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Il MIBACT su tassa smartphone e tablet: ‘Non esiste’, ma è per finta. Adiconsum: ‘tassa medievale’

Il ministero dei Beni Culturali puntualizza: “Le ipotetiche tariffe pubblicate in merito agli aumenti di costo sono infondate”. Bray “sta lavorando a una soluzione condivisa”. Sul piede di guerra le associazioni dei consumatori. Adoc: “Penalizza enormemente lo sviluppo della cultura e della tecnologia”. Adiconsum: “Iniqua e da Medioevo”

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Ieri è dovuto intervenire pure Palazzo Chigi (sede del Governo), per mezzo del profilo istituzionale su Twitter.  “La #tassa su #smartphone e #tablet? Non esiste (quindi non c’è la notizia). Ecco la nota @Mi_BACT http://bit.ly/nientetassesutablet … #equocompenso“. Insomma, tutto a posto.

 

La nota cui rimandava il tweet del Governo diceva (la riportiamo per intero):

Il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo precisa che, rispetto alle notizie uscite a mezzo stampa su una nuovatassa sui telefonini nei prossimi giorni”, non è prevista nessuna tassa su smartphone e tablet e le ipotetiche tariffe pubblicate in merito agli aumenti di costo sono infondate.

La norma a cui si fa riferimento è quella relativa all’equo compenso per i produttori di contenuti, regolata attraverso decreto ministeriale, in attuazione di una norma vincolante europea che impone rinnovi triennali.

Il precedente decreto del 2009 è già scaduto e il così Massimo Bray, titolare dei Beni Culturali, sta lavorando a una soluzione condivisa, nel rispetto e nella difesa del valore del diritto d’autore, ascoltando tutte le categorie interessate per raggiungere una decisione equilibrata nell’interesse degli autori, dei produttori di smartphone e tablet e, soprattutto, dei cittadini fruitori degli stessi. Quindi Bray ha detto una mezza balla: nessuno pensa a una nuova tassa, ma a ripristinarne una già esistente. Da Circo Equestre…

Secondo la stima elaborata dal Corriere della Sera, su dati del “Comitato consultivo permanente per il diritto d’autore“, la cifra da pagare sull’acquisto di uno smartphone potrebbe passare dagli attuali 90 centesimi a oltre 5 euro, così come quella sui tablet, mentre per i personal computer si arriverebbe a 6 euro. Tutti prezzi cui andrebbe aggiunta l’Iva, una tassa su un’altra tassa, che fa pensare a certe scene della cinematografia italiana, narranti le gesta eroiche degli italiani medievali, per i quali sembra non essere passato il tempo.

Clicca per andare sull'articolo del Corriere della Sera

Non ci resta che piangere“, con Roberto Benigni e Massimo Troisi alle prese con un imbecille burocrate delle dogane, nell’Italia di un  Medioevo che potrebbe essere oggi

L’adeguamento del prezzo potrebbe tuttavia essere assorbito dai produttori dei device, ma è una valutazione superficiale: rincareranno i prodotti.

Contro questa tassa si è schierata l’Adoc: “in arrivo una nuova tassa sui prodotti tecnologici, il cosiddetto “equo compenso”, che peserà principalmente sulle tasche dei consumatori, in particolare la fascia dei giovani under 25, penalizzando enormemente lo sviluppo della cultura e della tecnologia“. L’associazione si è detta “assolutamente” contraria all’imposta, che potrebbe addirittura aumentare “fino al 500%, dai 5 euro per gli smartphone ai 40 euro per i decoder“. “Ci saranno prodotti, come le chiavette usb, che avranno un costo reale inferiore al costo delle tasse applicatevi“, ha spiegato il presidente Adoc Lamberto Santini. E chi potrà farlo, andrà a comprare queste cose oltre confine, per non essere gravato da una tassa assurda.

Rievoca il Medioevo l’Adiconsum: “La tassa sugli smartphone e tablet è da medioevo, è un balzello che taglia orizzontalmente anche quei consumatori che non scaricano dalla rete e che utilizzano i dispositivi solo per lavorare, la fantasia delle lobby non conosce limiti“, ha detto Pietro Giordano, presidente nazionale dell’associazione.

Adiconsum – ha aggiunto Giordano – ritiene questa tassa iniqua e chiede al ministro Bray di non recepirla e di convocare con urgenza un tavolo con le associazioni consumatori e gli operatori del settore“.

Chi si meraviglia del fatto che le aziende non investano in Italia è un cretino. Non solo le aziende straniere, che neanche ci pensano, se non appartengono alla cerchia degli amici-degli-amici politicamente protetti, ma anche le imprese italiane, che disinvestono dal proprio Paese per trasferirsi in Stati vicini dove alle aziende porgono un benvenuto, con tappeti rossi di accoglienza e petali di rosa.

Credit: AGI

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