Proclamare la Rivoluzione Europea: 1000 giorni per diventare protagonisti del Mondo globalizzato, di Vincenzo Scichilone - 26.04.2012 | THE HORSEMOON POST -

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Proclamare la Rivoluzione Europea: 1000 giorni per diventare protagonisti del Mondo globalizzato, di Vincenzo Scichilone - 26.04.2012 | THE HORSEMOON POST

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Editoriali, Europa

Stati Uniti d'Europa, se non ora, quando?
Proclamare la Rivoluzione Europea:
1000 giorni per diventare protagonisti del mondo globalizzato

Uno Stato Federale per l'Europa che ci serve e per l'Europa che dobbiamo servire
di Vincenzo Scichilone
Articolo pubblicato il 26.04.2012 | Tag: integrazione europea, Unione Europea, Founding Fathers, John Maynard Keynes, guerre mondiali, shoa,, campi di concentramento, III Reich

Sono passati quasi duecento anni dal Congresso di Vienna. Duecentotrentasei dalla Dichiarazione di Indipendenza Americana, che avviò il processo di costruzione degli Stati Uniti d’America. Novantasette anni ci separano dall’inizio della Prima Guerra Mondiale, quasi settantatré dall’invasione della Polonia da parte delle truppe naziste del III Reich e dall’inizio del secondo conflitto mondiale. Infine, sono passati sessantadue anni dall'avvio del processo di integrazione europea con la “Dichiarazione Schuman” del 9 maggio 1950. Ci sono significativi elementi di collegamento tra questi fatti storici, similitudini e coincidenze che dovrebbero ispirare l’attuale classe dirigente europea, perché gli insegnamenti del passato servano a non ripetere gli errori.

Oggi, con la rigidità della Germania della Cancelliera Merkel si sconta il prezzo di una classe politica europea inadeguata alle sfide contemporanee. Si sconta la cecità di chi adottò l’Euro, moneta unica europea, senza erigere le fondamenta istituzionali che ne fossero il coerente presupposto: l’unificazione politica in uno Stato Federale che condividesse la sovranità in aree definite e distinte, secondo il principio di sussidiarietà. Si sconta la mancanza di prospettiva storica di chi ottenne la protezione valutaria del Marco Tedesco, valuta forte, in cambio della riunificazione delle due Germanie.

Ad onor del vero, i tedeschi hanno molte ragioni a voler imporre criteri più severi nella gestione delle risorse pubbliche, visto lo stato di dilapidazione del denaro pubblico soprattutto nell’Europa meridionale. In questo scenario di guerra economica intra-europea occorrerebbe però separare il grano dal loglio, con la coscienza che la dilapidazione del denaro pubblico non può continuare, così come è una pericolosissima illusione pensare di poter imporre vincoli asfissianti come un cappio al collo di un condannato all’impiccagione.

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I tedeschi, peraltro, dovrebbero conoscere la lezione della Storia meglio di altri. John Maynard Keynes, economista liberale passato alla storia come teorico dell’intervento dello Stato nell’economia, ma in realtà  sostenitore dell'intromissione statale solo nei momenti di emergenza congiunturale, fu nella commissione inviata dal Tesoro britannico ai negoziati di Versailles dopo la I Guerra Mondiale. E fino alla fine del proprio incarico si oppose con fermezza all’imposizione alla Germania del pagamento di imponenti danni di guerra come nazione sconfitta. Secondo Keynes l’umiliazione della Germania avrebbe prodotto una reazione che non si sarebbe fatta attendere. «Se punteremo deliberatamente all’impoverimento dell’Europa Centrale, la vendetta, io mi azzardo a prevedere, non potrà mancare» scrisse nel saggio “Le conseguenze economiche della pace” nel dicembre del 1919. Ma Clemenceau aveva in mente solo di alimentare l’orgoglio francese, il presidente americano Wilson e il primo ministro britannico Lloyd-George furono arrendevoli alle pretese transalpine, Vittorio Emanuele Orlando del tutto ininfluente nell’elaborazione del trattato. Le conseguenze le conosciamo tutti.


Dalla valle di inferno della II Guerra Mondiale si uscì anche grazie all’azione indefessa di superamento delle ferite meritoriamente perseguita da un gruppo di personalità politiche, che si sono guadagnate l’appellativo di “Founding Father” della comune patria europea. Se solo si fosse dato ascolto a Keynes, quel processo avviato nel 1950, con la “Dichiarazione Schuman” e la CECA (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio) dell’anno successivo, sarebbe partito probabilmente prima e tutta Europa si sarebbe risparmiata il nazismo, i campi di concentramento, la Shoa e 50 milioni di morti.

Tornando al tema dei debiti pubblici, dell’Euro, della stabilità monetaria e finanziaria, la vera questione da risolvere è: quanto crediamo nell’Europa? Quanto pensiamo sia un processo irreversibile? Quanto siamo in grado di capire che con l’Europa tutto è possibile, senza tutto è impossibile? Perché al centro del dibattito che non si fa, per ignoranza media del ceto politico (specialmente italiano), c’è una questione di fondo: gli Stati dell’Europa membri dell’Unione Europea non avrebbero alcuna chance geopolitica di fronte alla forza economica e demografica delle aggregazioni plurinazionali e multietniche come Cina, India, Brasile. Se anche il progetto di restaurazione di un Califfato Islamico, dal Marocco all’Indonesia, propugnato dai jihadisti di Al-Qaeda, avesse insuccesso, quanto può contare la Francia o il Regno Unito di fronte agli oltre duecento milioni di indonesiani? Zero.

Ergo, si tratta di prendere coscienza che il metodo “funzionalista”, seguito finora per sviluppare i livelli di cooperazione in tutte le materie di interesse intra-statale (dall’agricoltura alla moneta), non funziona più e che si deve passare a una fase nuova, già nella mente dei Padri Fondatori: lo Stato federale europeo. Oggi, come si trovarono a ragionare i delegati alla Convenzione di Philadelphia del 1787, si tratta di capire che fare dei debiti pubblici degli Stati membri dell’Unione e partecipanti all’Unione Economica e Monetaria,  presupposto istituzionale dell’Euro.

Le Colonie Nordamericane,  duecentoventicinque anni fa decisero nell’unico modo logico e coerente con il loro progetto: unirono i debiti pubblici e li ristrutturarono, trasformandoli da debiti a medio termine in debiti a scadenza trentennale. E sancendo che solo il Governo Federale potesse emettere certificati del debito pubblico dello Stato Federale. Con quella decisione impedirono che gli Stati si indebitassero, facendone pagare le conseguenze agli altri Stati dell’unione; ma dettero ai creditori la misura di quanto essi credessero nella costruzione di una Nazione unita nel vincolo federale, attorno al principio della condivisione della sovranità, con compiti e ruoli definiti tra livello statale e Governo federale.

Due secoli dopo, in Europa siamo nella stessa condizione di allora: dobbiamo decidere se vogliamo un futuro di prosperità democratica per i nostri figli e i nostri nipoti o se vogliamo che crescano nella più antidemocratica pseudo-democrazia della storia delle istituzioni politiche. Dobbiamo decidere se lasciare le nostre vite in mano alla dittatura burocratica dei tecnocrati che agiscono come supplenti di classi politiche inette o se vogliamo percorrere “l’ultimo miglio” di un percorso storico costruito con il sacrificio di migliaia di caduti per la libertà. La crisi è dunque un’occasione storica per cambiare il destino di 500 milioni di persone e avviare l’Ultima Tappa istituzionale dell’Europa unita.

Si tratta dunque di lanciare la Rivoluzione Europea, mille giorni di lavoro politico e istituzionale per giungere alla proclamazione degli Stati Uniti d’Europa entro l’8 giugno 2015, data in cui ricorrerà l duecentesimo anniversario dell’atto finale del Congresso di Vienna. Mille giorni per ridefinire e riequilibrare le istituzioni federali, statali e regionali; per dare forza a una vera Banca Centrale; per erigere vere Forze Armate federali e Guardie Nazionali in cui confluiscano quel che rimane delle Forze Armate statali. Un tempo sufficiente a scrivere una vera Costituzione Federale Europea, a dare vita a un vero governo federale e a un Parlamento bicamerale in cui siano rappresentati i popoli in proporzione e gli Stati in modo paritario.

Se questo avverrà sarà un passo storico di cui si fregeranno coloro che lo realizzeranno. Se questo non avvenisse, la porta della tragedia è spalancata. Perché oggi hanno ancora una drammatica validità le parole di uomini preveggenti come Giovanni Agnelli Sr., fondatore della FIAT, e l’economista Attilio Cabiati, i quali verso la fine della Prima Guerra Mondiale decisero di rendere pubbliche le loro riflessioni sull’orrore della guerra e sui mezzi per prevenirne un’altra. Anche in questo caso, le due personalità espressero convinzioni che si sarebbero dimostrate profetiche. Nel saggio “Federazione europea o Lega delle Nazioni?” Agnelli e Cabiati scrissero: «Noi siamo senza esitare di opinione che, ove si voglia effettivamente rendere la guerra in Europa un fenomeno di impossibile ripetizione, una sola è la via aperta, che bisogna avere la franchezza di considerare: la federazione degli Stati europei sotto un potere centrale che li regga e li governi. Ogni altra più attenuata visione non è se non erba trastulla».

Non ci siamo forse trastullati abbastanza?

Note
Chi volesse approfondire il tema della ricostituzione del Califfato Islamico e del pensiero di Osama bin Laden,  può consultare le Tre Lettere Ladenesi (Ladenese Epistles I,II, and III) cliccando sui seguenti link:
http://www.science.widener.edu/~grant/courses/asc400/ledenese%20epistle1%20message.eml.html
http://www.science.widener.edu/~grant/courses/asc400/ledenese%20epistle2%20message.eml.html
http://www.science.widener.edu/~grant/courses/asc400/ledenese%20epistle3%20message.eml.html

Quale teorico del qaedismo e della risorgenza islamica, suggeriamo di leggere “Milestone” di Sayyd Qutb
http://gemsofislamism.tripod.com/milestones_qutb.html

Infine, per chi volesse approfondire il tema federalista in Europa e il pensiero di Agnelli e Cabiati si suggerisce http://www.thefederalist.eu/index.php?option=com_content&view=article&id=424&lang=it


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