Dieci anni fa si spegneva la voce straordinaria di Giuni Russo

di Davide Turchi

Nel decennale della scomparsa, un pensiero a un’artista siciliana mal-trattata in vita, adorata oggi che ci canta dall’Aldilà

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Milano – Sono trascorsi ormai 10 anni dal giorno in cui la voce di Giuni Russo si è spenta. Un periodo di tempo mai troppo lungo per dimenticarsene. 

Al secolo Giuseppa Romeo, Giuni Russo non era una semplice cantante, dotata di una voce sublime e indimenticabile, probabilmente la più bella e nobile degli ultimi 50 anni della canzone italiana (a umile parere di chi scrive), ma una donna cui il destino e il mondo non hanno reso i giusti meriti.

Nata a Palermo il 7 settembre del 1951, da una famiglia in cui la musica la faceva già da padrona (la mamma fu un soprano naturale), Giuni si appassiona prestissimo al canto. All’età di tredici anni comincia ad esibirsi nei teatri del capoluogo siciliano, fino ad arrivare in seguito a cantare – quasi in modo timido – al Festival di Castrocaro, prima, e a Sanremo, poi.

Nel frattempo realizza le prime incisioni e si trasferisce a Milano, dove incontra Maria Antonietta Sisini che sarà la sua compagna artistica e di vita. Tra alti e bassi, la sua carriera stenta a decollare finché il sodalizio artistico con Franco Battiato risulterà decisivo per la sua attività discografica.

Giuni Russo, “Il sole di Austerlitz”

Il successo arriva nell’estate del 1982 con il brano “Un’ estate al mare”, canzone che per il grande pubblico identificherà (e a torto) la figura di Giuni. Un anno prima aveva realizzato il suo primo album Energie, prodotto dall’amico Battiato, lavoro che presenta sonorità innovative e soprattutto valorizza tutto il potenziale della cantante palermitana.

Lentamente il pubblico comincia ad approcciarsi al talento di Giuni, ma emergono però le prime conflittualità con l’industria discografica. L’artista siciliana si è sempre dimostrata refrattaria alle logiche di mercato e questa sua ritrosia l’ha portata quasi a reprimere la vera essenza della sua vena artistica. La sua pura ragion d’essere era quella di rappresentare in modo estrinseco il reale significato della sua musica, al di là delle banalità e degli stereotipi di un Italia troppo distante da un certo tipo di arte e sentimenti. Veniva assai spesso associata ai ritmi effimeri e balneari, cantando canzoni che lei in realtà disprezzava e che cercava in qualche modo di cancellare.

Ecco infatti emergere il lato più spirituale di Giuni, la sua vera natura di donna e di artista, nonché la sua rinnovata fede intrisa di misticismo. Non era una donna comune ed infatti la sua sensibilità la portò a operare un taglio netto col passato, inaugurando un nuovo percorso musicale, come è ben dimostrato dall’album più apprezzato dalla critica della sua discografia, ‘A casa di Ida Rubinstein‘, un disco del 1988 in cui rielabora in chiave moderna arie di Donizetti, Bellini e Verdi e dove la voce di Giuni Russo finalmente raggiunge una dimensione autentica.

Poco le interessava di sacrificare la sua visibilità al pubblico con opere di difficile richiamo economico, con nessuna possibilità di scalare le vendite. La sua creatività ed intuizione, unita anche ad una profonda ispirazione mistica, hanno caratterizzato non solo i suoi ultimi lavori, ma anche l’intera esistenza di Giuni.

Dolcezza e orgoglio sono emerse dalla figura di questa grande artista siciliana, combattente solitaria contro un mondo che non riconosceva il suo talento come avrebbe meritato. Grazie alla sua voce straordinaria, ha fatto vibrare le emozioni di chi l’ascoltava con prospettive ultraterrene, frutto della sua maturità umana e della sua vocazione, con brani come La Sposa, La Sua Figura fino a Morirò d’Amore, brano che presentò a Sanremo nel 2003, che coincise anche con la sua ultima apparizione pubblica ormai segnata nel fisico.

L’incontro con i testi di San Giovanni della Croce e di Teresa d’Avila, le sonorità d’oriente, le tradizioni ebraiche e mediterranee sono confluite in lei in un ultimo intreccio di amore e misticismo, che l’ha pervasa fino al suo ultimo respiro, quasi che l’opera artistica fosse un solo grande testamento spirituale.

Un brutto male s’è portato via Giuni Russo una notte di 10 anni fa, ma lei – con la sua proverbiale caparbietà e fiducia – ha voluto affrontarlo, irriducibile, con l’unico intento di testimoniare la fede. Ne è uscita sconfitta, ma non vinta, perché consapevole di essere stata prescelta attraverso il dono della sua voce eccezionale, la sua più grande e intensa eredità tramandata ai posteri. Una vVoce che grida, non più prigioniera, e ora riecheggia nella terra del silenzio.

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