Il vaccino inglese. Considerazioni sulla #Brexit e sulla malattia che affligge l’Europa
L’Unione Europea è affetta da merkelite tedesca, una forma grave di narcisismo egemonico, teso alla conquista dell’Europa in modo diversamente pacifico. I britannici – più inglesi e gallesi che nordirlandesi e scozzesi – hanno reagito in modo non netto, ma significativo. La paura dell’instabilità può produrre in alternativa la morte del malato o la sua guarigione. Al momento il malato è in peggioramento junckeriano…
Il popolo britannico ha votato due giorni fa per il recesso del Regno Unito dall’Unione Europea e subito gli incoscienti e gli ignoranti si sono profusi in dichiarazioni stupide, pericolose e significative della reale posta in gioco, la democrazia in Europa.
Sul tema, tante riflessioni sono state esposte, noi proviamo a inoculare qualche dubbio, con alcune sintetiche considerazioni.
La prima riguarda la scarsa conoscenza del diritto costituzionale britannico di molti giornalisti, di molti commentatori e perfino di sedicenti statisti nazionali e comunitari (se pensate a Renzi e Juncker avete ragione, ma non sono i soli: ed è questo il dramma).
La Costituzione inglese non è scritta, ma si fonda sui principi generali del diritto britannico e sulla tradizione. Il ‘referendum’ popolare è un istituto meramente consultivo, che serve a capire se il Legislatore (la Camera dei Comuni) è in linea con il ‘comune sentire’ su un preciso aspetto.
Quindi, l’esito referendario è solo un’indicazione, che deve essere ‘ratificata‘, fatta propria, dai membri della Camera dei Comuni, in cui il Governo Britannico rappresenta la maggioranza parlamentare (di coalizione o non) uscita vincente dalle ultime elezioni, fondamento del mandato a governare formalmente conferito da Sua Maestà la Regina Elisabetta II. Il Governo peraltro si confronta con lo Shadow Cabinet of Her Majesty (il ‘Governo Ombra’ dell’opposizione parlamentare), che ha uno statuto preciso e poteri di controllo.
In questo scenario, il referendum di giovedì – visto l’esito non netto (51,95 leave – 48,05 remain) – ha avuto un esito non netto che può (deve) essere interpretato anche alla luce di altri scenari non parlamentari (esempio, la sicurezza e la difesa nazionale).
In virtù del probabile esito referendario incerto, come seconda considerazione dobbiamo rilevare che proprio la spaccatura trasversale dell’elettorato britannico (a prescindere dalle differenziazioni di posizione di Ulster, Scozia, Galles e Inghilterra, le quattro comunità nazionali del Regno Unito) aveva spinto il leader dell’UKIP, Nigel Farage, a chiedere un secondo referendum di conferma nel caso di risultato non netto. Questo può accadere proprio perché il referendum non ha valore ‘normativo’ nell’ordinamento giuridico costituzionale britannico.
In terzo luogo, il Primo Ministro David Cameron ha usato il tema #Brexit dall’Unione Europea per coagulare consenso elettorale e mettere all’angolo l’avversario interno Boris Johnson. Un errore, se si considera la posizione europeista del leader Tory, che contava così di depotenziare l’effetto Ukip sull’elettorato britannico.
In quarto luogo, il voto referendario è stato un modo per reagire alle assurde decisioni della Commissione Europea sul tema ‘immigrazione’, a prescindere dall’impatto che questa ha già avuto per la Gran Bretagna.
I britannici hanno posto una questione di metodo, prima che di merito. Se le frontiere esterne dell’UE sono comuni, ma non vengono difese perché alcuni Stati – apertis verbis Italia e Grecia – schierano le rispettive Marine Militari per andare a recuperare immigrati non aventi diritto di entrare in Europa (e non solo profughi di guerra e perseguitati), lo scenario che ne consegue è che un’aliquota di burocrati non designati dal popolo europeo (i membri della Commissione) possono assumere decisioni contrarie allo stesso popolo. Una follia.
Se gli italiani e i greci sopportano questo modo di governare un’invasione in fieri, i britannici sanno che il multiculturalismo è fallito nella loro patria e ha prodotto più pericoli che opportunità, soprattutto perché le opportunità sono spesso invisibili, immerse nella vita quotidiana delle persone pacifiche, mentre i pericoli sono evidenti e di matrice prevalentemente islamista.
L’Unione Europea deve perciò cambiare, perché non serve un ‘carcere finanziario’ o un’oligarchia che comanda la massa informe di popolo, ma una Comunità di Destini governata con mandato popolare sovrano: l’assenza della Gran Bretagna da questa Comunità di Destini darebbe all’Unione Europea un connotato tedesco.
Del resto, i britannici sanno che il potere assoluto va reso inoffensivo per la sicurezza delle persone con un vestito preciso, norme costituzionali che i sudditi di Sua Maestà si sono dati 100 anni prima della Rivoluzione Francese, nel 1689, anno in cui fu inventata la democrazia moderna e contemporanea, alla fine della II Gloriosa Rivoluzione Inglese (e per farlo andarono nelle Province Unite – Olanda – a scegliersi un re che non appartenesse alle famiglie nobiliari in lotta tra loro da quattro secoli. Quel re fu Guglielmo III d’Orange, già Statoholder delle Sette Province Unite e poi Re d’Inghilterra e successore del proprio zio e suocero Giacomo II Stuart d’Inghilterra, ultimo re cattolico).
Ancora, quinta considerazione, il Governo britannico con il nuovo Primo Ministro (viste le dimissioni di David Cameron) potrebbe scegliere di non seguire le indicazioni del referendum e non presentare formale domanda di recesso, come da procedura indicata nell’Articolo 50 del Trattato di Lisbona.
Le dimissioni del Commissario Europeo alla Stabilità Finanziaria Jonathan Hill – immediatamente accettate dal presidente della Commissione – potrebbero indicare una volontà britannica di accelerare il processo, ma la reazione popolare in Gran Bretagna sembra indicare un risveglio della parte più moderna del Paese (in modo trasversale), favorevole all’UE, e potrebbe spingere a un colpo di scena, tenuto conto che la #Brexit potrebbe perfino mettere a rischio l’unità dello Stato, considerate le istanze separatiste espresse subito dalla Prima Ministra nordirlandese, Arlene Foster, e dalla Prima Ministra scozzese, Nicola Sturgeon.
In questo scenario, il nuovo Primo Ministro (George Osborne? Theresa May?) potrebbe invocare motivi di sicurezza nazionale e indire un secondo referendum consultivo – ipotesi come detto contemplata in passato dal leader dell’Ukip, Nigel Farage, come ha ricordato ieri Tanveer Mann in un articolo su ‘Metro’ (Remember that time Nigel Farage said 52-48 votes should lead to second referendum?) nell’ipotesi che la consultazione non superasse il 75% degli aventi diritto – o perfino congelare ogni decisione e attendere che gli eventi maturino in modo più realista, per evitare la frammentazione del Paese e un effetto domino in Europa, che già rende felici i nostri nemici islamisti.
Infine, sesta considerazione, il vero risultato netto ed evidente del referendum (consultivo) britannico è aver fatto emergere la protervia tedesca e la superbia istituzionale della Commissione Europea, alla cui guida è stato posto Jean-Claude Juncker come pupazzo che parla con la voce del ventriloquo proprietario, la cancelliera tedesca Angela Merkel.
Subito le dichiarazioni di Juncker e del ministro degli Esteri tedesco, Frank-Walter Steinmeier, sono state di tenore gravissimo, volte ad accelerare l’iter di uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, pur sapendo che la procedura comunitaria è complessa e richiede un tempo congruo (due anni), perfino prorogabile; e che il diritto costituzionale del Regno Unito non attribuisce potestà normativa ai referendum popolare.
Parole gravi che servono da diagnosi: l’Unione Europea è malata di merkelite tedesca, una forma di narcisismo istituzionale e geopolitico che tende all’egemonismo cronico.
Per questo, mettere in discussione l’Unione Europea serve come presa d’atto di una malattia che investe tutti noi e che ammorba l’Europa. Forse i britannici sono come i medici di frontiera, che di fronte a una malattia nota, ma dai risvolti esiziali, provano un ultimo tentativo inoculando un vaccino.
Il vaccino può ammazzare il corpo malato dell’Europa (affetta da merkelite tedesca) o farlo guarire dalla malattia. Sarà il tempo a dirci se prevarrà la follia o il realismo intelligente.
Un dato è certo: se gli Stati dell’Europa vogliono contare nel mondo, non hanno altra scelta che unirsi in modo costituzionale, perché neanche la Germania avrebbe capacità di agire da sola nell’odierno mondo globalizzato (e contro un nemico mobile come l’islamismo jihadista, che è il comune nemico della civiltà).