Siamo tutti presunti colpevoli. L’inversione del diritto (e della civiltà occidentale) in Italia
Dall’ultimo eclatante caso di Pino Maniaci indicazioni sul decadimento morale di un Paese in perenne bilico tra un ring e un palcoscenico da avanspettacolo
Lo dico subito per togliere ogni dubbio: a me Pino Maniaci non ha mai fatto simpatia, perché non mi fanno simpatia gli urlatori, gli antimafiosi di professione, quelli che danno ragione a Leonardo Sciascia (sui ‘professionisti dell’antimafia’) ogni giorno che il Signore manda in Terra.
Tuttavia, Maniaci è stato condannato fuori da un processo, consegnando il suo lessico discutibile al pubblico ludibrio, come atto di aggravamento di un’accusa mediatica che però emerge debole sotto il profilo penale.
Dall’Onus probandi incumbit actori (l’onere della prova è a carico di chi fa valere in giudizio un diritto) e al conseguente affirmanti incumbit probatio (la prova spetta a chi afferma) del diritto romano, ai principi espressi nella Magna Carta del 1215, nel Bill of Right del 1689, nella Dichiarazione di Indipendenza Americana del 1776, nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 e nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948 (non formata dai Paesi islamici, ndr), i principi secondo cui una persona possa essere definita colpevole solo al termine di un processo regolare e sulla base di un reato definito tale nel momento della commissione dell’atto dovrebbe essere entrato nel tessuto connettivo morale e giuridico italiano.
Invece, nonostante la robusta tradizione giuridica tramandataci dai romani e l’insegnamento diuturno di Cesare Beccaria (‘Dei delitti e delle pene’, 1764), in Italia si può essere condannati a prescindere da un processo, ossia da una procedura giudiziaria che dovrebbe consentire a un giudice terzo di valutare se l’ufficio del Pubblico Ministero riesce a provare le proprie tesi accusatorie.
Passa ancora il principio inverso, ossia che l’accusato debba riuscire a provare la propria innocenza. Basta questo per definire incivile un Paese occidentale (o finto tale).
Pino Maniaci – dopo essere stato osannato come Soldato Combattente della Divisione Antimafia – viene distrutto attraverso la distribuzione alla stampa di stralci di intercettazioni telefoniche e ambientali, orientati a provare la sua colpevolezza. A prescindere dal processo.
E molte autorevoli fonti – alcune delle quali tornate sui propri passi per manifesta infondatezza del loro pensiero – hanno perfino augurato al giornalista ‘poter dimostrare la propria innocenza’, mandando al macero il secondo comma dell’Articolo 27 della Costituzione italiana e anche i principi basilari di un Paese civile.
Paese che rimane in perenne bilico tra un ring di pugilato (per usare la metafora di Enrico Bellavia, su ‘la Repubblica’ del 7 Maggio scorso, disponibile qui) e un palcoscenico da avanspettacolo, con le immagini delle intercettazioni ambientali o gli audio di quelle telefoniche gettate al centro della scena, mentre nani e ballerine giudiziarie guardano il guitto di turno trasformarsi da accusatore in accusato.
In quale altro Paese occidentale avviene tutto questo spettacolo indegno?
Che tristezza.
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