Corte Suprema India: ‘rischiamo la crisi diplomatica? Non ci interessa, seguiremo la legge’

Il presidente della sezione di Corte Suprema, che giudicherà sul rinvio a giudizio dei due fucilieri della Marina Militare Italiana, ha chiuso l’udienza con una filippica a favore della legge. Non è per forza un cattivo segno anti-italiano

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Roma – Sul caso maro’ la Corte Suprema deciderà “in base al diritto, non preoccupandosi delle conseguenze sul piano delle relazioni internazionali“. Questo l’avvertimento del presidente della Corte, Balbir Singh Chauhan (nella foto in alto), nel dare appuntamento a lunedì prossimo al procuratore generale Goolamhussein Essaji Vahanvati e all’avvocato dei due militari italiani (e dell’Italia), Mukul Rohatgi.

L’esito obbligato è stato causato dal fatto che accusa e difesa non sono stati disponibili – per l’opposizione dei legali che difendono gli interessi italiani – ad accordarsi su un “patteggiamento” per incriminare i due militari sulla base della legge anti-pirateria addolcita dall’esclusione della pena di morte e con una pena massima prevista di 10 anni.

Secondo l’Indian Express, che riporta i dettagli dell’udienza di ieri, la Corte Suprema dovrà decidere, visto che le parti non hanno trovato un accordo amichevole: questo può dare la misura delle pressioni che stanno subendo anche gli avvocati della difesa, in un ambiente del tutto ostile. Tuttavia, il fatto che la Corte Suprema debba decidere in base alla legge non significa per forza che i due fucilieri di Marina siano sfavoriti ab initio dall’indirizzo del giudice Chauhan, il quale ha già dato dimostrazione di lucidità e indipendenza dal potere politico.

Durante la seduta le parti si sono confrontati su posizioni inconciliabili. Mukul Rohatgi, avvocato degli italiani, ha ricordato che il Sua Act (legge numero 69 del 20/12/2002, SUPPRESSION OF UNLAWFUL ACTS AGAINST SAFETY OF MARITIME NAVIGATION AND FIXED PLATFORMS ON CONTINENTAL SHELF ACT), la legge anti-pirateria indiana, è stata elaborata per colpire il fenomeno della pirateria all’attacco delle piattaforme fisse sulla cosiddetta “piattaforma continentale” su cui lo Stato rivierasco può rivendicare l’esclusivo sfruttamento delle risorse, non per militari quali Salvatore Girone e Massimiliano Latorre.

Il procuratore generale, Goolamhussein Essaji Vahanvati, ha invece sostenuto che il Sua Act va mantenuto nel capo d’accusa, seppure solo con una previsione di pena massima di 10 anni, nel caso in cui i due militari fossero ritenuti colpevoli. Anzi, a questo proposito, quando il giudice gli ha chiesto un chiarimento sul rischio che venga chiesta la pena di morte, in virtù del mantenimento della Sezione 302 del Codice Penale, Vahanvati ha ricordato che questo accadrebbe solo se il reato fosse considerato “tra i più rari dei rari“, con un’evanescente dichiarazione che la dice tutta sulle storture del sistema giudiziario indiano..

Questo atteso disaccordo nell’interpretare il recinto giuridico entro cui operano, da fronti diversi, accusa e difesa, ha obbligato la Corte a dover decidere e il riferimento al “diritto” quale esclusivo discrimine potrebbe giocare a favore degli italiani, che andrebbero processati in Italia, dove insiste il giudice naturale per i loro atti, in base al diritto internazionale marittimo (UNCLOS).

Se decidiamo in base al merito, non ci preoccuperemo delle conseguenze sulle relazioni internazionali.   Decideremo rigorosamente in base alla legge“, ha affermato il presidente Chauhan a chiusura del dibattimento. E se il giudice Chauban terrà nel giusto conto la legge indiana di ratifica del Trattato di Montego Bay del 1982 (UNCLOS) e la rapporterà ai fatti e alla legge interna indiana, il risultato finale non potrà che essere favorevole al ritorno dei due militari in Italia, dove Latorre e Girone dovranno affrontare le indagini della magistratura italiana sui fatti in cui sono rimasti coinvolti.

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