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Raffineria Eni di Gela, in un incidente sul lavoro muore gruista di 54 anni

Antonio Vizzini, alle dipendenze di un’azienda dell’indotto, è rimasto schiacciato da una gru in manovra durante alcune operazioni di manutenzione della centrale termoelettrica. L’impianto petrolchimico è fermo dall’incendio del 15 marzo scorso

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Gli effetti “balsamici” della raffineria di Gela sull’atmosfera…

Questa mattina poco dopo le 10 all’interno della raffineria di Gela è avvenuto un incidente sul lavoro, i cui contorni sono ora all’esame della procura del locale tribunale, che ha avuto un esito tragico. Antonio Vizzini, gruista esperto di 54 anni, non è sopravvissuto al colpo ricevuto dalla gru in manovra sotto cui stava effettuando alcuni lavori di manutenzione nell’area della centrale termoelettrica per conto della “Lorefice e Ponzio”, una ditta del locale indotto che svolge operazioni di manutenzione all’interno dell’impianto. I soccorsi immediati si sono purtroppo rivelati vani, perché Vizzini è morto durante il trasporto in ospedale.

Il resto del petrolchimico è al momento fermo, dopo l’incendio verificatosi il 15 marzo scorso, nell’Isola 7 Nord.

A parte le indagini della magistratura, sono scattate subito quelle dell’Ispettorato del Lavoro di Caltanissetta e della direzione della Raffineria di Gela Spa.

Come avviene oggi in epoca di social media, per sapere chi fosse Antonio Vizzini basta dare una scorsa alle bacheche dei gruppi su Facebook in cui si parla della città del Golfo. Una brava persona, una sintesi forse troppo striminzita per descrivere un uomo, ma se ci riflettiamo cosa si può dire di più di una persona nel momento in cui si dice che è “una brava persona”?

Saranno le indagini a capire cosa sia successo, se ci sono delle responsabilità per questo ennesimo tributo di sangue in una città in cui il lavoro ha portato morte e distruzione della salute grazie alla classe dirigente locale (non solo politica…) compromessa da rapporti non trasparenti con i vertici aziendali dell’impianto.

Una città che si è ingrandita a dismisura e in modo repentino grazie a una scelta industriale pesante che non ha portato sviluppo, ma solo una crescita economica troppo debole per essere di medio-lungo periodo, per usare le parole del sociologo norvegese Eyvind Hytten e di Marco Marchioni, autori nel 1970 di un rapporto – Industrializzazione senza sviluppo: Gela: una storia meridionale, ed. Franco Angeli – di drammatica attualità e paradigma interpretativo del fallimento della classe dirigente siciliana. Almeno di quella che è rimasta in Sicilia e non ha preferito andarsene in tempo (che è diverso da “emigrare”) per cercare miglior fortuna fuori dalla terra tanto amata, ma altrettanto matrigna.

Si torna a parlare di una morte sul lavoro e non si riflette abbastanza che è una contraddizione in termini: perché si dovrebbe lavorare per vivere, non vivere per lavorare, men che meno lavorare per morire.

Ma la filiera della sicurezza sui luoghi di lavoro è un percorso con tante trappole, la più pericolosa delle quali è costituita dalla routine, dall’abitudine a considerarsi “padroni della situazione”, dall’ineffabile pensarsi invincibili in tutte le fasi del processo quale che sia. Naturalmente non parliamo dell’incidente che è costato la vita a un padre di famiglia di 54 anni, che ancora aveva da dare a se stesso, alla propria famiglia, ai propri amici e forse anche alla propria azienda. È un discorso più ampio che intende richiamare tutti al principio di responsabilità nei lavori pericolosi e complessi.

In un’altra vita ci siamo occupati di sicurezza sul lavoro in materia di bonifiche da amianto. E ci meravigliavamo come gli addetti alle bonifiche – spesso, ma non sempre, di scolarizzazione medio-bassa – avessero una superficialità nella percezione del pericolo che demolivamo alla terza slide che illustrava le devastanti conseguenze delle fibre di amianto sui polmoni. Alla fine dei programmi formativi, trovavamo sempre gente più consapevole e più responsabile nel maneggiare il proprio lavoro.

Ecco, è il senso di responsabilità – dei lavoratori, dei dirigenti di azienda, degli imprenditori – il perno attorno a cui costruire una filiera sicura di processo, perché incidenti del genere non si verifichino, al netto delle fatalità. Ma quasi mai nel mondo del lavoro le morti sono causate dalle fatalità e l’elemento umano è sempre determinante nell’evitare le tragedie, così come nel causarle seppure senza volontà e deliberata azione.

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