Visita ad Assisi. Il Papa parla al clero: la comunità ascolti la Parola, cammini insieme, porti il Vangelo nelle periferie

Incontrando sacerdoti, religiosi e membri dei consigli pastorali, papa Francesco indica le vie che fanno crescere la Chiesa. Periferie sono anche famiglie nelle quali i bambini non sanno farsi il segno della Croce. Alle suore di santa Chiara: “Il monastero non sia un purgatorio ma una famiglia”

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Assisi – Ascoltare la parola di Dio, camminare insieme in fraternità, annunciare il Vangelo nelle periferie, che non sono solo luoghi, ma persone e senza “farsi bloccare da pregiudizi, da abitudini, rigidità mentali o pastorali, dal ‘si è sempre fatto così!”. Perché “la Chiesa cresce ma non è per fare proselitismo, la Chiesa non cresce per proselitismo, la Chiesa cresce per attrazione della testimonianza che ognuno dà”.

Questo deve essere, per papa Francesco, il “cammino” di una comunità cristiana, indicato nel corso dell’incontro di oggi pomeriggio con il clero, le persone di vita consacrata e i membri dei consigli pastorali di Assisi.

Un incontro giunto dopo il pranzo che il Papa ha consumato con i poveri nel centro della Caritas a piazzale Donegiani in Santa Maria degli Angeli. Da lì è andato all’Eremo delle Carceri, per una preghiera nella cella di San Francesco.

A sacerdoti, religiosi e laici impegnati nelle parrocchie, incontrati nella cattedrale di san Rufino, il Papa ha dunque tratteggiato il cammino di una comunità che voglia dirsi davvero cristiana. A partire dal fondamento: “un solo Spirito, un solo Battesimo, nella varietà dei carismi e dei ministeri. Che grande dono essere Chiesa, far parte del Popolo di Dio! Nell’armonia, nella comunione delle diversità, che è opera dello Spirito Santo, perché lo Spirito Santo è l’armonia e fa l’armonia”.

Un concetto che il Papa riprenderà poi nella successiva visita a santa Chiara. Alle suore ha infatti raccomandato accanto alla contemplazione di Gesù, che porta alla universalità della preghiera, una vita comunitaria che sia “vita di famiglia”. “Il monastero non sia un purgatorio ma una famiglia”, “perché quando la vita di comunità è di famiglia è lo Spirito Santo che è nella comunità”.

A san Rufino, parlando di “alcuni aspetti della vita di comunità”, “la prima cosa è ascoltare la Parola di Dio. La Chiesa è questo: la comunità che ascolta con fede e con amore il Signore che parla”.

“Penso che tutti possiamo migliorare un po’ su questo aspetto: diventare tutti più ascoltatori della Parola di Dio, per essere meno ricchi di nostre parole e più ricchi delle sue Parole. Penso al sacerdote, che ha il compito di predicare. Come può predicare se prima non ha aperto il suo cuore ascoltato, nel silenzio, con il cuore? Dirà queste omelie interminabili, noiose, nelle quali non si capisce niente. Penso al papà e alla mamma, che sono i primi educatori: come possono educare se la loro coscienza non è illuminata dalla Parola di Dio, se il loro modo di pensare e di agire non è guidato dalla parola, quale esempio possono dare ai figli? Questo è importante perché poi papà e mamma si lamentano di questo figlio, ma tu come gli hai parlato con la parola di Dio o con quella del telegiornale? E penso ai catechisti, a tutti gli educatori: se il loro cuore non è riscaldato dalla Parola, come possono riscaldare i cuori degli altri, dei bambini, dei giovani, degli adulti? Non basta leggere le Sacre Scritture, bisogna ascoltare Gesù che parla in esse, bisogna essere antenne che ricevono, sintonizzate sulla Parola di Dio, per essere antenne che trasmettono! E’ lo Spirito di Dio che rende vive le Scritture, le fa comprendere in profondità, nel loro senso vero e pieno!”.

“Il secondo aspetto è quello del camminare. E’ una delle parole che preferisco quando penso al cristiano e alla Chiesa”. “Penso che questa sia veramente l’esperienza più bella che viviamo: far parte di un popolo in cammino nella storia, insieme con il suo Signore, che cammina in mezzo a noi! Non siamo isolati, non camminiamo da soli, ma siamo parte dell’unico gregge di Cristo, che cammina insieme”.

“Qui penso ancora a voi preti, e lasciate che mi metta anch’io con voi. Che cosa c’è di più bello per noi se non camminare con il nostro popolo? Io penso questi parroci che conoscevano il nome delle persone della parrocchia, andavano a trovarle, c’era uno che diceva: io conosco il nome del cane di ogni famiglia, bello, che c’è di più bello! Lo ripeto spesso: camminare con il nostro popolo, a volte davanti, a volte in mezzo e a volte dietro: davanti, per guidare la comunità; in mezzo, per incoraggiarla e sostenerla; dietro, per tenerla unita, perché nessuno rimanga indietro e anche perché il popolo ha “fiuto” nel trovare nuove vie per il cammino, ha il “sensus fidei“. Che cosa c’è di più bello?”.

“Ma la cosa più importante è camminare insieme, collaborando, aiutandosi a vicenda; chiedersi scusa, riconoscere i propri sbagli e chiedere perdono, ma anche accettare le scuse degli altri perdonando – quanto è importante questo! Alle volte penso ai matrimoni che dopo tanti anni si separano: ‘non ci intendiamo, ci siamo allontanati’. Forse non hanno saputo chiedere scusa, forse non hanno saputo perdonare. Io ai novelli sposi do sempre questo consiglio: litigate quanto volete, se volano i piatti… ma mai finire la giornata senza perdonarsi”.

“Il terzo aspetto è quello missionario: annunciare fino nelle periferie. Voglio sottolinearlo, anche perché è un elemento che ho vissuto molto quando ero a Buenos Aires: famiglie della classe media dove c’erano bambini che non sapevano farsi il segno della croce, ecco queste sono periferie dove Dio non c’è”.

“Non abbiate paura di uscire e andare incontro a queste persone, a queste situazioni. Non lasciatevi bloccare da pregiudizi, da abitudini, rigidità mentali o pastorali, dal ‘si è sempre fatto così!’. Ma si può andare alle periferie solo se si porta la Parola di Dio nel cuore e si cammina con la Chiesa, come san Francesco. Altrimenti portiamo noi stessi, e questo non è buono, non serve a nessuno! Non siamo noi che salviamo il mondo: è il Signore!”.

(AsiaNews)