Raniero Busco non uccise Simonetta Cesaroni in via Poma. Un ‘Cold Case’ da risolvere per salvare l’onore dello Stato

La Cassazione mette la parole “fine” al lungo iter giudiziario: l’ex fidanzato scagionato. La I Sezione Penale della Suprema Corte ha confermato la sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Roma del 27 aprile 2012 che aveva assolto ‘per non aver commesso il fatto‘ l’ex fidanzato della 21enne assassinata con 29 coltellate il 7 agosto 1990. Il criminologo Mastronardi: “Non c’erano prove che lo inchiodassero”. Resta senza colpevoli l’omicidio

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Raniero Busco è stato definitivamente assolto dall’accusa dell’omicidio di Simonetta Cesaroni. Lo ha stabilito ieri la Corte di Cassazione che, dopo tre ore di camera di consiglio, ha respinto il ricorso presentato dalla Procura di Roma e dai famigliari di Simonetta Cesaroni, massacrata con 29 coltellate il 7 agosto 1990.

In particolare, la I Sezione Penale presieduta da Umberto Giordano ha confermato la sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Roma del 27 aprile 2012, che aveva assolto l’ex fidanzato di Simonetta Cesaroni ‘per non aver commesso il fatto‘. Dopo 24 anni si chiude definitivamente il sipario sulla vicenda che ha visto Busco quale unico indagato.

In primo grado la Corte d’Assise di Roma (26 gennaio 2011), aveva condannato Busco a 24 anni, perché i giudici avevano ritenuto che l’assassino avesse “firmato” con un morso sul seno sinistro della vittima l’assassinio. Una tesi poi smentita sia dalla Corte d’Assise d’Appello e, ieri, dai giudici di Piazza Cavour.

Il sostituto procuratore generale della Cassazione, Francesco Salzano, aveva chiesto di annullare l’assoluzione di Busco in secondo grado, sollecitando l’annullamento della sentenza con rinvio. Secondo Salzano, non è stato in alcun modo esaminato il morso sul seno sinistro della 21enne assassinata. “Il calco acquisito non è mai stato esaminato – ha denunciato Salzano – come pure non è stata spiegata l’origine delle lesioni al seno“, oltre al fatto che l’alibi fornito da Busco non fosse “convincente“.

La difesa di Busco ha espresso soddisfazione per il verdetto. “Sono estremamente soddisfatto – ha affermato Franco Coppi, che ha difeso Busco insieme a Paolo Loria – del resto non poteva che essere così perché la sentenza d’appello era perfettamente motivata, impeccabile“. Raniero Busco esce definitivamente di scena a distanza di 24 anni dall’omicidio e il noto penalista si augura che “ora prendano il colpevole di questa barbara uccisione di una giovane ragazza. Esprimo fiducia nella giustizia“. L’ex fidanzato di Simonetta ha atteso il verdetto nella sua abitazione insieme ai figli e alla moglie Roberta, che ha dichiarato “è la fine di un incubo“.

Non c’erano prove che inchiodassero Raniero Busco, per tante ragioni. Via Poma resta un ‘cold case’: c’è da indagare su una serie di quesiti non ancora risolti. La verità può essere dietro l’angolo ma occorre riesaminare altri indizi“, ha commentato all’agenzia Adnkronos Vincenzo Mastronardi, docente di psicopatologia forense alla “Sapienza” di Roma.

Quindi, dopo 24 lunghissimi, interminabili anni, una persona vede riconosciuta la propria innocenza. Una vita minata dall’incapacità dello Stato di trovare e provare la colpevolezza di un omicidio che fin dall’inizio ebbe lati oscuri e su cui non si è fatta luce. Insieme a una morte oscura, quella di Pietro Vanacore, di cui rimane il tragico messaggio testamento lasciato sull’automobile prima di suicidarsi: “20 anni perseguitati senza nessuna colpa”.

Ci sono due aspetti intollerabili in questa vicenda. Il primo, proprio il lunghissimo iter processuale e il ribaltamento della sentenza di primo grado in Appello, poi confermato dalla Cassazione. Ventiquattro anni per giudicare una persona significa sottoporre un indagato a una pena accessoria su cui nessuno mai pagherà in caso di assoluzione finale. Una pena costituita di spese legali, di perizie, di costi impropri, per non parlare degli aspetti psicologici che ricadono su chi sa di essere innocente, ma teme di incappare in un meccanismo infernale della giustizia, un errore giudiziario che può determinarne la morte civile.

Il secondo aspetto è quello messo in evidenza dal professor Mastronardi: Simonetta Cesaroni è stata uccisa da qualcuno (unica cosa certa), ma questo qualcuno non si sa – e forse non si saprà mai – chi sia. Malgrado le risorse impegnate dallo Stato in 24 lunghi anni di indagini giudiziari. Si può dunque parlare di denegata giustizia verso la famiglia Cesaroni, il cui dolore resterebbe comunque inconsolabile, ma con l’aggravante della sfiducia verso un sistema giudiziario incapace di trovare la verità (e non una verità qualsiasi).

Credit: Adnkronos, Ansa, TMNews