Opinioni | Mario Monti, illusionista o abile stratega?, di Vincenzo Scichilone - 4.07.2012 | THE HORSEMOON POST -

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Opinioni | Mario Monti, illusionista o abile stratega?, di Vincenzo Scichilone - 4.07.2012 | THE HORSEMOON POST

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La finta vittoria di Bruxelles
Mario Monti, illusionista o abile stratega?
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Servono capitalisti liberali, con l’amigdala funzionante
di Vincenzo Scichilone  | Articolo del 4.07.2012
Tag: Tag: spread, fondo salva stati, Mario Monti, Angela Merkel, Stati Uniti d’Europa, funzionalismo

La costruzione europea ha un destino che si ripete di tanto in tanto: quando arriva sull’orlo del precipizio ha un sussulto di dignità storica e fa un balzo in avanti, per superare l’impasse. O almeno ci tenta. Il 28 e il 29 giugno scorsi, nell’ultimo Consiglio Europeo, i capi di Stato e di governo dei 27 Paesi membri dell’UE (e poi in ambito ristretto i 17 dell’Eurozona) hanno trovato un accordo per superare il nodo causato dal peso dei debiti pubblici nazionali e dal rischio di implosione che ne deriva, per effetto della speculazione sui mercati finanziari.

Il capo del governo italiano, Mario Monti, insieme con il Primo Ministro spagnolo Mariano Rajoy, sono stati considerati i vincitori di quel vertice, per aver minacciato l’uso del veto sullo stanziamento dei fondi destinati alla crescita, qualora non fosse stato deliberato il fondo salva-spread, un meccanismo di intervento diretto della BCE per calmierare gli effetti della speculazione, per rifinanziare le banche, per agire quasi come una “banca federale” in grado di essere garante di ultima istanza.

L’ubriacatura pre-finale del Campionato europeo ha probabilmente influito - almeno in Italia - sulla corretta interpretazione dell’esito della riunione, esito sbandierato ai quattro venti come un successo di Francia, Italia e Spagna, e una messa all’angolo della Germania della cancelliera Merkel. Crediamo non sia così.

Mario Monti, stratega o illusionista?
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Le decisioni di Bruxelles non fanno altro che prendere tempo, senza entrare nel problema generale, senza attuare decisioni che possano cambiare realmente le sorti di 500 milioni di abitanti dell’Unione. Non entrano nel merito dell’organizzazione istituzionale, perché non avviano un processo di trasferimento di responsabilità dalla periferia al centro e non garantiscono un reale passaggio dall’attuale struttura confederale dell’UE, in cui la diplomazia e le contrattazioni degli sherpa hanno il peso visibile da tutti. Non mandano a casa la diplomazia, non danno il ruolo che compete al popolo attraverso i meccanismi e le istituzioni legittime sotto il profilo democratico.

I 27 non hanno affrontato il reale problema di alcuni Paesi (quali l’Italia e la Grecia), che hanno strutture pubbliche paralizzate da un debito crescente, a causa dell’elefantiasi prodotta negli scorsi decenni come strumento di stabilizzazione surrettizia della società: Grecia e Italia sono state - nel corso della Guerra Fredda - Stati di frontiera tra l’Ovest libero e l’Est sovietico. Che piaccia o meno, il clientelismo e il reclutamento nelle strutture pubbliche sono stati strumenti di gestione consociativa del potere e di disinnesco della violenza politica. Pensare di cambiare questo stato di cose con decisioni repentine ed effetti a breve termine è una stupida illusione, pericolosa perché sarà inevitabilmente fonte di tensioni sociali.

I 27 non hanno perciò avviato una fase nuova, ma sono rimasti ancorati agli schemi vecchi di un dirigismo sovietizzante, in cui le persone, gli individui, sono numeri e dei numeri non ci si preoccupa: si tagliano, come fossero decimali inutili. Non è questa la base ideale con cui i Padri Fondatori del processo di integrazione europea avviarono il percorso di unificazione del Continente, dopo due sanguinosi conflitti europei tramutatisi in guerre mondiali. Le basi originarie sono cristiano-sociali, non sovietico-finanziarie.

In molti Stati dell’Europa occidentale - non solo in Italia e Grecia - si pagano oggi le disattenzioni etiche causate dal conflitto bipolare, le cattive abitudini della politica “drogata” da risorse esterne, l’eredità di una guerra civile latente, in cui l’avversario era (e per molti versi rimane) il nemico da eliminare (anche fisicamente). In Italia, in particolare, la guerra tra le bande politiche e clientelari dura da 20 anni, ha una radice nel periodo fascista e corporativo, non è mai stata vinta da alcuna delle parti in campo, come è naturale sia.

Serve invece una cesura, uno stacco istituzionale e politico -  sia in Italia che in Europa - perché i principali attori di questa pagina di cronaca politica italiana sono sotto i riflettori da oltre 20 anni e, dunque, pienamente responsabili dell’attuale  crisi economica, istituzionale, politica. Serve mandare a casa e riporre nei libri di storia la stragrande maggioranza di questi individui, che pontificano sulla spending review, ma sono corresponsabili dello sfascio.

Si prenda, per esempio, il debito pubblico. Enrico Cisnetto, Oscar Giannino, Paolo Panerai sono solo tre dei tanti giornalisti, esperti di economia, politologi che da oltre 10 mesi invitano a ripetizione il governo Monti a compiere l’unica manovra che può fare volare l’economia italiana, liberarla dal peso degli interessi e dalla minaccia della speculazione: il taglio secco dello stock in conto capitale del debito, attraverso una manovra integrata che porti alla cessione di immobili e assett pubblici (non di tutti gli immobili e di tutti gli assett), destinandone il ricavato per due-terzi all’abbattimento sotto l’80% sul PIL del debito, un-terzo agli investimenti in infrastrutture (materiali e immateriali). Perché non si fa?

Pensiamo che questa manovra semplice nella sua complessità non venga decisa perché la politica non potrebbe approfittarne in questo momento, per concedere ad amici, clientes, compari di varia risma e natura la possibilità di accaparrarsi a prezzi di favore questi beni pubblici, vista la pressione mediatica e civica nazionale e internazionale. Insomma, secondo noi, la partitocrazia blocca la soluzione del problema per interessi inconfessabili di natura predatoria.

Mario Monti è tirato per la giacchetta, da destra e da sinistra, perché è il paravento delle malefatte dei partiti, tutti, non solo PDL, PD e UDC che ne sostengono l’esecutivo frutto di una manovra di palazzo con forte influenza del capo dello Stato, trasformatosi (forse anche per necessità contingenti) da notaio e custode a ingegnere e progettista. Le manovre effettuate finora hanno avuto l’effetto depressivo che tutti possono verificare. A dispetto di potenzialità percepite che potrebbero fare dell’Italia la locomotiva europea. In Francia, Hollande sta per intraprendere l’infausta via dell’inasprimento fiscale. Cadrà pure la Francia.

All’Italia e all’Europa serve una scossa per cambiare passo e direzione. Le parole del neo-presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, sulla riforma del mercato del lavoro sono state significative e forse manifestano la fine del berlusconismo e dell’anti-berlusconismo perfino nella più importante associazione imprenditoriale italiana. Se sono i primi passi per una discesa in campo degli imprenditori, gli unici che per definizione devono innovare, lo si capirà nelle prossime settimane.

Per il futuro non c’è spazio per forme finto-socialiste e finto-capitaliste di economia, in cui gli imprenditori (soprattutto i grandi) socializzano le perdite e privatizzano gli utili. Serve una revisione dei meccanismi keynesiani, per evitare che profittatori e ladri abbiano spazio per arricchirsi. Serve, come dice l’economista Luigi Zingales, una classe di capitalisti con l’amigdala funzionante, che rischino con cognizione di causa; trovino banche che ne finanzino avventure con la raccolta di credito classica e non inneschino pericolosi conflitti di interesse; ma non addossino i fallimenti delle proprie scelte allo Stato e alla comunità. Servono capitalisti non viziati dallo Stato. Serviranno sindacati realmente protettori dei diritti dei lavoratori e formatori dei lavoratori sui loro doveri. Il quesito è conseguenziale: riuscirà l’Italia a vivere questa rivoluzione copernicana e a promuoverne gli effetti in Europa?

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