Delocalizzare? Indietro tutta di gran …Carrera. Un progetto Nord-Sud “a km zero” per occupazione e ambiente
L’azienda veronese scommette con Coop e Legambiente sul rilancio della manifattura calzaturiera in Italia per un progetto che unisca ambiente e riduzione dei prezzi, ma non della qualità
Verona – In tempi di crisi così profonda come quella che viviamo, trovare un’azienda che fa un passo indietro e torna a produrre in Italia è una notizia. Che la produzione riguardi poi il settore calzaturiero, decimato dalla delocalizzazione in Oriente o nell’Est dell’Europa, è una doppia notizia. Sicché merita rispetto lo sforzo compiuto dalla Carrera di Caldiero, in provincia di Verona, che ieri ha presentato alla Camera dei Deputati il progetto “calzature a kilometro zero”, in collaborazione con Coop e Legambiente.
La delocalizzazione ha prodotto infatti un aumento della disoccupazione, con risvolti drammatici per l’economia del Paese, ma pone anche temi etici ancora più profondi, se si pensa a quali viaggio sono sottoposti i prodotti delle manifatture cinesi, indiane o bangladesi, per arrivare nei negozi italiani. Per non parlare poi del drammatico divario esistente in termini di protezione sociale, sicurezza sul lavoro, diritti basilari in ambienti di lavoro, temi su cui ancora la strada da intraprendere è molta.
La sfida di Carrera Footwear è quella di lanciare sul mercato scarpe realizzate completamente in Italia, prodotte utilizzando materie prime certificate e a basso impatto ambientale, con un conseguente prezzo competitivo – tra i 39 e i 54 euro – con un range disponibile ampio e in grado di soddisfare un’ampia fetta di clientela maschile e femminile.
È «un progetto economicamente sostenibile per tutti gli attori in campo – ha spiegato Paolo Tessarin, amministratore unico di Carrera Footwear, in occasione della presentazione del progetto nella sala stampa della Camera dei Deputati – un progetto che non ha avuto bisogno di nessun finanziamento, ma che si finanza da sé e mette a disposizione dei consumatori non un prodotto di nicchia, ma di uso quotidiano: scarpe Made in Italy che battono i prodotti cinesi non solo per qualità, ma anche per il prezzo».
Insomma, quella di Tessarin sembra il suono delle trombe del Settimo Cavalleggeri, lanciato a una riscossa che possa far risplendere il sole dell’economia italiana. Dopo la chiusura di gran parte del comparto calzaturiero del Nord-Est e delle Marche, con la conseguenti ricadute occupazionali, il progetto KmZero sostiene i distretti della Campania e della Puglia, gli unici rimasti, tornando a far produrre i piccoli laboratori artigiani del Sud Italia, attraverso un pieno rispetto sia della legislazione sul lavoro sia delle condizioni igienico sanitarie e ambientali.
Legambiente partecipa all’iniziativa perché per ogni paio di scarpe vendute, Carrera devolverà a Legambiente, per la Festa dell’Albero del 21 novembre, il 2% sul prezzo di vendita che Carrera fa a Coop. La Festa dell’Albero prevede la partecipazione di 2.500 classi e 50mila alunni per la piantumazione di nuovi alberi e piante.
«Le scarpe a KmZero non possono non piacerci, non solo perché il progetto destinerà risorse a iniziative di rivalutazione ambientale ma perché sono scarpe tutte italiane, dai materiali alla produzione – ha spiegato Rossella Muroni, direttore generale di Legambiente – Materiali certificati a basso impatto ambientale e produzione concentrata nei distretti produttivi di Campania e Puglia: due caratteristiche importanti tra quelle che Legambiente ritiene necessarie al rilancio economico del Paese». «Crediamo infatti che la ripresa dell’Italia possa attuarsi proprio, e soltanto, a partire dalle produzioni di qualità e dalle storie di eccellenza – ha concluso la dirigente della più nota associazione ambientalista italiana «dai prodotti tipici, dalle lavorazioni tradizionali e artigianali insieme all’innovazione tecnologica».
Il progetto KmZero è patrocinato da Cittadinanza attiva e Adoc. Ermete Realacci, storico dirigente di Legambiente e oggi deputato e presidente della Commissione Ambiente Territorio e Lavori Pubblici della Camera, è intervenuto alla presentazione e ha apprezzato la strategia dell’azienda veronese, perché «è la metafora di un modello di sviluppo legato ai territori, alla qualità, alla sostenibilità ambientale, alla green economy».
Accorciare la filiera della produzione di beni e servizi può essere una delle modalità con cui far rialzare in piedi l’Italia, dando linfa al sistema delle micro, piccole e medie imprese, ma anche un modo per abbattere i costi di trasporto e l’impatto ambientale della produzione, un concetto validissimo non solo in agricoltura.
Una valenza rilevata anche dal ministro dell’Ambiente, Andrea Orlando, che ha sottolineato come il progetto mostri che la «sostenibilità ambientale si può coniugare con la sostenibilità sociale, di come le filiere produttive con forte consapevolezza etica possano dare un contributo importante al mantenimento di comparti produttivi minacciati dalla delocalizzazione».
Carrera si pone insomma sul fronte della Resistenza Economica Italiana, nell’ottica del rispetto sociale e ambientale, mostrando una nuova frontiera possibile per le aziende italiane, in un contesto giuridico e fiscale che è nemico dell’imprenditorialità, soffocante e punitivo verso chi produce beni, servizi, ricchezza.
Naturalmente il progetto tende anche a raccogliere una fetta di mercato in crescita grazie alla crisi, quella dei consumatori consapevoli che la qualità di un prodotto spesso (quasi sempre) non è legata al prezzo. Il canale di vendita individuato – i superstore della Coop – è una mossa intelligente per comunicare vicinanza a chi gestisce il bilancio familiare con raziocinio e intelligenza, ma non a discapito della qualità, dello stile e della funzionalità.
Il successo dell’iniziativa dell’azienda di abbigliamento veronese segnerebbe l’inversione netta di una tendenza che sembrava inarrestabile, la delocalizzazione in Oriente e in Paesi in cui il costo del lavoro è infinitamente minore di quello italiano. Un modello che andrebbe assimilato anche da altri settori produttivi, perché la crisi italiana è crisi di domanda interna, superabile solo se la gente torna a spendere i propri soldi in Italia. Riuscirà la politica a comprendere che soffocare gli imprenditori è come mettere una corda al collo dell’economia italiana?
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