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George Soros eversivo: contro Donald Trump pronto a dichiarare guerra. Saldatura con l’Isis

Il miliardario magiaro naturalizzato americano ha deciso di riunire altri ricconi liberal nella Democracy Alliance, per pianificare una strategia di attacco al presidente eletto degli Stati Uniti. Allo stesso tempo, l’Isis sulla rivista ‘Rumiya’ (Roma) lancia l’ordine di attacco per colpire i civili nella parata del Thanksgiving usando dei camion di media portata. Una saldatura di eversione che apre scenari incredibili

New York – I Democratici, si fa per dire, non accettano la sconfitta alle elezioni presidenziali americane e gettano la maschera. Il miliardario ungherese George Soros, che è cittadino americano per naturalizzazione, ha infatti dichiarato guerra al presidente eletto Donald Trump, attraverso il gruppo di pressione creato insieme ad altri facoltosi imprenditori, la Democracy Alliance.

Una vera e propria azione di resistenza anti-Trump, come riporta l’agenzia Ansa, rilanciata da ‘Il Corriere del Ticino’, secondo cui Soros e la sua cricca ‘democratica’ avrebbero deciso di riunirsi nei prossimi giorni per valutare i modi con cui combattere il 45° presidente eletto degli Stato Uniti.

Un atto potenzialmente eversivo dell’ordine democratico federale, anzitutto perché Soros è appunto cittadino americano, ma anche perché alla riunione di Democracy Alliance sarebbero invitati membri di primo piano dei Dem americani, come la deputata femminista californiana Nancy Pelosi e la senatrice Elizabeth Warren, eletta nel 2013 in Massachusetts. La Alliance agirebbe come forza di opposizione extra-congressuale, valicando la legge sulle lobby e esautorando perfino i vertici del partito democratico, che ne uscirebbe frantumato tra i clintoniani e l’ala tradizionalista ‘nazionale’, incline ad agire nell’interesse della Nazione, non della famiglia Clinton e dei suoi pericolosi sodali e alleati.

Soros e questi campioni della democrazia un-tanto-al-chilo, nel corso di un meeting di tre giorni, si riuniranno a porte chiuse – come si usa fare nelle associazioni segrete e nei gruppi eversivi – per elaborare una strategia di attacco contro Trump, il cui programma è giudicato “un attacco terrificante all’operato del presidente Obama e alla nostra visione di un Paese più giusto“.

Parole che fanno emergere il conto in cui costoro tengono il voto del popolo sovrano e le prerogative dei ‘Grandi Elettori’ nel processo elettorale del presidente federale degli Stati Uniti.

Questa notizia filtrata da Oltreoceano segue le indiscrezioni su un presunto ruolo di Soros nell’organizzazione delle proteste anti-Trump, mosse nei giorni scorsi in alcune città americane.

Ma c’è un altro aspetto grave che emerge in queste ore: una saldatura ‘de facto’ con la strategia dell’Isis, che ha ordinato ai jihadisti ‘in sonno’ negli Stati Uniti di colpire la popolazione civile nel giorno del Ringraziamento, durante la 90ma edizione della Macy’s Thanksgiving Parade, in programma il prossimo 24 Novembre a New York.

L’ordine di attacco è stato pubblicato sul terzo numero della rivista ‘Rumiya’ (Roma in arabo, ndr), che contiene un lungo articolo di istruzioni su come compiere un attacco jihadista su civili inermi, usando camion di media stazza, che danno meno all’occhio, premessa per poter uccidere una quantità di miscredenti superiori a quella che potrebbe ammazzare un aereo da caccia, grazie all’effetto sorpresa.

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La saldatura ‘de facto’ però preoccupa, considerato il fatto che il mondo islamista ha già dichiarato la propria avversione all’elezione di Trump, considerato un nemico del jihadismo e un intoppo all’espansione islamista negli Stati Uniti (e non solo), mentre la sconfitta di Hillary Clinton è considerata una tragedia, per le buone relazioni intercorse tra la ex First Lady e il mondo dell’estremismo islamico, come la Fratellanza Musulmana egiziana.

Del resto, alcuni membri autorevoli del Congresso americano – Michele Bachmann, Louie Gohmert, Lynn Westmorleand, Trent Francks e Thomas Rooney, Repubblicani – già nel 2012 avevano inviato una lettera all’ambasciatore Harold Geisel, responsabile del servizio ispettivo del Dipartimento di Stato, invitandolo a investigare sulla possibilità che i Fratelli Musulmani avessero potuto influenzare la politica estera degli Stati Uniti e a verificare se, con specifico riferimento ad alcune scelte e misure adottate durante il mandato del Segretario di Stato Hillary Clinton, vi fosse stato coinvolgimento dell’organizzazione islamica o di personalità a essa collegate con le decisioni dell’Amministrazione Obama.

Bachmann, Gohmert, Westmorleand, Francks e Rooney avevano apertis verbis puntato l’indice su Huma Abedin, che in quel periodo svolgeva le funzioni di Vice Capo dello Staff del Segretario di Stato Rodham Clinton. L’ipotesi era che Abedin, sfruttando la sua posizione all’interno Dipartimento di Stato, fosse stata in grado di condizionare la politica estera statunitense durante il primo mandato di Obama a favore dei Fratelli Musulmani, sostenendo le attività di proselitismo e di indottrinamento condotte da quella organizzazione all’interno degli Stati Uniti.

In questo quadro rientravano – secondo i cinque membri del Congresso – la concessione di finanziamenti sia all’Egitto durante la presidenza di Mohammed Morsi  che ad altri soggetti rientranti nella galassia fondamentalista islamica legata alla Fratellanza, come esponenti dell’Autorità Palestinese e di Hamas a Gaza. L’accusa formulata contro Huma Abedin era che fosse un ‘agente di influenza’ dei Fratelli Musulmani all’interno dell’amministrazione presidenziale americana.

Accuse che caddero nel nulla a causa della transizione dalla prima alla seconda Amministrazione Obama, con l’uscita di scena di Hillary Clinton, che lasciò il posto a John Kerry, ma che oggi hanno il retrogusto spiacevole del deja-vu e che potrebbero essere la base per nuovi approfondimenti giudiziari, una volta insediatasi l’amministrazione Trump. Del resto, nel giugno 2013, i manifestanti egiziani riconosciutisi nell’appello di Tamarod inveivano contro Obama e l’ambasciatrice Anne Patterson, etichettandoli come alleati dei fascisti della Fratellanza Musulmana al potere, di cui chiedevano la destituzione.

Per apparente paradosso, dalla Russia emergono preoccupazioni per la sicurezza personale di Donald Trump, che si teme possa essere obiettivo di un attentato perfino prima del giuramento del prossimo 20 Gennaio. Uno scenario apocalittico, che forse riflette la vera posta in gioco: una nuova era nei rapporti Transatlantici e una nuova grande alleanza con la Russia contro il comune nemico, il jihadismo islamico.

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