Mondiali 2022 in Qatar: schiavi del calcio (letteralmente…)
Gli attivisti boicottano i mondiali di Doha e condannando lo sfruttamento dei lavoratori stranieri in atto nel Paese. Intanto, la Fifa decide se spostare la competizione nei mesi invernali a causa delle alte temperature estive. Il ruolo dei migranti, intrappolati dal sistema della “kafala”. L’emiro al-Thani accusato di doppiezza
Doha – La Fifa valuta l’assegnazione dei mondiali di calcio del 2022 al Qatar, ma nel frattempo l’International Trade Union Confederation (Ituc) – l’organizzazione impegnata a tutelare i diritti dei lavoratori in 153 Paesi al mondo – si appresta a lanciare una campagna di boicottaggio ai danni della stessa competizione. «Sarebbe motivo di grande delusione e sconforto per noi la partecipazione a una coppa del mondo organizzata grazie allo sfruttamento di un sistema schiavista», ha affermato Aidan McQuade, direttore del gruppo.
In Qatar, il sistema della kafala – o sponsorizzazione – intrappola attualmente oltre un milione di lavoratori stranieri, vincolandoli al proprio datore di lavoro e privandoli di ogni diritto fondamentale. Nepalesi, filippini, indonesiani lavorano nelle grandi imprese edili o alle dipendenze di ricchi qatarioti. Una volta assunti, sono privati del proprio passaporto e di ogni diritto fondamentale. Senza permesso del proprio ‘sponsor’ non possono licenziarsi, lasciare il Paese o sporgere denuncia in caso di abusi, pena l’arresto o la deportazione.
I maggiori dubbi manifestati dalla Fifa sul designare o meno il Qatar come nazione ospite, riguardano soprattutto la questione climatica. Nei Paesi del Golfo, infatti, le temperature estive raggiungono non di rado i 50 °C e nonostante gli emiri abbiano avanzato la folle proposta di introdurre l’aria condizionata in campo, i vertici del pallone stanno valutando se spostare la competizione ai mesi invernali.
Al contempo, un mondiale in Qatar implicherebbe una mole di appalti dell’ordine di 75 miliardi di dollari, su cui le grandi compagnie statunitensi, britanniche, francesi e brasiliane sarebbero pronte a mettere le mani se la Fifa accontentasse il Qatar. Nei cantieri di hotel, stadi, ferrovie, linee metropolitane e di una nuova città da 200mila abitanti lavorerebbero quei migranti giunti dal sudest asiatico che in Qatar costituiscono il 94 per cento della forza lavoro.
Come ha spiegato Sharan Burrow, Segretario Generale dell’Ituc, «l’organizzazione è intenta a fare pressione su tali gruppi d’investimento affinché assieme allo sviluppo dei progetti previsti incoraggino anche un miglioramento delle condizioni lavorative dei migranti». Tamim bin Hamad al-Thani, giovane emiro del Qatar, per molti analisti internazionali è il continuatore di un un doppio gioco politico avviato dal padre, mantenere le condizioni per le quali il sistema della kafala possa sopravvivere e incentivare allo stesso tempo la nascita di sterili organizzazioni non governative che facciano da contrappeso. Nel 2002, il padre – emiro Khalifa al-Tani, che ha abdicato a favore di Tamim il 24 giugno scorso – inaugurò la Commissione per i diritti umani, mentre la Qatar foundation on combating human trafficking, “impegnata” nella lotta alla tratta umana, è stata ideata da Sheikha Mozah bint Nasser al Missned, sua seconda moglie, molto attiva nella politica internazionale e nota per la sua eleganza.
Il Qatar è protagonista nel mondo sportivo attraverso un’intensa opera di sponsorizzazione in diverse discipline. Da quest’anno sostiene il team semiufficiale della Ford, guidato da Malcom Wilson, nel Mondiale Rally.
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