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Papa Francesco: il vescovo “rimanga” nel suo gregge con affetto paterno e anche un po’ di umorismo

Francesco, incontrando i vescovi di nuova nomina, torna a indicare compiti e stile di vita del vescovo: “accogliere con magnanimità, camminare con il gregge, rimanere con il gregge”. Nuovo appello per “il dono della pace in Siria”

20130919-papafrancescoCittà del Vaticano – Il vescovo “rimanga” nel e con il suo gregge, “con affetto, con misericordia, con dolcezza del tratto e fermezza paterna, con umiltà e discrezione” e sia capace di guardare anche ai suoi limiti e “di avere una dose di buon umorismo”.

Papa Francesco torna a indicare compiti e stile di vita del vescovo sottolineando di nuovo, con forza, il “restare in diocesi”, “non essere vescovi da aeroporto” e non cercare “la carriera”. L’occasione è data dall’incontro di stamattina con i vescovi di recente nomina partecipanti al convegno promosso dalla Congregazione per i vescovi e dalla Congregazione per le Chiese orientali.

Tra loro, nota Francesco, ci sono due vescovi siriani e ciò “ci spinge ancora una volta a chiedere insieme a Dio il dono della pace. Pace per la Siria, pace per il Medio Oriente, pace per il mondo!”.

Il Papa, dunque, torma a parlare del ruolo del vescovo: “Siamo chiamati e costituiti Pastori non da noi stessi, ma dal Signore e non per servire noi stessi, ma il gregge che ci è stato affidato, servirlo fino a dare la vita come Cristo, il Buon Pastore”, e, questa volta, ne evidenzia tra aspetti. A partire dal fatto che “pascere significa: accogliere con magnanimità, camminare con il gregge, rimanere con il gregge”.

“Accogliere con magnanimità. Il vostro cuore sia così grande da saper accogliere tutti gli uomini e le donne che incontrerete lungo le vostre giornate e che andrete a cercare quando vi metterete in cammino nelle vostre parrocchie ed in ogni comunità. Fin d’ora chiedetevi: coloro che busseranno alla porta della mia casa, come la troveranno? Se la troveranno aperta, attraverso la vostra bontà, la vostra disponibilità, sperimenteranno la paternità di Dio e capiranno come la Chiesa sia una buona madre che sempre accoglie e ama.

Camminare con il gregge. Accogliere tutti per camminare con tutti. Il Vescovo è in cammino con e nel suo gregge. Questo vuol dire mettersi in cammino con i propri fedeli e con tutti coloro che si rivolgeranno a voi, condividendone gioie e speranze, difficoltà e sofferenze, come fratelli e amici, ma ancora di più come padri, che sono capaci di ascoltare, comprendere, aiutare, orientare. Il camminare insieme richiede amore, e il nostro è un servizio di amore”.

Nel “camminare” il Papa evidenzia “l’affetto” verso i sacerdoti, “il primo prossimo del Vescovo”, da curare “soprattutto nei momenti più delicati ed importanti del loro ministero e della loro vita”.

Camminare è anche presenza nella diocesi. “La vostra presenza non è secondaria, è indispensabile. La chiede il popolo stesso, che vuole vedere il proprio Vescovo camminare con lui, essere vicino a lui. Ne ha bisogno per vivere e per respirare! Non chiudetevi! Scendete in mezzo ai vostri fedeli, anche nelle periferie delle vostre diocesi e in tutte quelle “periferie esistenziali” dove c’è sofferenza, solitudine, degrado umano”.

“Un Vescovo che vive in mezzo ai suoi fedeli ha le orecchie aperte per ascoltare «ciò che lo Spirito dice alle Chiese» (Ap 2,7) e la ‘voce delle pecore’, anche attraverso quegli organismi diocesani che hanno il compito di consigliare il Vescovo, promuovendo un dialogo leale e costruttivo”.

 “E qui vorrei aggiungere: lo stile di servizio al gregge sia quello dell’umiltà, direi anche dell’austerità e dell’essenzialità. Noi Pastori non siamo uomini con la “psicologia da principi”, uomini ambiziosi, che sono sposi di una Chiesa, nell’attesa di un’altra più bella, più importante o più ricca. State bene attenti di non cadere nello spirito del carrierismo! Non è solo con la parola, ma anche e soprattutto con la testimonianza concreta di vita che siamo maestri ed educatori del nostro popolo. L’annuncio della fede chiede di conformare la vita a ciò che si insegna. Missione e vita sono inseparabili (cfr Giovanni Paolo II, Pastores gregis, 31). E’ una domanda da farci ogni giorno: ciò che vivo corrisponde a ciò che insegno?”

“Terzo e ultimo elemento: rimanere con il gregge. Mi riferisco alla stabilità, che ha due aspetti precisi: “rimanere” nella diocesi, e rimanere in “questa” diocesi, senza cercare cambi o promozioni. Non si può conoscere veramente come pastori il proprio gregge, camminare davanti, in mezzo e dietro ad esso, curarlo con l’insegnamento, l’amministrazione dei Sacramenti e la testimonianza di vita, se non si rimane in diocesi. Il nostro è un tempo in cui si può viaggiare, muoversi da un punto all’altro con facilità, un tempo in cui i rapporti sono veloci, l’epoca di internet. Ma l’antica legge della residenza non è passata di moda! E’ necessaria per il buon governo pastorale (Direttorio Apostolorum Successores, 161). Certo c’è una sollecitudine per le altre Chiese e per quella universale che possono chiedere di assentarsi dalla diocesi, ma sia per lo stretto tempo necessario e non abitualmente. Vedete, la residenza non è richiesta solo per una buona organizzazione, non è un elemento funzionale; ha una radice teologica! Siete sposi della vostra comunità, legati profondamente ad essa! Vi chiedo, per favore, di rimanere in mezzo al vostro popolo. Rimanere, rimanere… Evitate lo scandalo di essere “Vescovi di aeroporto”! Siate Pastori accoglienti, in cammino con il vostro popolo, con affetto, con misericordia, con dolcezza del tratto e fermezza paterna, con umiltà e discrezione, capaci di guardare anche ai vostri limiti e di avere una dose di buon umorismo. E rimanete con il vostro gregge!”.

(fonte AsiaNews)