Afghanistan, Sushmita Banerjee uccisa perché “rea” di denunciare gli orrori dei talebani
La scrittrice indiana era famosa per l’autobiografia in cui raccontava la sua fuga dagli estremisti islamici nel 1995. Sposata con un uomo d’affari afghano, dopo anni di auto-esilio era tornata in Afghanistan per stare con il marito. I fondamentalisti l’hanno giustiziata davanti alla sua casa
Kabul – Sushmita Banerjee, scrittrice indiana famosa per aver pubblicato il racconto della sua fuga dai talebani, è stata uccisa dai fondamentalisti islamici ieri in Afghanistan. La donna, 49 anni, è stata assassinata con un colpo alla testa fuori dalla sua casa a Kharana (provincia di Paktika). Nessun gruppo ha ancora rivendicato la responsabilità per l’omicidio, ma secondo le prime ricostruzioni della polizia un gruppo di talebani ha fatto irruzione nell’abitazione, ha legato il marito e gli altri membri della famiglia, ha portato fuori la Banerjee e le ha sparato. A quel punto i terroristi hanno gettato il corpo vicino a una scuola religiosa.
La scrittrice era sposata con Jaanbaz Khan, uomo d’affari afghano conosciuto a Calcutta. Di recente era tornata in Afghanistan per vivere con lui. Un funzionario di polizia ha spiegato che la scrittrice, conosciuta anche come Sayed Kamala, faceva l’operatrice sanitaria a Paktika e aveva filmato la vita di alcune donne locali per il suo lavoro.
La Banerjee è diventata molto famosa in India per la sua autobiografia “Kabuliwalar Bangali Bou” (A Kabuliwala’s Bengali Wife), in cui ha raccontato la sua vita in Afghanistan con il marito e la fuga dai talebani nel 1995. Nel 2003 il libro è diventato un film di Bollywood, “Escape From Taliban”.
La donna si trasferisce in Afghanistan nel 1989, dopo il matrimonio. Secondo le sue testimonianze, la vita è “tollerabile” fino all’arrivo dei talebani nel 1993, quando gli islamisti le ordinano di chiudere un dispensario che lei gestiva dentro casa, definendola una “donna dalla morale povera”. All’inizio del 1994 tenta una prima fuga, ma i suoi cognati la rintracciano a Islamabad, in Pakistan, dove lei cercava aiuto all’ambasciata indiana. La riportano in Afghanistan, dove viene posta agli arresti domiciliari e definita “immorale”.
Capisce di dover andare via: una notte scava un tunnel nei muri di fango della sua casa e scappa. Viene arrestata a Kabul, dove 15 talebani la interrogano e molti di loro dicono che va giustiziata per aver abbandonato la casa del marito. La Banerjee li convince che, in quanto cittadina indiana, ha il diritto di tornane nel suo Paese. Dopo un interrogatorio durato tutta la notte viene portata all’ambasciata indiana, tramite cui riesce a tornare a Calcutta, dove qualche tempo dopo si riunirà finalmente al marito.
Ieri il tragico epilogo di una vita travagliata a causa di un movimento settario, criminale e terrorista come quello talebano, che però – in modo del tutto incomprensibile – non suscita negli animi dei progressisti lo sdegno incondizionato che meriterebbe.
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