenui e il Paese torni a crescere. Ma molti temono che questa riapertura non avverrà mai e che, paradosso della neo-modernità, a Gela si concentri nel futuro tutta la produzione più inquinante, sotto la spada di Damocle sociale della disoccupazione diffusa. Insomma, scenari da incubo.

Questa situazione ha parecchi padri, ma nessuno che sia coraggioso a riconoscerne la genie. Per semplificare e generalizzare (ma mai come in questa occasione la generalizzazione ha il sapore dell'insieme che raccoglie davvero tutti), è una storia che dovrebbe pesare sulle coscienze delle personalità politiche succedutesi al comando della città con un ricambio di idee pari allo zero assoluto, ammesso e non concesso che abbiano avuto e abbiano una coscienza; e che siano davvero “personalità”, non semplici comparse di una farsa che rischia di trasformarsi in tragedia collettiva.

L'occasione è d'oro, perché ogni crisi porta rischi ma anche opportunità, e si dovrebbe cogliere per trasformare l'orlo di un precipizio di inviluppo in chiave di volta per cambiare decisamente le sorti di un territorio che sembra condannato alla devastazione ambientale e alla povertà.

Gli attori in campo non sono di qualità tale da far ben sperare, però sta crescendo in città una generazione di giovani che si è messa in testa di rifiutare il declino e di modificare il percorso verso il baratro. Un avvocato che vuole mantenere l'anonimato per riservatezza ha definito “pecorile” l'attitudine dei consigli comunali succedutisi negli ultimi 50 anni, preoccupati di raccattare qualche posto di lavoro in un'ottica di puro clientelismo. Visione cieca, ma che ha prodotto finora ricadute positive sul territorio, che oggi chiede nuova rappresentanza, anche sotto istituzionale con l'istituzione della provincia di Gela. Fulgido esempio di lucidità politica in tempi di vacche messe a stecchetto per le libagioni precedenti.

Che fare? L'alternativa proposta sul campo, con il contributo decisivo di sindacati miopi quanto la politica, si muove in un range ristretto di idee: continuare l'atteggiamento supino verso il “Cane a Sei Zampe” o andare allo scontro diretto. Entrambe ipotesi distruttive e senza prospettiva, quando il territorio invece dovrebbe trarre ispirazione per il proprio futuro dall'unico insediamento di mura fortificate risalenti al V secolo a.C. Neanche in Grecia le hanno dello stesso tipo, ma nessuno lo dice. Come nessuno dice che a Gela c'è un importante (se non il più importante, per reperti raccolti in loco) museo archeologico, vera perla incastonata nel Mediterraneo. Un tesoro marginale, però, perché Gela non è inclusa nei percorsi turistici nazionali e internazionali.

Al contrario, personalità politiche degne del sostantivo e dell'aggettivo dovrebbero prendere in esame un'altra ipotesi, coniugante sviluppo sostenibile, bonifica ambientale e protagonismo dell'Eni, che dovrebbe essere costretta a bonificare totalmente l'ambiente contaminato e devastato, come è testimoniato dalle tragiche statistiche in tema di malattie neoplastiche, di nati malformati, della contaminazione della catena alimentare. Ma costringere l'Eni a pagare i danni prodotti senza niente in cambio è puro idealismo, cavalcabile dal paladino della demagogia del momento, ma senza una seria prospettiva di realizzazione. Un po' come un'antimafia giacobina e di maniera, utile a fare terra bruciata degli avversari politici, oltre che a costruire prestigiose carriere.

L'Eni piuttosto sia stretta in un angolo e costretta a prendersi la responsabilità della devastazione, con un programma a lunghissimo termine gestito proprio da San Donato Milanese. Un progetto che mettesse insieme bonifica del territorio, un nuovo progetto di sviluppo attorno alle energie rinnovabili, una nuova organizzazione del territorio e servizi avanzati per i prossimi 99 anni. Progetti analoghi sono stati “imposti” in altre parti d'Europa, non sarebbero una novità. Una novità sarebbe un modo nuovo di gestire il territorio da parte di una nuova classe politica, giovane, preparata, competente e onesta. Ma forse è chiedere troppo.


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