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Motori | Nessuno scandalo se la Ducati va verso il gruppo VW-Audi, di John Horsemoon (15.03.2012) | THE HORSEMOON POST


L'asse Borgo Panigale – Inglostadt prossimo venturo
Nessuno scandalo se la Ducati va verso il gruppo VW-Audi
In Italia serve un passo indietro dello Stato in economia, per liberare
imprese e cittadini da corruzione e oppressione fiscale
di John Horsemoon

Articolo pubblicato il 15.03.2012 | h 11.59

Tag: Audi, VW, Ducati, Moto GP, Valentino Rossi, Confindustria, imprenditori

Un mese fa, Vito Lops dalle pagine de “Il Sole 24 Ore” riportava le anticipazioni sulla volontà di vendere la Ducati da parte del gruppo di private equity italiano Inventindustrial, che fa capo alla famiglia Bonomi. Una decisione che seguiva il sondaggio di quotazione alla borsa di Hong Kong, condotto lo scorso con l'ausilio di Deutsche Bank e Goldman Sachs.

Successivamente, Andrea Bonomi aveva espresso l'intenzione di vendere, con l'obiettivo di assicurare una crescita all'azienda e identificando i potenziali acquirenti in case automobilistico o perfino in concorrenti di settore aventi un respiro globale. Si era perciò pensato a Daimler-Benz, che sponsorizza dallo scorso anno il team di Moto GP con cui corrono Rossi e Hayden, o anche la BMW, che già costruisce moto. Il gruppo di Monaco di Baviera aveva però smentito con fermezza un proprio interesse.

Un passo del gruppo Volkswagen, attraverso il brand Audi, è trapelato due giorni fa con qualche particolare in più, visto che ci sarebbe a favore di Inglostadt una opzione in scadenza ai primi del prossimo aprile e tutto fa convergere verso una conclusione dell'acquisizione della casa di Borgo Panigale, considerata la “Ferrari” delle moto, dopo essere stata rilanciata dai fratelli Castiglioni (Cagiva).

Un altro marchio italiano, simbolo dell'imprenditoria italiana, se ne andrebbe all'estero. Questa considerazione ha smosso Sergio Rizzo, che ieri sul “Corriere della Sera” si è chiesto «Gli imprenditori dove sono?», considerando assurdo che una impresa italiana non rimanga di proprietà italiana.

Il ragionamento di Sergio Rizzo non è infondato, ma non è del tutto esatto. La famiglia Bonomi ha messo in vendita la Ducati per un miliardo di Euro, il triplo di quanto pagato sei anni fa per acquistarla. Il dato è in linea con la mission finanziaria di Inventindustrial, che è un fondo finanziario e non un'azienda industriale: compra e vende per realizzare la massima plusvalenza. Un aspetto della prevalenza delle attività finanziarie su quelle industriali, qualcuno dirà; un segno della debolezza dell'economia italiana, osserverà qualcun altro. Verissimo, ma questo è il quadro su cui occorrerà però fare qualche analisi.

Il Gruppo VW non è nuova agli acquisti in Italia, la Ducati sarebbe l'ultimo episodio della serie, già due brand prestigiosi rientrano nella “scuderia” di Wolfsburg: Lamborghini e Bugatti. Ancora, lo scorso anno Giorgetto Giugiaro – progettista della Panda – vendette il controllo della sua Italdesign proprio alla Volkswagen, mantenendo la guida dell'azienda e portandola ad assumere il ruolo di centro design dell'intero gruppo automobilistico tedesco, dove peraltro il tricolore abbonda nella stanza dei bottoni: si pensi a Luca de Meo e Walter da Silva, rispettivamente responsabile marketing e storico designer , “rubati” al Gruppo Fiat senza colpo ferire.

Nessuna meraviglia dunque per un fatto che non deve far incedere a inutili romanticismi. Del resto, la famiglia Agnelli non sta forse facendo la stessa cosa in Nord-America con l'operazione di acquisizione del controllo di Chrysler, prologo alla fusione con il colosso di Auburn Hill?

Semmai si dovrebbero approfondire – e Rizzo sfiora solamente il problema, nell'articolo di ieri -  i motivi per cui gli imprenditori italiani sono sempre più deboli o scoraggiati a mantenere attività industriali in Italia, e preferiscono trasferire gli impianti di produzione all'estero. Noi non pensiamo sia solo colpa dell'articolo 18 , ma crediamo che ci sia un “clima generale” sfavorevole a chi vuol fare impresa, piccola, media e grande. Il peso asfissiante della burocrazia, l'enorme carico fiscale sulle persone e sulle imprese (facce della stessa medaglia); la corruzione a livelli da repubblica delle banane; l'incertezza normativa; l'incancrenimento delle relazioni sindacali; l'incertezza sui tempi della giustizia (penale e civile); l'ingessamento del sistema bancario che non favorisce l'avvio di start-up innovative, sono solo alcune delle cause del declino industriale e imprenditoriale dell'Italia. Su queste “piaghe” Sergio Rizzo (insieme a Gian Antonio Stella) ha peraltro scritto un'opera monumentale con dovizia di particolari, che costituisce la prova storica dei mali dell'Italia.

Resta da capire se si può avviare una controtendenza e far tornare gli imprenditori italiani in Italia e nel lungo termine, creando un framework favorevole a chi intenda fare impresa.  Secondo noi questo trend può essere favorito attraverso la lotta totale alla corruzione amministrativa e politica, unita a un drastico taglio della spesa pubblica improduttiva e dei costi diretti e indiretti della politica. Prima della lotta senza quartiere (senza quartiere!) all'evasione fiscale, lo Stato deve fare cinque passi indietro e riservarsi il ruolo di giudice terzo e arbitro dell'economia, onesto e credibile, per agire con incisività sulle deviazioni degli attori privati dell'economia. Il taglio del carico fiscale complessivo su famiglie e imprese potrebbe ridare slancio al genio italiano, ma senza un poderoso alleggerimento dello Stato e una moralizzazione della vita pubblica, questa tendenza non sarà invertita. Finora il governo Monti ha proceduto in senso contrario. Purtroppo.

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