Lewis Hamilton vince il primo GP di Russia di F1, Rosberg brucia la gara al primo giro. Mercedes iridata

Podio fotocopia del risultato nelle qualifiche: la doppietta Mercedes dona alla casa di Stoccarda il primo Campionato del Mondo Costruttori. Rosberg vanifica una bella partenza con un errore al primo, ma nega . Bottas gara onesta e quinto podio stagionale. Le McLaren di Button e Magnussen precedono Alonso, le due Red Bull di Ricciardo e Vettel, Räikkönen e Perez. Gara noiosa, molta retorica e poco costrutto prima del via

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Sochi – “Sulle rive del Mar Nero/ già arrivò l’uomo nero/ mentre il biondo vichinghino/ fece un gesto da cretino/poi riprese pur la lotta/ e arrivò davanti a Botta(s)”. Mettiamola in versi la vittoria di Lewis Hamilton sul circuito di Sochi, la prima volta di un GP di Russia di Formula 1 su un circuito asettico come una sala operatoria, divertente come un giardino controllato dagli Spetnaz. Per Hamilton è la trentunesima vittoria, la nona stagionale, che dà alla Mercedes il primo titolo costruttori (con tre gare di anticipo) con la ottava doppietta stagionale.

Una gara noiosa, movimentata solo all’inizio dalla partenza a razzo di Rosberg, ma subito cassata dal suo errore alla prima curva, quando ha inchiodato, rovinando le gomme anteriori, dovendo lasciare la posizione al compagno di 20141008-tous-avec-jules#17-300x150squadra ed poi dovendo rientrare ai box subito, per tentare un cambio radicale di strategia che si è rivelata giusta: ma solo per il secondo posto. In ogni caso, bella la rimonta, con qualche sorpasso interessante, ma declassato dal dato di fondo: la superiorità delle Frecce d’Argento di Stoccarda, che arrivano al mondiale costruttori prima di quanto sperato (ma forse anche no).

Bottas, terzo, non è mai sembrato in grado di impensierire Hamilton – durante le fasi di recupero di Rosberg – cedendo poi quasi subito al ritorno del semi-connazionale della Mercedes. Ma alla Williams devono farsi un esame di coscienza sulla strategia, visto il pit stop ritardato del finlandese. Alla fine, il giro più veloce proprio all’ultima tornata mostra che forse il finlandese avrebbe potuto osare di più. Se avesse voluto (ma i 14’’3 di distacco sono tanti).

Del resto, dal secondo giro Hamilton ha girato con la testa rivolta al campionato, senza strafare, gestendo una corsa che avrebbe potuto solo perdere per un errore di disattenzione o per una panne. Nello stesso tempo Rosberg ha dovuto solo pensare a limitare i danni: c’è riuscito, il distacco ora è salito a 17 punti.

Il podio è la fotocopia delle prime tre posizioni delineate dalle qualifiche.

Sotto il podio – a debita distanza – è arrivato Jenson Button, che ha conquistato il miglior risultato stagionale con una monoposto recalcitrante altrove: la superfice piatta dell’asfalto di Sochi, la particolare conformazione chimica del bitume e un qualcosa in più derivante dall’esperienza hanno consentito a Button di staccare il coriaceo compagno di squadra Magnussen di ben 23’3.

Giornata opaca per la Ferrari: o meglio, per quella che dovrebbe essere la naturale aspirazione della scuderia di Maranello. Il sesto posto di Fernando Alonso e il nono di Räikkönen sono una mancia morale, per una monoposto che non ha motore. Fa male perfino a scriverlo, immaginiamoci a viverlo. E se Alonso è inviperito, noi che non siamo tra i primi suoi fan possiamo solo capirlo.

Tra i due ferraristi, al 7° e 8° posto si sono piazzati Ricciardo e Vettel, con qualche sprazzo di lotta in famiglia a inizio gara, prima che la ragione ritornasse tra gli alfieri della Red Bull: l’australiano resta ancora in corsa matematica per l’iride, sarebbe stato sciocco gettare tutto alle ortiche con un suicidio sportivo nel giorno in cui il team dei bibitari passa lo scettro iridato al team della Stella a Tre Punte.

Nella giornata in cui tutti aspettavano la Safety Car (perfino i telecronisti di Sky, che ne parlavano – evocandola – ogni tre minuti: molto discutibile…), la Safety Car non è stata necessaria. Meglio per tutto e per tutti.

Perez, con il decimo posto, aggiunge un pizzico di zucchero a una gara tormentata per tutti (i piloti), con qualche presa di posizione seria sull’Affaire Bianchi: come appunto il messicano e Alonso.

Delusione per Massa (alla fine 11°), fermatosi al primo giro per cambiare una strategia folle a posteriori, ma coerente con il basso carico della Williams che consuma di più le gomme. Delusione pure per Vergne e Kvyat – beniamino di casa – che avrebbe sperato di dare una gioia al presidente Putin, mentre si dà una gioia vivendo in Italia (altrimenti punizione in Siberia…? Scherziamo…). Per le Sauber, le Lotus e le Caterham, solo i titoli di cosa.

Una riflessione invece va fatta sulla retorica che ha accompagnato questa gara, per tutto il week-end. Tutti a pensare a Jules Bianchi, è stato ripetuto alla noia e con una ridondanza tale da far pensare tutto il contrario.

Capiamoci: che tutti siano colpiti dall’esito dell’incidente di Jules a Suzuka, non c’è dubbio. Che tutti si siano fermati a pensare alla sorte di un ragazzo di 25 anni che fino a 8 giorni fa zompettava insieme a loro, altrettanto. Che molti di costoro siano davvero in pensiero, è certo.

È assolutamente certo invece che tutti pensano solo una cosa: “avrei potuto essere al posto di Jules Bianchi”. Questo perché l’incidente di domenica scorsa non era inevitabile, come ha sostenuto quella gran faccia tosta di Charlie Whiting, al quale ha fatto sponda la stampa inglese al limite del paraculismo. Fernando Alonso – con humor nero e denso di rabbia repressa con difficoltà – ha fatto una fotografia cruda: “non abbiamo mai fatto un test con un trattore”. Sembra una battuta, è una denunzia della vergognosa cialtroneria e della incomprensibile copertura che la FIA sta fornendo al direttore di corsa unico e al gestore dei diritti commerciali della F1, Bernie Ecclestone.

Il momento di riflessione e vicinanza a Jules Bianchi e alla sua famiglia, davanti alla griglia di partenza, è stato svilito dal suono dell’inno nazionale russo, a dimostrazione che il potere economico e politico non sono sufficienti a entrare nella buona società: occorre un’educazione alla dialettica, una preparazione alla sintassi democratica che lo sport purtroppo da troppo tempo sta lasciando in secondo piano, fornendo invece un piedistallo ai vari satrapi in circolazione. Che si chiamino Ecclestone o Putin non fa differenza. Peccato.

Ultimo aggiornamento 12/10/2014, ore 15:36:23 | © RIPRODUZIONE RISERVATA

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