Staffetta pontificia. Da Joseph Ratzinger a Jeorge Mario Bergoglio, la Rivoluzione Americana nella Chiesa

Editoriale | Passi ecumenici verso un Cristianesimo Globale
Verso la ricomposizione dello Scisma tra Oriente e Occidente. Indirà un Concilio?

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Fin dalla sera dell’elezione al Soglio di Pietro, Jeorge Mario Bergoglio ha stupito il mondo con la sua disarmante semplicità ed esprimendo subito una specie di summa psicologica dello spessore culturale e dell’acume diplomatico di Eugenio Pacelli (Pio XII) e Battista Montini (Paolo VI); della bonomia di Angelo Roncalli (Giovanni XXIII), peraltro anche un fine diplomatico; dell’umile mitezza di Albino Luciani (Giovanni Paolo I); della capacità comunicativa e della forza esplosiva di Karol Wojtyla (Giovanni Paolo II); della perspicacia teologica e del coraggio intellettuale di Joseph Ratzinger (Benedetto XVI).

Anzi, è come se tra il Vescovo Emerito di Roma, Joseph Ratzinger e Papa Francesco si fosse realizzata una sorta di staffetta pontificia: nel 2005, Bergoglio pregò il collegio cardinalizio riunito in Conclave di far confluire sul “braccio destro” di Giovanni Paolo II i voti per l’elezione a Pontefice. Quando l’11 Febbraio scorso Benedetto XVI ha rinunciato al Ministero Petrino, aprendo la successione al Soglio Pontificio, ecco allora che i cardinali si sono ritrovati a dover dare alla Chiesa di Roma una guida forte in un momento delicato.

Se Ratzinger ha desacralizzato la figura del Papa, umanizzandone la persona ma non sminuendone la funzione, Bergoglio ha preso il testimone della guida della Chiesa in un momento di particolare difficoltà, a seguito degli scandali legati all’ignominia della pedofilia. Fatti che offendono ogni persona umana, prima che ogni cristiano e ogni cattolico. Fatti che mettono in secondo piano lo straordinario, indefesso, coraggioso lavoro sociale condotto ogni giorno in ogni parte del mondo dal clero cattolico e dai cristiani, uomini e donne al servizio dei più deboli e delle persone in difficoltà, spesso obiettivo di violenze d’ogni tipo.

Quando la sera del 13 Marzo scorso, un tremante (per effetto del parkinson) cardinale Tauran lanciò l’Annuncio Vobis e il nome del cardinale di Buenos Aires, Jeorge Mario Bergoglio (oltre che il nome scelto come Papa, Francesco), per qualche secondo scese il silenzio in Piazza San Pietro. Un silenzio carico di interrogativi e di meraviglia: non era il nome che la folla dei fedeli si aspettava. Durò però un attimo quella sorpresa, dissolta in un abbraccio affettuoso di esultanza quando Papa Francesco esordì con quel “buonasera”, modo ordinario di salutare per chiunque, modo straordinario per accendere l’amore dei fedeli verso il proprio Pontefice.

Non sono passai molti giorni da quel momento, meno di sei. Ma in questi pochi giorni Papa Bergoglio ha mostrato che basta poco per cambiare il mondo; che davvero “volere è potere”, per tutti e per ciascuno. Perfino per il Papa, che è uomo tra gli uomini, ma con una responsabilità “aumentata”, quella di guidare la Cristianità.

Il rifiuto del discorso preparato dopo l’elezione, la scelta di ridurre al massimo l’utilizzo di materiali pregiati (le scarpette rosse, per esempio, calzate dai pontefici negli ultimi 50 anni, o l’anello piscatorio, non più d’oro massiccio ma d’argento dorato), una linea improntata all’umiltà sorridente, un low profile con tanta sostanza, sono termini di una nuova grammatica pontificia, il tratto con cui Papa Bergoglio ha iniziato un cammino che non sarà privo di difficoltà, ma non sembra che Francesco se ne preoccupi.

Amore, umiltà, servizio, misericordia, bontà, tenerezza, i concetti richiamati anche oggi nell’omelia di avvio del Ministero Petrino come Vescovo di Roma, parole che fin dalla sera del 13 Marzo scorso hanno acceso a Oriente una luce nuova con cui illuminare il futuro della Cristianità. Segni di una accelerazione del passo di riavvicinamento e di conclusiva ricomposizione dello Scisma tra cristiani di Oriente e di Occidente, processo avviato nel 1964 da Paolo VI e Atenagora I a Gerusalemme.

“Vescovo di Roma”, non “Papa di Roma”, è la definizione che Bergoglio ha dato di se e che ha fatto sobbalzare (con gioia) dalla sedia Bartolomeo I, Patriarca ecumenico di Costantinopoli, perché significa un passo indietro della Chiesa di Occidente a tutto beneficio della riunione della Cristianità. La presenza di Bartolomeo I oggi a Roma, alla messa di avvio del “Ministero Petriino” (altra novità semantica introdotta da Bergoglio, che non parla più di “intronizzazione”: il Re è solo Cristo, non il vescovo di Roma) è il segno che qualcosa di definitivo finalmente è stato avviato perché lo scandalo della separazione cristiana si chiuda.

Sarà una ricomposizione morbida o, come si può immaginare, un Papa politico come Bergoglio farà passi istituzionali straordinari per rimediare alla storica frattura? Papa Francesco indirà un Concilio mirato a questo storico obiettivo? Solo le prossime settimane, i prossimi mesi e anni ci diranno come il Papa intende chiudere lo Scisma. Ma si può dire senza timore che il moto verso la comunione con i nostri fratelli d’Oriente è ormai partito.

Bergoglio è un uomo nuovo, dunque, arrivato al posto giusto nel momento giusto, grazie a quella Rivoluzione Americana in Conclave (effetto dell’illuminazione dello Spirito Santo sui cardinali) che ha portato l’arcivescovo di Buenos Aires a diventare il capo del cattolicesimo occidentale. Una rivoluzione improntata all’abbattimento della distanza tra gerarchie ecclesiastiche e popolo di Dio, per dare senso pieno al concetto di Chiesa universale.

“Il vero potere è il servizio” ha oggi detto Bergoglio nella sua omelia, un monito rivolto a chi esercita qualsiasi tipo di potere, dal più piccolo al più grande, nel pubblico come nel privato. Uno straordinario monito che dà una forza nuova al messaggio evangelico, spinto alla promozione del rispetto del Creato tout court. Una bacchettata sulle nocche delle dita ai pochi che approfittano dell’abito talare per nascondere nefandezze, a scapito di chi – moltitudine tra le genti – serve senza riposo il prossimo, ma anche ai violentatori della natura, al dissolutori di risorse, a chi considera la vita umana un dato statistico. È il messaggio francescano di un gesuita, una sorta di contraddizione in termini, se non fosse che i tempi attuali necessitano di sintesi, come ha evidenziato con lucidità Pierluigi Magnaschi nel suo fondo su “Italia Oggi” di sabato scorso.

Le resistenze non mancheranno, perché l’animo umano è debole. Chi ha il dono della Fede ha un motivo in più per pregare quotidianamente per il Vescovo di Roma, capo della Chiesa Cattolica, Jeorge Mario Bergoglio. Papa Francesco governerà servendo e servirà governando, ma lo potrà fare compiutamente solo con l’aiuto di ciascuno di noi. Chi non serve il bene del prossimo serve il male, messaggio di una chiarezza tanto nitida quanto disarmante, con cui la Chiesa entra nel Terzo Millennio rivoluzionando se stessa.

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