Persecuzioni contro cristiani. In Laos cristiano arrestato perché prega, ma muore in carcere perché non viene curato

Tiang, sposato e padre di sei figli, affetto da diabete, è deceduto in cella in attesa del processo di appello. I vertici del carcere hanno più volte impedito all’uomo di curarsi. Era stato arrestato, insieme ad altre quattro persone, per aver pregato al capezzale di una malata terminale. L’accusa delle autorità è: “trattamento medico” improprio.

20150922-laos-cristiano


Vientiane  – Nuovo caso di persecuzioni anti-cristiane in Laos, dove la minoranza cristiana di recente è stata oggetto di attacchi mirati e arresti. L’ultima vicenda riguarda un uomo morto in prigione per complicazioni legate al diabete e per le cure mediche negate a più riprese dalle autorità carcerarie, nonostante l’evidente peggioramento delle condizioni di salute.

La vittima è tale Tiang, un cristiano del villaggio di Huey, nel distretto di Atsaphangthong, nella provincia di Savannakhet

Come riferisce l’ong Human Rights Watch for Lao Religious Freedom (Hrwlrf), Tiang, sposato e padre di sei figli, nel febbraio scorso era stato condannato a nove mesi di carcere e al pagamento di una multa dal Tribunale Popolare di Savannakhet per “esercizio abusivo di professione medica“. Insieme a Tiang erano stati arrestate altre quattro persone, recatesi al capezzale di una donna malata da cinque anni, la cui malattia era in fase terminale.

Il gruppo aveva pregato insieme alla donna e questo atto di fede è stato addebitato dalle autorità laotiane ai tre cristiani, accusati di aver provocato la morte della donna. Per i giudici la preghiera equivarrebbe a un “trattamento medico”: visto che è risultato inefficace – anzi, dannoso, perché la donna è morta – allora come tale va punito. Una vicenda che farebbe ridere per l’ignoranza vergognosa che emana, se non ci fosse in gioco la vita di Tiang e degli altri due cristiani, perseguitati da barbari.

Tiang aveva infatti opposto appello alla sentenza, ma le autorità non avevano ancora esaminato la vicenda, nonostante fossero scaduti i termini previsti dalla legge.

Fin dai primi tempi della carcerazione, le sue condizioni di salute avevano cominciato a deteriorarsi. Per questo motivo aveva presentato istanza per potersi curare, ma la richiesta dell’uomo era stata sempre respinta dai dirigenti della struttura carceraria.

Attivisti e gruppi pro-diritti umani si sono appellati al governo di Vientiane perché intervenga e punisca i responsabili del carcere, la cui condotta ha causato la morte di Tiang. Inoltre gli attivisti hanno auspicato la liberazione immediata delle altre quattro persone tuttora in carcere sebbene innocenti

Nelle ultime settimane si sono ripetuti episodi di violenze e persecuzioni contro singoli fedeli o intere comunità cristiane in Laos. Ai primi di settembre è morto un pastore protestante durante un tentativo di sequestro, nel quale sarebbe stato coinvolto anche un poliziotto. In precedenza, due leader di una comunità sono stati arrestati con l’accusa di “diffondere la religione cristiana”.

Dall’ascesa al potere dei comunisti nel 1975, e la conseguente espulsione dei missionari stranieri, la minoranza cristiana in Laos è soggetta a controlli serrati e vi sono limiti evidenti alla pratica del culto. La maggioranza della popolazione (il 67%) è buddista; su un totale di sei milioni di abitanti, i cristiani sono il 2% circa, di cui lo 0,7% cattolici.

I casi più frequenti di persecuzioni a sfondo religioso avvengono ai danni della comunità cristiana protestante: nel recente passato AsiaNews ha documentato i casi di contadini privati del cibo per la loro fede o di pastori arrestati dalle autorità. Le maglie si sono strette ancor più dall’aprile 2011, in occasione di una violenta repressione della protesta promossa da alcuni gruppi appartenenti alla minoranza etnica Hmong.

(Credit: AsiaNews)

Se hai gradito questo articolo, clicca per favoreMi piacesulla pagina Facebook di The Horsemoon Post (raggiungibile qui), dove potrai commentare e suggerirci ulteriori approfondimenti. Puoi seguirci anche su Twitter (qui) Grazie.


Save the Children Italia Onlus