Questo Parlamento non può fare le riforme costituzionali: serve l’Assemblea Costituente in Italia e in Europa

La sentenza della Consulta che ha dichiarato il Porcellum contrario all’ordinamento costituzionale ha affievolito la legittimità politica delle attuali Camere legislative. Occorre separare la vita ordinaria della Repubblica e la necessità di riformare la Carta Fondamentale, per renderla più adatta alla realtà, ma va promosso un processo costituente di portata europea, altrimenti è sempre “erba trastulla”…

Howard Chandler Christy, George Washington presiede la Convenzione di Filadelfia (1940), olio su tela, Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti (fonte Wikipedia)

Lo scorso 5 dicembre, quando la Corte Costituzionale ha emesso la sentenza di “condanna” della legge elettorale chiamata “Porcellum”, nella fregola di arrivare primi in questo ambiente web che ci costringe a rincorrere noi stessi, l’agenzia di stampa TMNews è caduta nel tranello della “tastierite” da cui tutti siamo affetti e ha lanciato il take della notizia (lancio di agenzia, ndr) con un titolo involontariamente comico: «La morte costituzionale ha bocciato il “porcellum”».

Malgrado la titolazione, sappiamo tutti che da quel momento la storia parlamentare del potere legislativo italiano è cambiata. Quel potere legislativo, espresso dal risultato delle ultime consultazioni politiche del febbraio scorso, è stato messo in mora dalla Consulta, al termine di un lungo processo durante il quale le perplessità, le osservazioni e le lacune dei costituzionalisti e dei parlamentaristi di tutte le testate giornalistiche avevano evidenziato il vulnus fondamentale della legge elettorale: lo scollamento tra rappresentanti e rappresentati, questi ultimi partecipanti in alcun modo al processo di selezione dei candidati alle elezioni. Una partecipazione che può attuarsi in due modi: le preferenze sulla scheda elettorale ovvero, in modo indiretto, la scelta dei candidati attraverso le primarie in un collegio elettorale uninominale, che richiederà poi – nel momento della consultazione generale – la scelta dell’elettorato tra uno o più candidati.

Non entro nel merito delle modalità e delle critiche sulle preferenze, regno della clientela e possibile modalità di infiltrazioni dei poteri criminali sulla selezione dei legislatori. Non rientra nell’economia di questo intervento.

Piuttosto, è ineludibile – come frulla nelle orecchie di tutti noi – che questo Parlamento esiti con celerità una legge elettorale, che adempia alle indicazioni generali della Consulta, prima che siano pubblicate le motivazioni della sentenza che dichiara l’illegittimità costituzionale del “Porcellum”. Dopo il Parlamento verrebbe colpito da una paralisi superabile solo con un colpo di mano incostituzionale, perché oltre l’ordinaria amministrazione i legislatori non potrebbero andare.

Il rischio è che il Paese sia bloccato da veti incrociati e continui a sprofondare nella palude dell’immobilismo, ma una cosa va detta con chiarezza: questo Parlamento non può approvare le riforme costituzionali, perché la sua potestà legislativa è affievolita in senso politico e istituzionale.

Il take di TMNews con l'errore di battitura che ha generato un titolo involontariamente comico, ma significativo: la morte costituzionale ha bocciato il "porcellum"
Il take di TMNews con l’errore di battitura che ha generato un titolo involontariamente comico, ma significativo:
la morte costituzionale ha bocciato il “porcellum”

 

 

Anche se il ministro per le riforme costituzionali, Gaetano Quagliarello non sembra avvedersene. In perfetta malafede (visto che è un costituzionalista). «Il governo, se c’è e se ha una maggioranza, si deve mettere d’accordo sulla legge elettorale», ha detto tre giorni fa a SkyTg24, aggiungendo una specie di minaccia: «nei prossimi 10-15 giorni questa maggioranza o trova un accordo… o va in crisi e ognuno si prenderà la sua responsabilità… Diciamo che abbiamo tempo fino a subito dopo la Befana».

«A che ora scade l’ultimatum?» verrebbe da chiedere a Quagliarello.

Le dichiarazioni del ministro per le riforme – tema di cui sentiamo discutere nella politica italiana almeno dagli anni ’80 dello scorso secolo, una vergogna senza mezzi termini – si innestano in un quadro politico connotato da irresponsabilità diffuse e concordanti: tutti parlano della necessità di riformare la Costituzione, ma nessuno dice, afferma con forza, che questo Parlamento non ha la piena legittimità a promuoverle. Le riforme costituzionali attuate da questo Parlamento sarebbero davvero una forma di golpe partitocratico.

Perfino la ventilata riforma dell’articolo 138 della Carta del 1948 ha prodotto una sorta di conformismo generalizzato. Solo il Movimento 5 Stelle e il gruppo di personalità riunitesi attorno a Stefano Rodotà e a Gustavo Zagrebelsky ha manifestato la contrarietà a una modifica che avrebbe stravolto la Costituzione dalle sue fondamenta, trasformandone la natura da rigida in flessibile.

E anche il superamento del bicameralismo perfetto – ossia la parità delle prerogative legislative della Camera dei Deputati e del Senato – più volte ventilato è un atto che travalica la natura delle riforme istituzionali attuabili in modo ordinario, perché cambia la struttura dello Stato come è stato disegnato dai Padri Costituenti.

Per fugare il dubbio che chi scrive sia un pericoloso conservatore, i quattro affezionati lettori della testata sappiano che sono favorevole a una riforma presidenziale della Repubblica italiana, ma con contrappesi istituzionali necessari indispensabili per impedire fughe cesaristiche, se non proprio dittatoriali. E tra i miei riferimenti intellettuali non ci sono pericolosi bolscevichi, ma il gotha democratico della storia recente: uno per tutti, Ronald Reagan.

Un pericolo che corre non solo il Paese, ma l’Europa tutta, se non si cambiano le modalità con cui si sta costruendo un mostro istituzionale, un incrocio bastardo tra uno Stato federale europeo e uno Stato accentratore napoleonico, dove l’Imperatore sarà sostituito all’inizio da un pericoloso comitato, ma in cui alla fine prevarrà il più forte: la Germania.

La cessione di sovranità monetaria sarà seguita a breve dalla perdita di sovranità militare, se si proseguirà nel senso intrapreso che diventerà chiaro nel prossimo Consiglio Europeo Difesa del 19 e 20 dicembre prossimo, con una progressiva europeizzazione della difesa e della sicurezza.

E anche in questo caso, cito una circostanza personale. Ho conseguito la laurea in scienze politiche internazionali discutendo una tesi dell’eloquente titolo: “STATI UNITI D’EUROPA, SUSSIDIARIETÀ E FEDERALISMO”. La mia analisi sul processo di integrazione europea – condotta nel 2000 – partiva dall’osservazione che il funzionalismo su cui si è sviluppata l’unità europea non fosse in grado di elevare il livello di integrazione e di approfondirlo a nuovi settori come la sicurezza e la difesa comune. L’immigrazione, preso come fenomeno sociale allora non avente la dirompenza odierna, è un problema sicuramente sociale, ma che ha indiscutibili aspetti attinenti alla sicurezza e alla difesa di una Comunità. Per questo motivavo l’esigenza insopprimibile di sviluppare il “Secondo Tempo” del film europeo iniziato il 9 maggio 1950 con la “Dichiarazione Schuman”.

Tuttavia, la trasformazione dell’attuale assetto confederale dell’Unione Europea non può essere attuata con mezzi ordinari, ma solo con un Organo Costituente continentale, che delinei una Costituzione e le Istituzioni federali. E questa legge fondamentale europea dovrebbe essere ratificata con referenda statati votati dal popolo sovrano.

Un tema che si riallaccia con prepotenza con quello riguardante le riforme costituzionali necessarie a trarre il Paese dalle sabbie mobili della partitocrazia antistorica.

A mio avviso, se questo Parlamento continuasse sulla via delle riforme costituzionali si aprirebbe una pagina buia della storia parlamentare – e non solo – italiana.

Per evitare slittamenti democratici, occorre che l’attuale corpo legislativo approvi una legge elettorale che risponda ai rilievi della Consulta e poi si vada al voto con celerità. Ma occorrerebbe anche che l’ordinaria amministrazione dello Stato fosse separata dalle riforme, cosa che si può fare solo con la indizione di un’Assemblea Costituente e con l’apertura di una stagione costituente a livello europeo.

Se così non sarà, si riproporrà la situazione denunciata quasi 100 anni fa dal senatore Giovanni Agnelli Sr. e da Attilio Cabiati, in un passaggio che amo molto per dimostrare la stoltezza della massa e la lungimiranza di menti illuminate. Nel pamphlet “Federazione europea o Lega delle Nazioni?”, che richiamava anche l’articolo “La Società delle Nazioni è un ideale possibile?”, pubblicato sul “Corriere della Sera” il 5 gennaio 1918 a firma di Junius (che era lo pseudonimo di Luigi Einaudi), si enunciò fin dal titolo un tema di drammatica attualità, perché oggi l’Unione Europea è più di una “lega di nazioni” e meno di una “federazione europea”. Non è carne e non è pesce, è un organismo trans-istituzionale che ha tutte le criticità e nessuna qualità dei due sistemi, in cui si scorge però un pericoloso vuoto democratico e un eccesso diplomatico.

L’industriale torinese e l’economista ligure scrivevano: «Noi siamo senza esitare di opinione che, ove si voglia effettivamente rendere la guerra in Europa un fenomeno di impossibile ripetizione, una sola è la via aperta, che bisogna avere la franchezza di considerare: la federazione degli Stati europei sotto un potere centrale che li regga e li governi. Ogni altra più attenuata visione non è se non erba trastulla».

Siamo ancora infestati di erba trastulla, in Italia e in Europa.

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