Il cardinale Parolin all’ONU: le religioni hanno la responsabilità di condannare chi giustifica la violenza con la fede

Intervenendo al Consiglio di Sicurezza, il segretario di Stato vaticano ha detto che il terrorismo è ormai un fenomeno globale con “una forte componente culturale“. Un fenomeno contro cui è necessaria la cooperazione internazionale. “Ogni azione nei confronti del terrorismo al di là dei confini del paese che è direttamente sotto attacco deve essere sanzionata dal Consiglio di Sicurezza

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New York – Parlare chiaro è segno di amicizia. E forse anche di chiarezza di idee. È probabile che il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato del Vaticano, si sia informato a questi principi di trasparenza, intervenendo al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite due giorni fa, durante il dibattito sui foreign fighters precedente la risoluzione che ha imposto agli Stati membri dell’ONU precise indicazioni per gestire un fenomeno gravissimo. 

Parolin non ha usato parafrasi, anche se si è mantenuto sul generale: “le persone di fede hanno la decisa responsabilità di condannare quanti cercano di scindere la fede dalla ragione e di strumentalizzarla per giustificare la violenza“. Fede e (è) ragione; strumentalizzazione e (è) violenza. Quasi un’equazione matematica.

Nel suo intervento il cardinale ha sottolineato come il terrorismo sia ormai un fenomeno globale con “una forte componente culturale“, che esige il solidale intervento delle nazioni, ma che “ogni azione nei confronti del terrorismo al di là dei confini del paese che è direttamente sotto attacco, così come definito dall’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, deve essere sanzionata dal Consiglio di Sicurezza“. Paletti ben precisi, che dovrebbero far riflettere chi nega la guerra di religione come motore dell’azione condotta dai movimenti islamisti che riconoscono la guida dell’Isil e dell’autoproclamato califfo, ma allo stesso tempo il riconoscimento che non la religione, ma la politica imperialista terrena, è la radice del male e che questo male dell’Umanità vada affrontato dall’Umanità nell’unico forum oggi disponibile di proto-governo del mondo: le Nazioni Unite.

Al giorno d’oggi, ha detto il cardinale, “il terrorismo costituisce una minaccia fondamentale alla nostra umanità comune e condivisa, poiché disumanizza sia l’autore sia la vittima e cerca di distruggere la libertà e la dignità umana, radicate nell’ordine morale naturale, sostituendo ad esse la logica della paura, del potere e della distruzione“. “Come ci ha ricordato Papa san Giovanni Paolo II nella scia dei tragici eventi dell’11 settembre 2001 –  ha continuato il segretario di Stato della Santa Sede, richiamando il pensiero del Papa polacco elevato all’onore degli Altari – il diritto di difendere paesi e popoli contro atti di terrorismo non autorizza a rispondere semplicemente con violenza alla violenza, ma piuttosto deve essere esercitato rispettando i limiti morali e legali nella scelta dei fini e dei mezzi. I colpevoli devono essere correttamente identificati, poiché la responsabilità penale è sempre personale e non può essere estesa alla nazione, al gruppo etnico o alla religione di appartenenza dei terroristi“.

Parolin ha poi ammonito che “la cooperazione internazionale deve anche affrontare le cause fondamentali di cui il terrorismo internazionale si alimenta per crescere“, ma la vera sfida è comprendere che “l’attuale sfida terroristica ha una forte componente culturale. I giovani che si recano all’estero per unirsi alle organizzazioni terroristiche spesso sono ragazzi provenienti da famiglie povere di immigranti, delusi da quella che percepiscono come una situazione di esclusione e dalla mancanza di valori di alcune società opulente“.

Una forzatura, a nostro avviso, che tralascia un dato fondamentale: molti combattenti europei o occidentali sul fronte jihadista avevano un ruolo sociale e professionale di grado elevato, erano perfettamente integrati nelle società in cui vivevano, che però non hanno esitato ad abbandonareper abbracciare il jihadismo islamista e il vigore della sharia. Nell’illusione di adempiere al volere di un Dio violento contro chi non lo riconoscerebbe, quando l’essenza stessa di Dio è amore per tutti e senza condizioni. Se Dio esiste (e noi pensiamo che esista), non può essere un Dio che promette la morte a chi non lo riconosce, a chi non lo abbraccia, a chi non si confà a una morale che è assoluta e, per questo, può legare solo chi ne riconosce il vigore in modo libero e senza patire alcuna minaccia.

Tuttavia, l’invito di Parolin rivolto ai governi è quello di “impegnarsi con la società civile per affrontare i problemi delle comunità più a rischio di reclutamento e di radicalizzazione e ottenere la loro integrazione sociale serena e soddisfacente” e non solo di applicare “gli strumenti legali e le risorse per evitare che i cittadini diventino combattenti terroristi stranieri“.

In conclusione Parolin ha però ricordato quanto affermato da Papa Francesco nel corso del suo recente viaggio in Albania: “nessuno pensi di poter farsi scudo di Dio mentre progetta e compie atti di violenza e sopraffazione! Nessuno prenda a pretesto la religione per le proprie azioni contrarie alla dignità dell’uomo e ai suoi diritti fondamentali, in primo luogo quello alla vita ed alla libertà religiosa di tutti!“. “Allo stesso tempo, però – ha affermato il porporato – è bene sottolineare che per porre fine al nuovo fenomeno terroristico, l’obiettivo di raggiungere la comprensione culturale tra popoli e paesi e la giustizia sociale per tutti è essenziale“. Un invito a evitare un futuro vae victis, ma ad aprirsi alla reciproca comprensione e accoglienza.

Verrà il giorno della Pace e l’invito di Parolin – e della Santa Sede – è un volersi portare avanti con il lavoro, in piena coerenza con la mission della casa, come direbbe un esperto di marketing e organizzazione aziendale.

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