Editoriali | Stati Uniti d’Europa, 45 giorni decisivi per il salto federale, di Vincenzo Scichilone - 15.05.2012 -

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Editoriali | Stati Uniti d’Europa, 45 giorni decisivi per il salto federale, di Vincenzo Scichilone - 15.05.2012

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EDITORIALE, EUROPA

Stati Uniti d’Europa, 45 giorni decisivi per il salto federale
Coniugare rigore e sguardo unico sul futuro del Vecchio Continente
di Vincenzo Scichilone

Articolo pubblicato il 15.05.2012 - h 16.50 | Tag: alexis de tocqueville, ancien régime, revolution, partitocrazia

François Hollande, il settimo re repubblicano di Francia, si è appena insediato all’Eliseo. Il suo predecessore, Nicolas Sarkozy, ha compiuto due gesti esemplari, prima dell'avvicendamento. Ha presieduto insieme al nuovo presidente, il suo presidente, la cerimonia di commemorazione della fine della II Guerra Mondiale, l‘8 maggio scorso, nel suggestivo scenario dell’Arc de Triomphe.

Il secondo gesto esemplare di Sarkozy è stato annunciare la conclusione della propria vita politica e il ritorno alla vita privata, francese tra i francesi. Non una mossa pubblicitaria, ma un messaggio inequivocabile per la politica europea: non si può essere uomini adatti a tutte le stagioni. Con questo gesto civile, ma radicalmente politico, Sarkozy si è assunto tutte le responsabilità della sconfitta (ma non della disfatta) alle presidenziali, anche se le colpe non sono tutte sue. Un segno concreto della saldezza della democrazia transalpina.

Il primo passo politico di Hollande sarà però oggi di volare a Berlino per incontrare la cancelliera Angela Merkel, un gesto coerente con la radice storica del processo di integrazione europea, avviato per abbattere le possibilità che Francia e Germania potessero combattersi: cento anni fa l’Europa giocava sul baratro di una guerra totale, durata poi trenta anni, dalle inimmaginabili conseguenze umane.

Ieri, a Brussels i ministri delle finanze dell’Eurogruppo hanno fatto notte fonda per affrontare il dilemma del salvataggio della Grecia  (con un occhio anche a Portogallo e Irlanda), di dare ossigeno alla Spagna, di chiedere all’Italia la conferma di un’inversione di tendenza per ridare allo Stivale il ruolo che compete a uno Stato Fondatore, pilastro mediterraneo dell’Unione. Il vertice informale del prossimo 23 maggio sarà un momento importante per verificare se il Sunday Election Day europeo, compreso il “secondo turno” in Germania dello scorso week-end (con la debacle della CDU in Nord Reno-Westfalia), ha impresso al cammino comune una direzione diversa, più ottimista. Segno che le vite di tutti noi sono indissolubilmente legate, a prescindere dalle istituzioni formali di governo.

Mario Monti, Mario Draghi e Jean-Claude Juncker al vertice dei ministri dell'Economia dell'Eurozona a Brussels del 14 maggio
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Due tappe successive daranno il segno se in Europa si comprende che le decisioni da prendere dovrebbero  valicare i confini della diplomazia e entrare nel regno della democrazia. La prima, il 31 maggio, è la scadenza del mandato di Herman Van Rompuy quale presidente stabile del Consiglio Europeo. Il secondo appuntamento importante sarà il Consiglio Europeo del 28-29 giugno prossimi, data che segnerà la fine della presidenza semestrale danese del Consiglio dell’Unione Europea e il passaggio del testimone a Cipro (per le presidenze di turno del Consiglio dell’UE cliccare qui). Dalle decisioni che emergeranno si potrà capire se la classe dirigente europea è a passo con le sfide storiche.

Il Fiscal compact (Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell'unione economica e monetaria o Patto di bilancio) è formalmente un trattato internazionale firmato da tutti gli stati, eccetto Gran Bretagna e Repubblica Ceca (stati non aderenti all’Unione politica e monetaria di cui l’Euro è divisa comune). Questo trattato, firmato il 2 marzo scorso, ha l’obiettivo di stabilizzare e coordinare la governance economica, monetaria e fiscale degli stati firmatari, e entrerà in vigore il 1° gennaio 2013, se in quel momento 12 dei 17 stati dell’UEM lo avranno ratificato.

In quanto trattato internazionale, in Italia non sarà sottoposto a referendum confermativo, perché la ratifica dei trattati è sottratta alla consultazione popolare dal secondo comma dell’articolo 75 della Costituzione italiana. Ne consegue che i cittadini di uno Stato importante dell’Unione Europea non potranno esercitare il diritto di esprimere la propria opinione costitutiva su un passaggio fondamentale che inciderà pesantemente sulla propria vita presente e futura. Un’assurdità.

Eurobond e Project bond sono altre assurdità finanziarie e pericolosi strumenti apolitici: la Gran Bretagna non vacilla pur avendo un rapporto debito/PIL dell’800%, solo perché dietro c’è uno stato. Non vanno creati nuovi mezzi di debito pubblico, ancorati a strane contrattazioni: occorre unire i bilanci e i debiti statali in un unico debito nazionale europeo, un debito federale consolidato in un quadro finanziario e fiscale unito, ma innestato nella riformulazione istituzionale dei tre livelli di governo, esecutivo, legislativo e giudiziario.

Questo è il nodo cruciale, il filo conduttore della nostra argomentazione sul controverso rapporto tra la vita dei popoli e degli stati con il più importante esperimento geopolitico dopo la proclamazione degli Stati Uniti d’America. Le esistenze dei popoli europei hanno raggiunto un tale livello di connessione su questioni concrete, tangibili, vitali, da rendere obsoleto, inefficace, insufficiente il metodo diplomatico, la contrattazione degli sherpa, il rilievo giuridico internazionale.

Le genti d’Europa vivono già in un Paese unico, ne condividono sulla propria pelle il presente: i tedeschi sopportando il rigore del governo Merkel, attraverso l’accettazione di sacrifici esemplari. I greci, gli italiani, gli spagnoli, i portoghesi e gli irlandesi pagando lo scotto della disattenzione democratica, nell’aver delegato le scelte a un ceto politico inaffidabile, inadeguato alle sfide contemporanea, quando non corrotto e criminale.

Emergono tre drammatiche illusioni. Quella tedesca di poter stringere le maglie della borsa, per azzerare gli sprechi e le inefficienze, ossia per conseguire un obiettivo condivisibile (doveroso!) con una modalità velleitaria. La seconda, quella delle classi dirigenti di Italia e Grecia (ma non solo) di poter sfuggire alla reazione popolare, per aver compromesso la stabilità finanziaria interna con una dissennata politica di foraggiamento delle reti clientelari e con lo spazio lasciato alla corruzione della burocrazia, fenomeni interconnessi e vere piaghe nazionali.

La terza illusione, che potrebbe rivelarsi tragica, è quella dell’antieuropeismo reazionario, politicamente trasversale, che trova radice nel voto a favore di Hollande o, peggio ancora, del Front Nationale di Marine Le Pen in Francia, di Alba Dorata in Grecia o del Movimento 5 Stelle in Italia. Illusione, sia detto a chiare lettere, frutto di una ulteriore fuga dalla realtà, perché il problema non è essere anti-europeisti ma piuttosto avversare i bizantinismi di una costruzione comune che si occupa delle dimensioni delle banane, ma non protegge i propri cittadini con un Esercito Comune, una Polizia Comune, un sistema giudiziario comune. È l’illusione di sfuggire alle pressioni geopolitiche ancorandosi ai ricordi di un passato che non tornerà mai più (per fortuna), quando l’Europa produceva Storia, mentre ora ne è consumatrice netta.

Unire gli sforzi è dunque varcare il confine immaginato dai padri fondatori (si veda articolo del 9 maggio) e riunire sotto istituzioni federali la vita e i destini degli europei. Il presidente dell’Eurogruppo Jean-Claude Juncker ieri ha detto «basta minacce ad Atene», segno che la necessità di risanare i debiti sovrani non può essere disgiunta dal salvataggio dell’Europa da se stessa. Il segno di un “Compromesso del Lussemburgo” (Stato di origine di Junker) che, come duecentoventicinque anni fa, apra le porte alla realizzazione dello Stato federale europeo.

Nel 2018, fra soli sei anni, ricorrerà il centenario dalla pubblicazione di un pamphlet, “Federazione europea o Lega delle Nazioni?”, scritto da Giovanni Agnelli, industriale fondatore della FIAT e poi senatore del Regno d’Italia, e da Attilio Cabiati, allora docente del Regio Istituto Superiore di Commercio di Genova, che vollero così immortalare le loro riflessioni sugli orrori della guerra e sui metodi per renderla impossibile in Europa, considerata già allora come un unicum  morale.

Agnelli e Cabiati scrissero: «
Noi siamo senza esitare di opinione che, ove si voglia effettivamente rendere la guerra in Europa un fenomeno di impossibile ripetizione, una sola è la via aperta, che bisogna avere la franchezza di considerare: la federazione degli Stati europei sotto un potere centrale che li regga e li governi. Ogni altra più attenuata visione non è se non erba trastulla». Parole entrate nella bibliografia essenziale del federalismo europeo e di prepotente attualità nel momento in cui si stanno per prendere decisioni decisive per il futuro del popolo dell’intero Continente.

Agnelli e Cabiati seppero leggere con fenomenale lucidità le criticità dell’Europa intera, appena uscita da una tragedia ma alla vigilia di un’altra ancora più sanguinosa, non solo in senso materiale. Oggi occorre la stessa lucidità per dare agli europei uno Stato federale,storico cui chiedere protezione e benessere, cui dare lealtà e servizio. Altrimenti saranno aperte le porte del baratro storico dell’ininfluenza globale, prima che del suicidio storico collettivo.

© Riproduzione riservata

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