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Editoriale , Primarie PD
La sconfitta di Renzi è un successo per Bersani, Berlusconi e Casini, che archiviano ogni proposta di rinnovamento in politica. Grillo gongola e rivendica l'esclusiva della "rottamazione"
Per motivi diversi, alle nomenclature di PDL, PD e Movimento 5 Stelle farebbe comodo se Renzi uscisse di scena. Perché i conservatori hanno votato il sindaco di Firenze alle primarie, ma non lo faranno alle elezioni. L'opzione di "Fermare il declino" di Oscar Giannino
di Vincenzo Scichilone | Articolo del 4.12.2012
Tag: Matteo Renzi, Pierluigi Bersani, Silvio Berlusconi, Pierferdinando Casini, Gianfranco Fini, Beppe Grillo, PD, PDL, UDC, M5S
Pierluigi Bersani ha vinto le primarie del centro sinistra, battendo nettamente Matteo Renzi: sarà il candidato della coalizione alla guida del governo per le prossime consultazioni politiche, previste nella primavera del prossimo anno. La designazione del segretario del Partito Democratico potrebbe tradursi in uno stop all'ipotesi di un "Monti bis", ma tutto può accadere. Nell'economia del nostro ragionamento però il ruolo futuro dell'attuale presidente del consiglio non ha importanza.
La sconfitta di Renzi, perentoria, inequivocabile, è stata preceduta dal fuoco di sbarramento della "struttura di partito", che ha impedito a migliaia di persone di esprimere il proprio consenso per uno dei due contendenti del ballottaggio. La paura del "partito collettivo" era che le idee liberali di Renzi potessero raccogliere più consenso del tollerabile.
Il sindaco di Firenze ha infatti attratto il favore di quell'area conservatrice dell'elettorato italiano, mobile per definizione, un'area "di mezzo" liberale e "democristiana" nei valori, ma poco incline a farsi ingabbiare in classificazioni partitiche, capace di cambiare opinione politica e perfino a non votare, se la proposta politica non riesce a soddisfare alcuni presupposti. Il popolo di chi riesce a "tapparsi il naso" per il bene generale, non sempre con successo, ovvio.
Apro una parentesi personale, per spiegare perché ho votato alle Primarie PD pur non essendo un elettore di sinistra tout court. La proposta differente di Matteo Renzi (riassunta grossolanamente in 20 punti, pubblicati a lato) ha attratto la mia attenzione per il carico di novità e di schiettezza, per la spinta verso il rinnovamento della classe dirigente italiana, non solo del PD e non solo politica, perché in grado di innescare un salutare effetto domino. Una rottura con il passato che non avesse al centro solo il paradigma anagrafico, ma che implicasse un cambio di rotta deciso, individuabile, una cesura.
Nel 2006 ho espresso per l'ultima volta il mio voto vero, in occasione delle politiche. Nel 2008, per il rinnovo anticipato dell'Assemblea Regionale e del presidente della Sicilia, ho annullato la scheda. Poi non ho più votato, perché ho ritenuto che la proposta politica fosse del tutto inadeguata alle sfide contemporanee e che la deriva dell'Italia non fosse contrastata da proposte serie, presentata da gente perbene.
Il Partito Democratico ha avuto l'indubbio merito di riportarmi alle urne, sebbene in una consultazione gestita con criteri privatistici, su cui si potrebbe dibattere per ore, ma comunque una grande occasione di partecipazione popolare, mirante a contrastare l'allontanamento della gente dalla politica. Fine che non so se sarà pienamente raggiunto, ma nell'immaginario collettivo si è registrata una inversione di tendenza.
Sono perciò tra i votanti di Renzi che avrebbe dopato il risultato elettorale, secondo una interessante definizione di Luca Telese, direttore di "Pubblico". In realtà, ho manifestato al PD la disponibilità a votare un partito che mai avrei pensato di votare, qualora avesse accettato il programma "rivoluzionario" di Renzi. Già questo aggettivo – rivoluzionario – dovrebbe far riflettere su quale livello di insensata occupazione della cosa pubblica da parte dei partiti spinga l'Italia fuori dall'alveo delle democrazie occidentali, avvicinandola alle finte democrazie orientali mono o pluripartitiche. La partitocrazia – che consente alla politica di invadere ogni meandro della vita sociale nazionale e locale, oltre che di premere sull'economia sia con l'intervento diretto che con la fiscalità soffocante su privati e imprese – è la malattia della democrazia del Bel Paese.
Con queste premesse, il voto a Renzi è stato per molti cittadini moderati una finestra spalancata su un panorama nuovo, una potenziale boccata d'aria fresca per cercare di invertire la rotta del declino nazionale, una folata di novità.
La sconfitta del sindaco di Firenze potrebbe dunque mortificare questa richiesta di cambiamento, perché ringalluzzisce una classe dirigente vecchia, sia sotto il profilo anagrafico che sotto quello delle idee: se il Paese è nelle condizioni di difficoltà attuali, con un debito pubblico allucinante, è per l'incapacità di governare di chi ha avuto finora in mano le leve del potere politico, amministrativo, economico.
Con Bersani vincono anche i Vendola, i Tabacci e le Puppato, sconfitti dal voto popolare. Bersani trascina sul traguardo della vittoria pure Berlusconi, capace dell'ennesimo testa-
La sconfitta di Matteo Renzi è anche un insperato regalo a Beppe Grillo e al Movimento 5 Stelle, sotto il fuoco delle critiche per una organizzazione interna con qualche incespicamento democratico. Non a caso Grillo ha criticato aspramente Renzi, perché Bersani sarà più facile da attaccare e sconfiggere nelle urne elettorali. Fatto fuori Renzi, il comico genovese può tornare a rivendicare il titolo esclusivo di "rottamatore" della politica italiana.
Insomma, con questo terribile fuoco di sbarramento, era difficile che Renzi fronteggiasse superasse l'ostilità militante di tutti i vecchi protagonisti della politica italiana, abbarbicati alla mala pianta della partitocrazia o fautori di proposte demagogiche, fondate sul rifiuto dell'integrazione europea, sulla demonizzazione dell'Euro, sulla cialtroneria come metodo di governo o come paradigma di decomposizione del sistema politico nazionale.
Bersani e la coalizione di centro-
Temi e argomenti che invece sono centrali nel programma di "Fermare il declino", movimento politico promosso da una squadra di pensatori liberali capeggiata da Oscar Giannino e di cui fanno parte Michele Boldrin, Sandro Brusco, Alessandro De Nicola, Andrea Moro, Carlo Stagnaro e Luigi Zingales. Zingales, economista dell'Università di Chicago, è stato vicino a Matteo Renzi fin dai tempi della "Leopolda" e costituisce il trait d'union tra aree contigue che dialogano e tendono a superare la distinzione destra/sinistra, probabilmente ormai vetusta per un lessico politico che dovrebbe guardare al nocciolo della questione: la partitocrazia novecentesca ha portato al declino il Paese e non lo rende appetibile sui mercati internazionali, soffoca la libertà di iniziativa e sta uccidendo il Paese.
Aprire le finestre della storia, cambiare l'aria, spingere l'Italia fuori dalla palude in cui è stata cacciata dall'inefficienza dei partiti e dai connubi criminali alimentati dalla corruzione, possono essere i punti di partenza per un nuovo percorso storico del Bel Paese.
La sconfitta di Renzi potrebbe perciò essere la premessa per il successo futuro: dalla sua parte ci sono – come ha egli stesso affermato nel concession speech di domenica sera – l'entusiasmo che lo ha seguito, trasversalmente; il tempo, inteso come dato anagrafico; la libertà, sia come paradigma di azione e partecipazione politica, sia come nuova frontiera ideale.
Allo stesso modo, la vittoria della linea conservatrice di Bersani e compagni potrebbe trasformarsi nella premessa della sconfitta non solo elettorale, quanto storica. L'esigenza di un fronte socialdemocratico europeo, che bilanci un fronte conservatore, passa per l'indispensabile casello della storia: occorre disarticolare le strutture della partitocrazia, rendere leggero lo Stato, risolvere i conflitti di interesse (non solo di Berlusconi, ma di tutti e a tutti i livelli del potere).
Altrimenti, la vera nuova frontiera per molti italiani sarà quella di abbandonare il Paese al proprio destino, per cercare una nuova vita altrove. L'esempio della Carinzia e delle imprese venete che valicano le Alpi per stabilirsi in uno Stato efficiente, non corrotto, con una pressione fiscale "civile", è significativo.
Non sono solo canzonette, direbbe Edoardo Bennato.
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