Marò, gli indiani si incazzano con Napolitano, che fa una figura barbina

Irritati dalle recenti dichiarazioni del Capo dello Stato durante l’incontro con Matteo Renzi, da New Delhi fanno sapere che la magistratura è indipendente e che agirà in modo equo. La stampa italiana guarda il dito (India) e non la Luna (Italia)

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Torniamo sulla questione dei marò – rectius: fucilieri della Brigata anfibia San Marco – per rilevare l’ennesima pessima figura dell’Italia nella Comunità Internazionale. Per chi non lo sappia, il Capo dello Stato rappresenta il Paese all’estero, nel consesso internazionale. Ne consegue che una critica rivolta al presidente della Repubblica è una critica al Paese intero (a prescindere dalla fondatezza o meno dei rilievi).

Cosa è accaduto qualche giorno fa? Che il presidente Napolitano, in modo improvvido, lunedì scorso ha dichiarato che l’India avesse mostrato “scarsa volontà politica” per risolvere la controversia con l’Italia con una “soluzione equa”. Un’accusa che non avrebbe dovuto essere manifestata in pubblico, ma semmai rivolta per vie riservate e diplomatiche, in quanto offensiva del sistema giudiziario, formalmente indipendente e fondato sulla rule of law,  di un altro Paese. Un errore.

Ieri, il ministero degli Esteri di New Delhi – tramite una dichiarazione del portavoce Syed Akbaruddin – di fatto ha preso per ignoranti il capo dello Stato e tutta Italia, precisando che il dialogo tra i governi è un fatto positivo, “la questione è sottoposta al giudizio del sistema giudiziario indiano che è corretta e imparziale”, ha dichiarato.

Veramente un po’ troppo.

Il che però ci deve indurre a riflettere ancora una volta sulle mancanze italiane, non sulle cialtronerie indiane. E la deficienza italiana – politica, of course – deriva da ignoranza o malafede?

L’interrogativo è stato ribadito anche dall’ex ministro degli Esteri del Governo Monti, Giulio Terzi, che da tecnico della materia (e profondo conoscitore degli aspetti giuridici e diplomatici internazionali) non si capacita della catena di scelte incomprensibili compiute fin dall’inizio di questa storia vergognosa e perfino ai danni della sua conduzione della politica estera italiana quale titolare pro tempore della Farnesina.

Terzi – in un’intervista a Lorenzo Bianchi su QN ha così sintetizzato la posizione dell’Italia (con una continuità indecente) sulla questione: «L’Italia evita le vie maestre del diritto e sceglie invece i sentieri della giungla ».

Il Paese che dovrebbe essere la culla del diritto, preso a sassate da chi il diritto internazionale lo ha vilipeso a più riprese, nel silenzio della Comunità Internazionale che finge di non capire il pericoloso precedente costituito da una indagine illegale, in violazione del diritto internazionale marittimo, per fatti accaduti in acque internazionali e per questo sottoposti al vigore dello Stato di bandiera (nella fattispecie l’Italia).

Infatti, l’ex ambasciatore alle Nazioni Unite, Washington e Tel Aviv ha posto oggi una questione fondamentale: l’internazionalizzazione della controversia di fronte al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, l’organo che si occupa della pirateria marittima e che ha deliberato sul problema numerose risoluzioni.

Il mancato riconoscimento delle guarentigie funzionali ai due sottufficiali della Marina Militare Italiana – Massimiliano Latorre e Salvatore Girone – costituisce un pericolo per tutti i militari di tutti i Paesi partecipanti alle missioni sotto l’egida delle Nazioni Unite.

Se l’Italia agisse in seno al Consiglio di Sicurezza – aprendo una discussione sulla questione – porrebbe alla Comunità Internazionale il problema in generale, ma allo stesso tempo rafforzerebbe gli argomenti da porre di fronte a un arbitrato internazionale aperto secondo l’Allegato VII del Trattato di Montego Bay 1982 (UNCLOS più volte citato) e perfino di fronte a un’azione giudiziaria di fronte alla Corte Internazionale di Giustizia.

Una mossa strategica che rafforzerebbe la posizione italiana, ma che per un mistero insondabile i tre governi che se ne sono occupati non hanno intrapreso, rafforzando il dubbio che dietro la questione vi siano motivi inconfessabili e occulti, di natura non solo economica, in danno dell’Italia.

Neanche di fronte all’ipotesi umanitaria – grazie all’intervento del presidente della Croce Rossa Internazionale, Peter Maurer, che offrì nel luglio scorso i propri buoni uffici al Governo per cercare di risolvere la questione – il Trio Renzi-Mogherini-Pinotti ha agito. E anche l’UE – grazie alla sollecitazione di Laura Comi – non ha agito.

Un tema – quello degli aspetti umanitari – che a nostro modo di vedere costituisce una umiliante reductio della controversia, su cui ci sono alcuni punti fermi:

  • due pescatori sono stati uccisi in acque internazionali;
  • l’India accusa dell’assassinio due militari italiani in servizio antipirateria su una nave italiana;
  • le indagini su questo duplice omicidio spettano al giudice naturale, che secondo l’articolo 97 di UNCLOS è il giudice dello Stato di bandiera della nava (nella fattispecie il Tribunale di Roma, competente per i reati commessi da italiani all’estero);
  • il calibro dei proiettili che hanno ucciso i due poveri pescatori del Kerala non sono dello standard usato dai militari dei Paesi aderenti all’Alleanza Atlantica e alla NATO;
  • l’India ha violato il diritto internazionale marittimo (articolo 300 UNCLOS e il succitato articolo 97), la Convenzione di Vienna del 1961 sulle immunità diplomatiche (limitando i movimenti dell’ambasciatore italiano in India, Daniele Mancini) e smentendo gli obblighi derivanti dall’articolo 100 dell’UNCLOS sulla cooperazione internazionale contro la pirateria (su cui l’ambasciatore Terzi fonda l’idea di agire in sede ONU);
  • infine, i governi italiani succedutisi (Monti, Letta e Renzi) hanno collezionato una serie incredibile di errori talmente gravi da far pensare a inazione deliberata.

Di fronte a tutto questo l’interrogativo inevaso è ancora lo stesso: perché? Quali inconfessabili interessi tra Roma e New Delhi si nascondono e impediscono che l’Italia chieda e agisca per il ripristino del diritto internazionale?

Post Scriptum

Analoghe considerazioni sull’ immobilità e l’inazione del Governo italiano si possono fare riguardo alla situazione che coinvolge nelle Filippine l’ambasciatore Daniele Bosio, accusato – più o meno – di comportamenti non corretti verso minori (ché neanche l’esposto che ha avviato l’incresciosa vicenda denunzia atti di pedofilia), invischiato nel sistema giudiziario filippino e abbandonato dalla Farnesina. Ma è un’altra vergognosa storia italiana.

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