È un uccello? È un aereo? No, è l’uomo d’acciaio!

Zack Snyder e Christopher Nolan rivisitano il padre dei supereroi con risultati più che soddisfacenti.

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Il piccolo Clark Kent vive con difficoltà la sua vita, non riesce a relazionarsi con i compagni di scuola e viene spesso preso di mira dai bulli; Clark in realtà non è come tutti gli altri, è diverso. Figlio di Jonathan e Martha Kent, Clark scoprirà di essere arrivato dalle stelle per mezzo di una navicella spaziale. Ormai diventato adulto, vaga di luogo in luogo come un vagabondo alla ricerca delle sue origini: scoprirà di provenire dal pianeta Krypton e di essere il figlio del grande scienziato Jor-El, ma anche di essere un’anomalia per la sua stessa gente, essendo stato concepito in maniera naturale a differenza della popolazione kryptoniana. Il suo passato tonerà a fargli visita, incarnato nelle sembianze del Generale Zod e dei suoi seguaci (sfuggiti alla distruzione del pianeta); questi, spinti da un unico obiettivo, cercheranno di portare Kal-El dalla loro parte e costruire una nuova Krypton sulle ceneri della Terra.

Con un’operazione rischiosissima (e che può dirsi perfettamente riuscita) la Warner Bros cerca di rilanciare il suo più grande supereroe, colui che fa da archetipo a tutti coloro che indossano una calzamaglia, ovvero Superman. Fin dalla sua elaborazione L’uomo d’acciaio era stato concepito per dare nuova linfa ad un personaggio che, dopo la deludente performance al botteghino di Superman Returns, era assolutamente necessario cambiare drasticamente al fine di renderlo il più attuale possibile. La strada scelta è stata quella di ripercorrere il finto realismo delle precedenti opere di Christopher Nolan con la sua versione di Batman (non a caso il regista inglese è supervisore di questo progetto) e aggiungere quella massiccia dose di azione che mancava totalmente nel lavoro di Bryan Singer (specialmente per quanto riguarda i combattimenti corpo a corpo). Già all’epoca la scelta di Zack Snyder in cabina di regia aveva fatto storcere non poco il naso ai più fedeli fan del fumetto di Jerry Siegel e Joe Shuster, ma Snyder si rivela quanto mai la persona più adatta al ruolo da svolgere. Più a suo agio quando ha uno script e un background solido su cui lavorare (vedi 300 e Watchmen), il regista statunitense si butta a capofitto in questa nuova impresa e svolge il suo compito al meglio (tenendo conto dei limiti che una gigantesca produzione porta con sé).

MAN OF STEEL

Quella concepita da David S. Goyer, e confezionata da Snyder, non è la classica storia di origini che da dieci anni a questa parte si ripete quasi identica da un cinecomics a un altro, al contrario il taglio netto che separa la giovinezza di Clark Kent dalla sua maturazione è reso evidente con l’aiuto dei magnifici ed evocativi flashback disseminati (anche se non perfettamente) durante l’arco dell’intero film. Il colpo di genio però è un altro: Man of Steel è, prima ancora che un cinecomics o un film d’azione, un film fantascientifico. La creazione di un’intera mitologia attorno all’uomo d’acciaio, a cominciare dalla creazione di una Krypton che ricorda vagamente una Pandora molto più evoluta, cinica e dark, all’imponente invasione aliena da parte del Generale Zod con tanto di ultimatum alla popolazione terrestre; la particolare attenzione al design che ha prodotto costumi e armature davvero affascinanti unite all’elaborazione di un significato preciso (la “S” sul petto di Superman è un simbolo di speranza che contraddistingue la casata degli El) rendono il film ancora più ricco e gustoso per un pubblico interessato si alle vicende del più potente tra i supereroi ma anche bramoso di essere affascinato e incantato da questa nuova versione.

I temi però inseriti a contorno della vicenda ricca d’azione sono molti (forse troppi): da quello affascinante dell’eugenetica nel pianeta Krypton, che sebbene rappresenti il massimo grado della teoria evoluzionistica di Darwin ha tuttavia condannato un pianeta all’autodistruzione. C’è poi il dilemma della scelta del proprio destino, la responsabilità di stare dalla parte giusta anziché lasciarsi sopraffare dall’arroganza, la fiducia da riporre in un genere, quello umano.

Tutti questi temi appaiono perfettamente dosati in una prima parte che ha il merito di caricare lo spettatore e mantenerlo col fiato sospeso (intervallate dalle straordinarie sequenze di volo) fino alla prorompente esplosività della seconda, dove avrà luogo l’inevitabile scontro finale, con tanto di sorpresa per gli appassionati più fedeli che forse non gradiranno. Quello che giustifica Snyder è il coraggio di aver osato, anche tradendo in più punti la controparte fumettistica, per rendere attuale il più inattuale dei supereroi in un mondo (e in un’America) che dopo l’11 settembre non è più la stessa.  

Ottima la prova del cast, azzeccatissimo, in cui spicca per incisività la prova del villain interpretato da Michael Shannon e la Lois Lane di Amy Adams. Kevin Costner non interpreta solo Jonathan Kent, ma in una sorta di mitologia incarna le sembianze del fattore americano per eccellenza (chi se non l’attore che viveva in mezzo a un Field of Dreams). Henry Cavill si rivela un ottimo Superman: per lui poche battute, ma basta un cenno e qualche sguardo a scaldarti il cuore e a convincerti in pieno.

Capitolo 3D: completamente inutile (se non a ingrassare le casse della casa di produzione). 

VOTO : 8

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