Tsipras ad Angela Merkel: la Germania paghi i debiti di guerra. Il tema è l’europeizzazione democratica dell’Europa

Il primo ministro greco rilancia sul tavolo da poker europeo, ricordando alla Germania che i debiti vanno onorati tutti, non solo quelli che si pretendono da Atene. Dall’Accordo di Londra del 1953 alla riunificazione delle due Germanie, i tedeschi hanno fatto gli gnorri. Questo porterà al centro del dibattito continentale il motivo per cui il processo di integrazione europea fu avviato: la guerra (ossia i modi per renderla di nuovo impossibile in Europa)

Alexis Tsipras può spingere l'Europa a una riflessione seria sulle radici del processo di integrazione europea e sui motivi per cui l'Europa va europeizzata e democratizzata, chiudendo tutto il passato, non solo alcune pagine (foto Wikipedia)
Alexis Tsipras può spingere l’Europa a una riflessione seria sulle radici del processo di integrazione europea e sui motivi per cui l’Europa va europeizzata e democratizzata, chiudendo tutto il passato, non solo alcune pagine (foto Wikipedia)

Atene – La ‘questione Grecia’ rischia di mettere a carte quarantotto tutta Europa, nel senso di integrazione europea, messa in difficoltà dalle evidenti mire egemoniche della Germania che – parafrasando von Clausewitz – ha ripreso la guerra con altri mezzi. Lanciata nella conquista – manu monetari – dell’Europa, Angela Merkel scorge la pagliuzza negli occhi altrui e non vede la trave dentro le proprie orbite (Luca 6, 41).

Così oggi l’ingegner Tsipras ha riaperto il fascicolo “debiti/crediti” e ha inviato una raccomandata alla dottoressa Merkel, chimica che s’è scordata non solo la formula magica su cui l’intera impalcatura del processo di integrazione europea è stata eretta, ma anche la finalità precisa perché il percorso verso lo Stato Federale Europeo è stato intrapreso, RENDERE LA GUERRA IN EUROPA IMPOSSIBILE, attraverso il depotenziamento delle (morenti) sovranità nazionali e il graduale consolidamento di una sovranità comune e condivisa, costruita attraverso la soluzione di problemi pratici, concreti, che si trasformassero in welfare per i cittadini, non in fastidiose rotture di coglioni (e, avocando le mie competenze storiche, mi mantengo abbondantemente in area “continenza”: lo dico agli amici dell’Ordine dei Giornalisti). Vedasi la dimensione delle vongole e le multe annesse. Una follia. 

In breve, Tsipras ha accusato la Germania di attaccare la Grecia sul debito per difendersi dall’accusa di non volere pagare i propri debiti di guerra, legati alle riparazioni per l’occupazione nazista della Grecia. Ove lo si fosse dimenticato, alla Grecia nessuno è riuscito a spezzare le reni, neanche durante una guerra seria, figurarsi se la Germania e i Paesi satelliti (Finlandia, Olanda e Svezia, anzitutto), in una guerra di (dis)occupazione condotta con altri mezzi (più viscidi, meno immediatamente intellegibili, molto meno onorevoli: i nazisti e i fascisti almeno ci misero la faccia).

Tsipras oggi ha reso noto che porterà la questione in Parlamento (organo legislativo che rappresenta la sovranità popolare, non se se qualcuno si ricorda di sta cosa…) per studiare come occorre procedere. “Dopo la riunificazione tedesca del 1990 – ha spiegato Tsipras al Βουλή των Ελλήνων (il Parlamento monocamerale greco) – si erano create le condizioni legali e politiche per risolvere la questione. Ma da allora i governanti tedeschi hanno scelto la linea del silenzio, trucchi legali e rinvii“. “Mi domando – si è interrogato il giovane premier greco – poiché in questi giorni c’è un gran parlare a livello europeo di questioni morali: questa posizione è morale?“. No che non lo è, ma la domanda era retorica: conteneva una risposta automatica.

Va detto che la Grecia non ha mai quantificato i danni di guerra da chiedere alla Germania, che però sostiene di aver già onorato i propri impegni con il versamento di 115 milioni di marchi nel 1960. Tuttavia, il governo di Atene quei 115 milioni di Deutchland Mark erano rimborsi alle vittime dell’occupazione nazista e non il pagamento per le distruzioni inferte alla Grecia durante l’occupazione nazista.

In verità, il precedente governo greco – quello di Antonis Samaras – aveva effettuato una stima dei danni di guerra: 162 miliardi di euro. Questo il valore che Berlino avrebbe dovuto pagare ad Atene per rifondere i danni dell’occupazione nazista.

Tuttavia una richiesta ufficiale non era mai stata presentata: e sarebbe stato difficile il contrario, visto che la Grecia ha una pistola puntata alla tempia da anni (in parte anche grazie, si fa per dire, ai greci stessi, che hanno vissuto al di sopra della soglia minima di decente attenzione: ma noi italiani siamo gli ultimi a poter dare lezioni in merito). 

Per Tsipras la pretesa della Grecia è un obbligo storico“, mentre la Germania pensa di essere esentata dal pagamento dei danni di guerra. A Berlino si gioca con la storia dei trattati: continuano a fare gli gnorri al Governo della ex funzionaria della Germania Orientale, rimasta comunista nell’anima, quindi imperialista per dono genetico (politicamente parlando).

La questione infatti ruota attorno all’Accordo di Londra del 27 Febbraio 1953,  (Agreement on German External Debts: documento disponibile qui), entrato in vigore il 16 Settembre dello stesso anno, concluso dalla Germania da una parte e da Belgio, Canada, Ceylon, Danimarca, Grecia, Iran, Irlanda, Italia, Liechtenstein, Lussemburgo, Norvegia, Pakistan, Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, Repubblica francese, Spagna, Stati Uniti d’America, Svezia, Svizzera, Unione Sudafricana e Jugoslavia dall’altra.

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Questo accordo – in piena Guerra Fredda (la III Guerra Mondiale, per chi ama questo tipo di contabilità ordinale) – sollevò la Germania dal dover soccombere di nuovo al pagamento dei debiti di guerra e si concretò, di fatto, come l’atto postumo con cui si riconobbe a John Maynard Keynes la correttezza dell’analisi formulata prima della conclusione del Trattato di Versailles del 1919: la mortificazione del nemico (Germania) da parte delle potenze vincitrici della I Guerra Mondiale avrebbe riproposto il tema, prima o poi. Detto, fatto. 

Quindi, a Londra nel 1953 si risolse il problema con intelligenza strategica, in due mosse.

A) Anzitutto si decise di dimezzare i debiti contratti dalla Germania prima del 1933 (ossia prima dell’assunzione del potere di Adolf Hitler). Questi debiti erano pari a 32 miliardi di marchi ed erano costituiti in parte (altri 16 miliardi di DM) da debiti risalenti alle incombenze derivanti dal Trattato di Versailles del 1919 e in parte da debiti verso banche private di Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia (potenze vincitrici sia nella Prima che nella Seconda Guerra Mondiale).

Visto che l’obiettivo era non mortificare la Germania e, soprattutto, non piegarla sotto il peso di eccessivi debiti, in funzione antisovietica (il pericolo sovietico, lo ricordo agli smemorati del contegno, non era un pettegolezzo da lavandaie…), il debito complessivo di 32 miliardi fu ampiamente ridotto a 15 miliardi da pagare in 30 anni: con una riduzione di oltre il 50%. Solo per ricordare.

B) Il secondo punto affrontato – si fa per dire – a Londra riguardo i danni inferti dall’occupazione nazista a mezza Europa e forse più

Sulla questione, si decise ‘all’italiana’: ossia si decise che la questione sarebbe stata affrontata solo dopo la “riunificazione tedesca”. Nel 1953 si pensava a questo obiettivo come molto lontano e, in effetti, 37 anni sono volati come niente. Ma i negoziatori di Londra forse pensavano a qualcosa che sarebbe accaduto ancora più in là nel tempo. Se non fosse stato per un cardinale “venuto di lontano”, forse si sarebbe avverata la previsione. Ma Nostro Signore la pensò diversamente e dirotto i grandi elettori del secondo Conclave del 1978 in direzione Woytila, Karol Josef, arcivescovo di Cracovia, salito sul trono di Pietro con il nome pontificale di Giovanni Paolo II. Il resto è noto.

Tornando ai danni di guerra tedeschi, nel 1990 – all’atto della riunificazione tedesca per l’implosione dell’utopia (terrena) comunista – il cancelliere Helmut Kohl oppose un netto nein al pagamento dei danni di guerra nazisti: l’ammontare sarebbe stato insostenibile per la Germania, che non avrebbe potuto procedere al consolidamento del nuovo stato (sorto per incorporazione, per gli appassionati di diritto internazionale, di uno Stato, la DDR, in un altro, la RFT). Tradotto: pagando i danni di guerra la Germania avrebbe dichiarato bancarotta. 

Una decisione che ebbe il sostegno degli USA. La Germania regolò con alcuni stati degli accordi di compensazione volontaria attraverso patti bilaterali, mentre il “via libera” della Russia alla riunificazione tedesca poté avvenire anche perché la Germania si impegnò a compensazioni bilaterali con Polonia, Russia, Ucraina, Bielorussia, Estonia, Lettonia e Lituania, concluse sulla falsariga degli Accordi di Londra del 1953.

Con la riapertura del dossier danni di occupazione” – che sono per gli Stati non prescritti, come per gli individui avviene per i crimini conto l’umanità (un reato che non si prescrive mai) – Tsipras ripone al centro la radice del processo di integrazione europea, che fu avviato nel 1950 con la Dichiarazione Schuman avendo un obiettivo preciso (repetita iuvant): rendere impossibile la guerra tra gli Stati nazionali dell’Europa.

La guerra non è solo assenza di battaglie militari, ma è la pace e la collaborazione reciproca per la soluzione dei problemi comuni. In più, in Europa l’assenza di guerra è stata coniugata fin dall’inizio con l’obiettivo di creare una casa istituzionale comune in cui tutti gli Stati e tutti i popoli d’Europa potessero riconoscersi, vivere e sentirsi protetti.

Tsipras pone dunque il problema dei problemi in cui si è attorcigliata l’integrazione europea: qual è l’approdo finale?

Una Confederazione egemonizzata da uno o più Stati, in cui non esista l’eguaglianza per definizione e in cui sia negata la democrazia e ogni suo esercizio, attraverso l’eterna contrattazione diplomatica?

Ovvero una Federazione di Stati che condividano la sovranità nazionale con la sfera comune (governo federale), in cui i cittadini partecipino alle decisioni con gli strumenti della democrazia occidentale (voto periodico, partiti politici, sfere di governo fondate sul principio di sussidiarietà) e in cui tutti gli europei di ogni Stato sentano l’Unione parte indissolubile dei propri destini? 

In fondo Alexis Tsipras pone un tema fondamentale per il futuro del Continente e della vita nostra e dei nostri figli: l’europeizzazione democratica dell’Europa.

Vale di più di ogni debito di guerra tedesco, perché è teso a eliminare davvero l’ipotesi “guerra” dall’agenda (perfino solo accademica) in Europa.

Per tutto questo dobbiamo fare il tifo per Alexis Tsipras (e per Mario Draghi).

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