Jihad contro l’Occidente: perché dobbiamo avere paura di due deficienti

I due immigrati islamisti arrestati ieri a Brescia hanno lasciato una serie infinita di tracce, per non essere presi nella rete dell’intelligence attivata nell’opera di prevenzione di ogni atto terroristico. Tuttavia, malgrado appaiano aspiranti terroristi ‘ruspanti’ il pericolo esiste…

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Che oggi si combatta una guerra mondiale tra un movimento imperialista jihadista e il resto del mondo – soprattutto l’Occidente secolarizzato e prevalentemente cristiano, quale premessa fondamentale per la laicità delle istituzioni (si veda la nota affermazione di Benedetto Croce, “non possiamo non dirci cristiani”) – è ormai fuor di dubbio.

Lo abbiamo scritto in atti ufficiali accademici, ne abbiamo tracciato i caratteri essenziali di guerra mondiale internazionale e transnazionale (qui), ne abbiamo rilevato perfino l’atto formale di avvio nella ‘Dichiarazione di guerra’ del 23 Agosto 1996 formulata da Osama bin Laden dalle montagne dell’Hindukush (Ladenese Epistle 1, 2 e 3).

Perfino Sua Santità Papa Francesco ha parlato di Terza Guerra Mondiale a episodi, dimenticando forse che sia la Prima sia la Seconda Guerra Mondiale furono costituite da vari episodi bellici che si espansero dall’Europa al resto del mondo, ma non riguardarono indistintamente tutti gli Stati del mondo di allora.

I due immigrati di religione musulmana e di inclinazione islamista arrestati ieri nel Bresciano – il tunisino Lasaad Briki (35) e il pakistano Muhammad Waqas (27) – come terroristi meriterebbero di essere rimandati a settembre (grazie al Cielo), per la mole di tracce lasciate sul web. Due deficienti, illusi di poter sfuggire agli occhi dell’intelligence interna ed estera, civile e militare, nonostante 6.000 riferimenti lasciati nell’etere.

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Eppure questi due disgraziati sono infervorati dal sogno di trarsi fuori dall’anomia dell’anonimato del basso proletariato urbano per assurgere agli onori della cronaca contemporanea attraverso un atto di guerra terroristica in suolo infedele. La via da imbecille marginale a shahīd può essere breve, ma anche lastricate di sangue innocente.

Con estrema franchezza, pensare che questi due potessero compiere un attentato alla base di Ghedi, a noi sembra difficile. E tuttavia, nel segno della prevenzione, meglio sbatterli in galera che tenerli a piede libero.

Su quanto tempo questi due soggetti resteranno ospiti delle patrie galere, permetteteci di sollevare qualche perplessità, perché la magistratura continuerà a considerare queste persone come delinquenti e non come ‘combattenti al servizio di una potenza estera’ (ancorché in via di formazione, il cosiddetto ‘Stato Islamico’); li assoggetterà alla legge penale e non al diritto internazionale di guerra; di fronte alle obiezioni dei difensori – che solleveranno la tiritera della libertà di espressione (accettiamo scommesse rigorosamente in bottiglie di vino rosso e in cosce di prosciutto crudo) – saranno presto rimessi in libertà, perché non hanno avuto modo di passare dal pensiero all’azione.

E il reato si compie non con la propaganda, ma con l’azione; mentre l’atto di guerra prescinde dall’azione, dal fatto, perché presuppone solo l’appartenenza al nemico. Lasaad Briki e Muhammad Waqas dovrebbero essere ‘prigionieri di guerra‘ (PoW: Prisoner of War), con tutte le guarentigie della Convenzione di Ginevra del 1949), non inquisiti per ‘terrorismo’, che è una modalità dell’attuale guerra, non una finalità per cambiare regime politico. Gli islamisti vogliono debellare il sistema democratico, perché ritengono che la legge di Dio (la shaaria) sia prevalente sulla legge degli uomini (il diritto positivo).

Nella dimensione transnazionale dell’attuale guerra rientra il fatto che anche due sprovveduti come Briki e Waqas costituiscano un pericolo per l’ordine democratico e la sicurezza nazionale (europea e italiana), grazie all’imprevedibilità della loro azione, alla capacità di trasformare prodotti di uso civile in strumenti di attacco (si pensi alle miscele di certi carburanti e di fertilizzanti, che diventano efficaci bombe da tragico e devastante bricolage), alla relativa libertà di movimento e alla corrispondente penuria di risorse per mettere sotto osservazione ogni personaggio meritevole di tale ‘affettuosa’ attenzione.

Il pericolo è costituito però anche da fattori endogeni: la classe dirigente italiana (e Occidentale) considera la guerra ancora come atto appartenente al sistema di relazioni tra gli Stati, negando che un gruppo privato possa essere protagonista di eventi bellici. E mostrando di non aver compreso – a 14 anni dall’avvio delle operazioni belliche internazionali (11 Settembre) – la natura straordinaria dello sforzo militare in corso.

Se Lasaad Briki e Muhammad Waqas fossero stati meno sprovveduti, la loro azione avrebbe potuto essere devastante: le infrastrutture civili italiane sono mediamente scoperte, impreparate a far fronte a un attacco terroristico di media intensità, chi le dirige è mediamente inadeguato a fronteggiare un attacco nemico sotto il profilo anzitutto culturale.

Per questo la politica nazionale (ed europea) continua a etichettare come terrorismo la guerra in corso. Una semplificazione che vuole tranquillizzare la popolazione, con l’auspicio che le forze di polizia e gli apparati di prevenzione siano sempre in grado di anticipare ogni atto terroristico (come avvenuto finora), grazie anche allo sforzo di persone che passano il giorno a leggere le porcate pubblicate sul web e gli articoli di analisi come questo (un caro saluto al maresciallo che mi segue e sempre ossequi alla signora).

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