La “Corte di Strasburgo” mette in mora l’Italia sul sovraffollamento carcerario

Rigettato il riscorso sulla sentenza di gennaio. Un anno per trovare una soluzione alla grave situazione delle carceri italiane, trattamenti disumani e degradanti e totale violazione del principio costituzionale del recupero del condannato 20130528-sovraffollamento-carcerario_780x350

Strasburgo – L’Italia dovrà trovare entro un anno una soluzione al problema del sovraffollamento delle carceri. Lo ha deciso la Corte Europea dei diritti dell’Uomo, rigettando il ricorso presentato dall’Italia contro una la sentenza che nel gennaio scorso aveva condannato il nostro Paese per il trattamento inumano e degradante subito da alcuni detenuti in conseguenza dell’eccesso di “ospiti” nelle strutture penitenziarie.

In particolare, la sentenza di gennaio aveva sanzionato l’Italia sul caso di alcuni detenuti condannati a scontare pene detentive nelle carceri di Busto Arsizio e Piacenza, che avevano denunciato il fatto di aver dovuto condividere con altri carcerati una cella di 9 metri quadrati, lamentando altresì la mancanza di acqua calda e, in alcuni casi, di un’adeguata illuminazione delle celle.

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano già allora aveva innalzato il monito sull’insostenibilità «della condizione in cui vive gran parte dei detenuti nelle carceri italiane», sottolineando la «mortificante conferma della perdurante incapacità del nostro Stato a garantire i diritti elementari dei reclusi in attesa di giudizio e in esecuzione di pena». Anche il Guardasigilli pro tempore, Paola Severino, si era detta «profondamente avvilita» per la condanna, ma non sorpresa.

La Corte di Strasburgo ieri ha reso definitiva quella sentenza e ha imposto all’Italia di trovare una soluzione al sovraffollamento penitenziario entro un anno, oltre a dover risarcire i detenuti che ne sono stati vittime. «La pronuncia della Corte europea rappresenta uno stimolo in più per portare il sistema penitenziario a un livello di civiltà doveroso per un Paese come il nostro e per combattere con maggiore impegno ogni situazione che possa compromettere i diritti umani del detenuto», ha affermato il capo del Dipartimento amministrazione penitenziaria, Giovanni Tamburino.

«Di fronte al fenomeno del sovraffollamento – ha sottolineato il capo del Dap – un dato reale esistente da almeno 5 anni, l’Amministrazione penitenziaria sta impegnando tutte le proprie forze sia in direzione della costruzione di nuovi edifici, sia nello studio e nella proposta di soluzioni che valgano a contenere il ricorso al carcere preventivo e non solo preventivo, davvero entro i termini dell’estrema ratio». La stragrande maggioranza della popolazione carceraria è infatti costituita da persone in attesa di giudizio, con solo il 10 per cento a scontare una pena definitiva. Il 25 per cento di chi attende di essere giudicato è poi protagonista del fenomeno della cosiddetta “porta girevole”, nel senso che rientra in carcere pochi giorni dopo esserne uscito, per recidiva.

I radicali hanno subito marcato l’importanza della sentenza di Strasburgo nella loro battaglia per l’amnistia. «Come era ampiamente prevedibile, l’Italia ha subito l’ennesima umiliazione in sede europea. I cinque giudici della Grande Chambre chiamati a vagliare il ricorso dell’Italia avverso la sentenza Torreggiani ed altri, lo hanno dichiarato inammissibile» hanno spiegato Rita Bernardini e Giuseppe Rossodivita.

Giorgia Meloni, capogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia, ha affermato affermato che «il rigetto del ricorso italiano da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo trasforma l’emergenza carceri in assoluta priorità nazionale». Per la Meloni servono «pene alternative per i reati minori e risolvere l’annosa questione dell’abuso della carcerazione preventiva», che effettivamente ha collocato il nostro Paese al limite della civiltà giudiziaria di marca Occidentale.

Da un altro punto di vista, un dato significativo è che il 37 per cento dei detenuti nelle strutture penitenziarie italiane è costituito da cittadini extracomunitari, una grossa fetta dei quali potrebbe essere trasferita nei paesi di origine, per scontarvi la pena residua.

È facile prevedere che la sentenza di ieri solleverà polemiche intorno alla più volte ventilata proposta di amnistia, come misura capace di abbassare la pressione sulle carceri italiane. Chi la propone a spada tratta purtroppo perora cause che prestano più attenzione ai giusti diritti dei carcerati, di quanto stiano attente alle aspettative delle vittime e delle loro famiglie, spesso relegate all’angolo e strette dal senso di solitudine generato dal sentirsi abbandonati da parte dello Stato.

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