Pinotti: “evitare che Isis arrivi in Libia. Abbiamo bisogno di interlocutori”. Il Parlamento eletto democraticamente non basta?

“Necessario costruire una stabilizzazione nel Paese”, dice la ministra della Difesa, che però non indica come perseguire lo scopo

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Roma – Ieri la ministra della Difesa, Roberta Pinotti ha partecipato all’ideale concorso per titoli e dichiarazioni indetto per coprire le funzioni di capo della Farnesina, il ministero degli Esteri che presto sarà lasciato da Federica Mogherini, la nominata Lady Pesc dell’Unione Europea. Così, la professoressa di lettere genovese (e senatrice transeunte della Repubblica) ha affermato che per evitare l’infiltrazione dell’Isil (Islamic State of Iraq and Levant) in Libia, occorre “trovare un’interlocuzione” che faciliti una “stabilizzazione” nel Paese nord-africano.

Un’affermazione a metà tra la tautologia e le verità del filosofo Catalano di arboriana memoria. E infatti è proprio così.

“Noi”, ha aggiunto Pinotti intervistata da RaiNews 24 in Albania, “abbiamo aderito alla coalizione contro l’Isis, siamo già intervenuti inviando armamenti ai curdi” e per il seguito di questa storia “vedremo se ci saranno nuove necessità, l’ho detto anche in audizione al Senato”, ha spiegato la titolare della Difesa, che poi ha ammonito: “non dobbiamo dimenticare però che ci sono delle situazioni nelle quali per ora non è possibile intervenire, perché c’è una situazione fuori controllo come la Libia, ma noi speriamo che si possa trovare un’interlocuzione per aiutare la Libia a non diventare un altro punto della strategia dell’Isis, ma poter invece diventare una nazione nella quale si riesce a costruire una stabilizzazione”.

L’Italia, ha ricordato ancora la ministra, aveva “già formato le truppe libiche. Attualmente ci siamo fermati perché non c’era possibilità di avere un’interlocuzione su questo, ma siamo ovviamente disponibili a riprendere il nostro ruolo per stabilizzare quella realtà”.

Senonché, il problema è complesso, ma un interlocutore per l’Italia, l’Europa e la Comunità Internazionale in Libia esiste: è il Parlamento legittimo, eletto il 25 giugno scorso in una situazione di gravi minacce all’esercizio del voto, che però non hanno dissuaso la popolazione dal partecipare al processo democratico che ha visto le forze liberali e non islamiste prevalere.

I movimenti islamisti e filo-jihadisti pensavano di approfittare del processo elettorale per impossessarsi della Libia, come avvenuto in altre realtà, a Gaza nel 2006 per esempio. Ma il popolo libico ha dato dimostrazione di aver imparato la storia e ha preferito di gran lunga forze che – anche con differenti interpretazioni – si possono definire liberali, democratiche, mentre sui 200 seggi del Parlamento solo 30 sono andati agli islamisti.

Ne consegue che l’interlocutore naturale dell’Italia sia solo e unicamente il Parlamento legittimo, che è costretto a riunirsi a Tobruk a causa dell’insurrezione jihadista che nel frattempo ha messo a ferro e fuoco mezzo Paese, precipitando la capitale Tripoli sull’orlo dell’abisso.

Un modo di stabilizzare la Libia ci sarebbe: una missione internazionale di una coalizione di Stati volenterosi – guidata dall’Italia – che intervenga a sostegno del Parlamento legittimo e delle istituzioni democratiche. Un intervento internazionale difficile da realizzare con l’avallo delle Nazioni Unite (in considerazione dei pessimi rapporti tra Occidente e Russia, che metterebbe il veto al Consiglio di Sicurezza), più facile con la “copertura” tecnica della NATO, ma non sotto l’egida NATO, visti i tragici errori fatti dall’Alleanza Atlantica (e dalla Francia guidata da Sua Bassezza Nicolas Sarkozy) nel 2011. 

Tuttavia, dubitiamo che l’Italia possa promuovere una soluzione di questo tipo, per almeno due motivi. Anzitutto, perché nel Governo italiano prevale l’idea stupida che lo strumento militare serva solo per condurre operazioni di assistenza umanitaria e che ingaggiare un’operazione militare in una zona così vicina all’Italia sia disdicevole (anche se indirettamente volta alla difesa degli interessi del Paese: la stabilità libica è un interesse strategico dell’Italia). In secondo luogo, i tagli al bilancio della Difesa degli ultimi 30 anni (quindi con decisioni che richiamano la responsabilità di tutto il Paese e di tutte le forze politiche) stanno mettendo in seria difficoltà la funzionalità dello strumento militare e in proiezione mettono in pericolo la capacità dell’Italia di provvedere alla propria sicurezza. Il Governo preferisce la demagogia alle decisioni coraggiose (e necessarie), per questo in Libia non sappiamo di avere già un interlocutore (o meglio, facciamo finta di non vederlo).

Nella lotteria che in questi giorni si sta svolgendo per individuare il nuovo ministro degli Esteri, Lapo Pistelli e Roberta Pinotti (dati per possibili nuovi titolari della Farnesina) sembrano fare a gara ad avventurarsi in dichiarazioni inutili. Una dimostrazione delle inadatte qualità di governo dell’attuale compagine governativa.

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