Cervelli italiani in fuga

La storia di un giovane campano, modello per mille altre storie, il vero damma di questo Paese

Roma – Luca Baracchi, 35 anni, campano, è uno degli italiani il cui talento nella progettazione e gestione di grandi eventi è riconosciuto e apprezzato all’estero. Luca si occupa ormai da dieci anni di pianificazione e controllo per i grandi eventi sportivi internazionali con una predilezione per project management e il protocollo olimpico. La sua carriera comincia con le Olimpiadi Invernali di Torino 2006 quando, studente alla SIOI (Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale – ente che opera sotto l’egida del Ministero degli Esteri e della Cooperazione Internazionale), si ritrova catapultato in un mondo lavorativo di cui non conosceva l’esistenza.

In che modo è iniziato questo insolito percorso lavorativo?

Per puro caso. Frequentavo il corso ……. Alla SIOI e ci comunicarono che gli organizzatori delle olimpiadi sarebbero venuti a fare le selezioni per reclutare 20?/40? Ragazzi da collocare con il ruolo di Venue Protocol Manager. Spinto sia dalla curiosità che dalla voglia di mettermi in gioco partecipai alle selezioni. Posso dire che si è trattato di amore a prima vista.

Cosa voleva “fare da grande”?

Mi sono laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche e avrei voluto intraprendere la carriera diplomatica, appunto. Per questo feci i test per la SIOI. Mi resi conto presto, però, che spendere anni a studiare per un concorso difficile, certo, ma in cui la capacità personale non era l’unica variabile non faceva per me e quando scoprii il mondo della pianificazione sportiva me ne innamorai subito. In fondo, di carriera internazionale e diplomazia si trattava.

Dopo l’esperienza di Torino com’è andata?

Partii per il Qatar dove fui assunto come Language Services Manager agli Asian Games di Doha 2006. Un’altra esperienza significativa in un paese fuori dalle rotte turistiche. Rientrato in Italia speravo di poter essere impiegato presso il CONI o una delle nostre federazioni sportive, come accade ai colleghi stranieri, attesi a braccia aperte dalle istituzioni del proprio Paese. Per un anno, quindi, lavorai in un’azienda inglese che si occupava di ospitalità e corporate a Torino che poi chiuse i battenti mentre gli impiegati, me compreso, erano in ferie e sparì senza pagare il dovuto a nessuno. Devo dire, un’esperienza anche quella. Fummo abbandonati anche dalle istituzioni locali e nazionali che, paradossalmente, non prevedevano alcuna tutela per noi ma avevano concesso agevolazioni fiscali alle aziende straniere. Nel 2008 fui assunto per curare l’ufficio stampa e il protocollo del Campionato Mondiale di Pugilato di Milano 2009 e allo scadere del contratto ero su un aereo per Singapore dove lavorai per i primi Youth Olympic Games di Singapore 2010. Una sfida emozionante, esotica, unica.

Lei era l’unico italiano a lavorare per questo evento lontano 12 ore d’aereo?

Ero uno dei 4 impiegati dal comitato organizzatore, il terzo in ordine di arrivo. Ricordo con tristezza che non ci furono nemmeno due righe su di noi mentre i francesi, ad esempio, ricevevano elogi a destra e a manca dalla propria ambasciata e dai giornali nazionali, promuovendo cosi i Giochi nel proprio Paese. Non è stato facile abituarsi al caldo, all’accento, agli usi e costumi diversi da quelli occidentali. Ma eravamo li, per un evento unico, pochi ma buoni.

Non aveva voglia di fermarti?

Singapore è un bel posto ma non avevo ancora voglia di smettere con quel lavoro. Mi candidai per le Olimpiadi di Londra quasi per gioco e a gennaio 2011 lavoravo al LOCOG come Lead Protocol Manager. Ecco, a Londra ci sarei rimasto volentieri ma un profilo come il mio non era semplice da “piazzare” poiché all’estero si dà, giustamente, priorità ai locali e molti miei colleghi britannici sono stati impiegati adeguatamente col tempo. Gli stranieri sono andati quasi tutti via oppure accettavano ruoli marginali.

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Luca Baracchi

Quindi qual è stato il “piano B”?

Nel 2013 feci domanda e fui assunto come Project & Development Manager dalla Federazione Internazionale di Pentathlon Moderno (UIPM) che ha sede a Montecarlo e mi trasferii a Nizza. I contratti del settore sono spesso di breve durata e cosi ho optato per la consulenza, in modo da poter lavorare anche per altre organizzazioni se ce ne fosse stata l’occasione. Infatti, nel 2015, ho lavorato al protocollo dei primi European Games a Baku, in Azerbaijan e adesso, oltre allo sviluppo del parapentathlon per l’UIPM mi occupo della pianificazione dei Panamerican Games di Lima 2019 in partneship con Deloitte.

Quali sono i pro e i contro del suo lavoro?

Lavorare nei comitati organizzatori di grandi eventi sportivi è emozionante, adrenalinico, si pianifica tanto tempo prima e poi finalmente si gode del risultato. Nonostante si pensi al piano B, C, D, ecc. c’è sempre l’imprevisto da risolvere quindi prontezza e flessibilità sono due elementi che non possono mancare in questo lavoro. Non ci si annoia mai. Si mettono in pratica le conoscenze linguistiche e culturali, il che dà sempre grande soddisfazione. Si vive lo sport dall’interno, circondati da persone che provengono da ogni parte del mondo. È un lavoro “silenzioso”, fatto dietro le quinte per dare risalto agli atleti e ai loro Paesi.

Il lato negativo, o meno positivo, se vogliamo, è l’essere nomadi. Ogni anno o due bisogna traslocare, rescindere contratti, lasciare persone e luoghi divenuti familiari, cercare un nuovo appartamento e abituarsi ad una nuova realtà. Insomma, ripartire da zero. Alla lunga pesa. Alla fine non sai più da dove vieni ma entri nel “club degli Olympic Gypsies” come ci siamo auto definiti.

Ma in Italia non c’è alcuna possibilità d’impiego?

Purtroppo no. Se fossi nato altrove mi sarebbero bastate un paio di esperienze nei giochi per essere assunto al comitato olimpico nazionale o presso federazioni o enti ministeriali. In Italia purtroppo non funziona cosi. Basti pensare che nemmeno la stampa italiana si interessa a noi se non su “segnalazione”. Io e i miei colleghi siamo una categoria apprezzata all’estero per qualità e competenze ma al rientro occorre “l’aiutino” per riuscire.

Cosa pensa degli italiani all’estero? Nel tuo settore, ovviamente.

Nel mio settore gli italiani peccano spesso di individualismo. Siamo la triste dimostrazione che ognuno fa per sé. Non facciamo comunità. Greci e francesi, ad esempio, sono molto più uniti offrendosi il lavoro l’un l’altro. Questo porta alla creazione di lobby, cosa positiva per la comunità, anche se in questo modo non sempre vengono assunte persone valide. Ma almeno fanno gruppo. Noi italiani invece siamo l’opposto. Salvo alcune eccezioni, ovviamente.

Cosa pensa della candidatura di Roma 2024?

Premesso che Roma ha un fascino internazionale e un valore indiscutibile, credo che per determinate dinamiche non basti solo il nome. Con il Presidente Bach al CIO e l’Agenda 2020 da lui definita per dettare tempi e nuovi standard di organizzazione olimpica, il percorso è semplificato nelle procedure ma arduo nella sostanza rispetto ai tempi di consegna, non solo dei lavori ma anche di strutture organizzative snelle ed efficienti a beneficio del sistema-paese.

Il vincolo di mandato fa leva sull’integrità e l’eredità post evento e su questo Roma deve puntare cambiando decisamente marcia.

A prima vista sembra ci sia un approccio da squadra. Il presidente del CONI Malagò ne parla sempre con decisione e la presentazione della candidatura ne è stata la prova, offrendo Cagliari per la vela e il calcio girovago in più stadi, con Tor Vergata come area di sviluppo urbano. Ahimè ciò che è mancato fin dall’inizio è stato puntare sul know-how di molti di noi che “costruirono” Torino 2006 e non solo, lasciati fuggire all’estero invece di essere ritenuti importanti risorse per il territorio.

Delle candidature, attualmente, vedo decisamente meglio Los Angeles e Parigi, mentre Roma gioca ancora un ruolo da outsider. La parola chiave per ora è perseveranza. Le lobby dovranno fare il resto ma, da italiano, spero che in caso di vittoria si punti su persone che abbiano esperienza nel settore e che abbiano dimostrato di farsi apprezzare in tali contesti organizzativi già da tempo, invece dei soliti raccomandati. Magari questa sarà la volta buona anche se l’esperienza Expo non fa ben sperare.

Dice il titolo di un bellissimo film: “Io? Speriamo che me la cavo!”.

In bocca al lupo Roma 2024!

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