La vigilanza sanitaria alle frontiere non esiste: due casi di colera a Napoli

Una donna e il figlio, di recente rientrati da un viaggio in Bangladesh, sono stati ricoverati al Cotugno della città partenopea. “La situazione è del tutto sotto controllo“, afferma Giordano, commissario straordinario dell’ASL Colli che riunisce il Monaldi, il Cotugno e il CTO di Napoli, ma il problema dovrebbe essere affrontato in modo integrato.

Napoli – Ieri sono stati registrati due casi di colera all’ospedale Cotugno di Napoli, riguardanti un bambino di 2 anni e la mamma, rientrati di recente da un viaggio nel Paese di origine, il Bangladesh. Il piccolo è stato trasferito dall’ospedale pediatrico Santobono, dove è stata rilevata la presenza dell’infezione.

Madre e figlio risiedono in provincia di Caserta e si trovano in condizioni stazionarie. “La situazione è del tutto sotto controllo“, afferma Antonio Giordano, commissario straordinario dell’Azienda Ospedaliera dei Colli, che riunisce il Monaldi, il Cotugno e il Cto. “Immediatamente – spiega – è stata allertata la Asl competente e sono state attivate tutte le procedure previste dai protocolli. I contatti familiari del caso indice sono stati già individuati e sono attualmente sotto stretta osservazione sanitaria“. L’analisi dei campioni prelevati dai due pazienti sono stati inviati all’Istituto Superiore di Sanità, che provvederà all’effettuazione delle analisi di rito. All’agenzia di stampa AdnKronos il direttore del Dipartimento Malattie Infettive dell’Iss, Gianni Rezza, ha spiegato che i due casi sono “altamente probabili” e “dovranno essere confermati dai nostri laboratori. I risultati saranno disponibili entro un paio di giorni“.

I casi di colera in Italia, infatit, sono tutti di importazione, anche se “sono estremamente rari – precisa Rezza – Possono esserci anni in cui non ne registriamo nessuno, anni in cui se ne registrano due o tre. Ma sono possibili, perché le persone oggi viaggiano molto e questa malattia, a trasmissione oro-fecale, è presente in diversi Paesi“. Tuttavia, secondo l’esperto, non ci sarebbero sono grossi pericoli, se “le persone contagiate vengono isolate subito, reidratate e trattate, l’infezione non fa grossi danni. E, in ogni caso, non c’è pericolo di contagio su ampia scala“. Per quanto riguarda il caso registrato a Napoli, “tutte le persone venute a contatto con i pazienti saranno tenute sotto osservazione“.

Tuttavia, il caso di Napoli – malgrado le rassicurazioni (politiche?) del dottor Rezza – mostrano un pericoloso buco nella rete di sorveglianza sanitaria alle frontiere, che mette in pericolo la sicurezza nazionale italiana e quella dell’intera Europa di Schengen, per almeno due ragioni.

Anzitutto, cosa succede se il caso di infezione non viene rilevato in modo celere? In secondo luogo, quali strumenti utilizza lo Stato per monitorare le frontiere, per impedire quanto più possibile l’ingresso nello Spazio Schengen di persone portatrici di malattie infettive che possono propagarsi su piccola, media e grande scala? Un buco di monitoraggio, che produce un’alta esposizione al rischio di contagio.

Del resto, la vulgata immigrazionista impone l’assenza di controlli alle frontiere, soprattutto da Paesi di cui si conosce l’endemico rischio sanitario, come il Bangladesh.

Non si conosce peraltro quale sia stata l’azione decisa per verificare le ipotesi di contagio delle persone che hanno viaggiato in aereo con le persone ricoverate al Cotugno di Napoli, a dimostrazione della coltre di silenzio di ordinanza, per coprire ogni eventuale rischio per la popolazione residente, derivante dalla immigrazione da Stati esteri. Una forma di demagogia strisciante che silenzi i rischi con l’illusione di favorire l’integrazione, ma finirà per avere purtroppo l’effetto contrario.

(Foto apertura tratta da Google Map) © RIPRODUZIONE RISERVATA

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