È morto Harry Wu, testimone dell’orrore dei laogai, i campi di lavoro forzato in Cina

Il dissidente ha passato 19 anni in un campo di “rieducazione tramite il lavoro”. Rilasciato, scappò negli Stati Uniti, dove iniziò una battaglia lunga decenni contro il sistema dei laogai. Grazie anche al suo impegno e alla sua testimonianza coraggiosa, Pechino è stata costretta – almeno sulla carta – a chiudere i campi di lavoro forzato. Cattolico, ha parlato molte volte in difesa della libertà religiosa in Cina

Washington – Harry Wu, uno dei dissidenti cinesi più noti nel panorama internazionale, è morto a 79 anni di età mentre si trovava in vacanza in Honduras. Lo ha annunciato l’amministratrice della Laogai Human Rights Organisation, Ann Noonan, che collaborava da molto tempo con lui. Non sono ancora chiare le cause della morte. Il figlio Harrison e l’ex moglie China Lee sono in viaggio per l’America Centrale, dove assisteranno all’autopsia e da dove riporteranno il corpo negli Stati Uniti.

Nato in una famiglia cattolica benestante di Shanghai, che subì le requisizioni maoiste dopo la vittoria comunista del 1949, Wu provò sulla propria pelle la brutalità del regime cinese. Arrestato dalle autorità comuniste nel 1960, mentre studiava geologia all’università, con l’accusa di essere “controrivoluzionario” e “appartenente a un gruppo di studenti cattolici fuorilegge”, fu rilasciato nel 1979 dopo ben 19 anni di detenzione. Solo nel 1985 riuscì a raggiungere gli Stati Uniti e da allora inizia a lottare per il ritorno dei diritti umani nel suo Paese.

Il tragico racconto di quei 19 anni è raccolto in Bitter Winds (1994), memoria delle sue esperienze nei laogai. Il volume è stato tradotto e pubblicato in lingua italiana, col titolo “Contro rivoluzionario. I miei anni nei gulag cinesi” (Edizioni San Paolo) nel 2008. Il testo venne presentato dallo stesso autore al Pontificio Istituto Missioni Estere di Milano.

Divenuto cittadino americano, fu assunto come docente di Geologia dall’Università della California, a Berkeley. Qui iniziò a scrivere un memoriale delle sue esperienze nei laogai e nel 1992 abbandonò l’insegnamento per dedicarsi esclusivamente all’attivismo e alla denuncia delle violazioni dei diritti umani in Cina. A questo scopo fondò la Laogai Research Foundation, organizzazione di ricerca e pubblica educazione non-profit sui campi di lavoro cinesi.

Il sistema di rieducazione forzata ideato dal governo comunista sin dalla sua nascita si divise in laojiao – abbreviazione di “laodong jiaoyang“, rieducazione attraverso il lavoro – e laogai. Entrambi sono stati messi in atto da Mao Zedong dal 1957 per “riformare la mente dei controrivoluzionari e conservatori di destra”.

La condanna al laojiao era sottoposto alla discrezionalità della polizia e non poteva durare più di sei mesi; il laogai invece era comminato attraverso una sentenza e poteva durare decine di anni.

Secondo la Laogai Research Foundation, in Cina fino al 2013 vi erano almeno 1045 laogai, con circa 4 milioni di prigionieri.

Le strutture industriali o agricole dei laogai sono un vero e proprio sistema che contribuisce all’economia cinese. I prigionieri dei laogai non sono pagati.

Wu ha testimoniato diverse volte di fronte al Congresso degli Stati Uniti, alla Camera dei Comuni del Regno Unito, al parlamento tedesco e dell’Australia, alle Nazioni Unite e al Parlamento Europeo, per portare a conoscenza del mondo libero la condizione dei progionieri nel sistema dei lavori forzati cinese, in modo che proibissero la diffusione e la vendita dei prodotti provenienti dai laogai.

Tornò più volte in patria, per raccogliere testimonianze e rapporti sulla reale situazione sociale. Per questo lavoro fu arrestato di nuovo nel 1995 e poi condannato a 15 anni con l’accusa di spionaggio. Tuttavia, un intenso lavoro diplomatico condotto dal Dipartimento di Stato americano consentì di riportato negli Stati Uniti, senza scontare la pena.

Nel 2008 inaugurò a Washington il “Museo del Laogai”, con l’obiettivo di “preservare la memoria delle molte vittime del sistema della rieducazione tramite il lavoro” e di aiutare “a far conoscere al pubblico le atrocità commesse dal regime comunista cinese”.

Anche grazie all’impegno di Wu, nel 2013 il governo di Pechino annunciò la chiusura del sistema dei laogai, benché non seguirono fatti concreti nell’immediato, nel giro di due anni i campi vengono ufficialmente dismessi.

Harry Wu, da cattolico, si impegnò anche a favore della libertà religiosa, per l’abolizione della pena di morte. Elevò il suo sdegno per la pratica orribile del prelievo forzato degli organi dai condannati a morte, ma si espresse contro le politiche di controllo della popolazione cinese, spesso adottate con forme coercitive dalla nomenclatura comunista. Sostenne anche altri prigionieri politici, come il Dalai Lama e il Premio Nobel per la Pace 2010 Liu Xiaobo, che sta scontando in Cina una pena detentiva per aver sostenuto la necessità di introdurre riforme politiche.

Era un vero eroe e il suo lavoro continuerà. Non si fermerà mai”, ha affermato Ann Noonan.

(Credit: AsiaNews, agenzie) © RIPRODUZIONE RISERVATA

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