Don Giorgio De Capitani, un grande ignorante (in diritto internazionale)

Il controverso sacerdote lecchese nei giorni scorsi è intervenuto per commentare, in modo spesso maleducato, la vicenda che coinvolge Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, fucilieri della Brigata “San Marco” bloccati in India per una controversia internazionale in cui l’Italia è parte lesa e l’India viola il diritto internazionale che ha sottoscritto. Cose che De Capitani non sa, ma il prelato pretende una sorta di immunità patrimoniale: dice quel che pensa, perché non ha niente da perdere. Non è il massimo dell’inciviltà? – Le parole di don De Capitani

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Nel trattare le affermazioni di don Giorgio De Capitani, sacerdote lecchese con toni da imam jihadista, non mi soffermerò sull’eleganza delle sue parole: non c’è eleganza. Non mi soffermerò sulla delicatezza del suo eloquio: non c’è delicatezza. Non analizzerò la sua apologia del comunismo, perché di un sacerdote che esalta un’ideologia totalitaria che ha prodotto oltre 100 milioni di morti, molti in abito talare, dovrebbe occuparsi un servizio sanitario pontificio: non certo per metterlo a tacere, quanto per utilizzarlo come vaccino per la prevenzione della “panzanite”, quella malattia che spinge a diffondere le panzane, utilizzando l’apparato vocale donato all’Uomo da Nostro Signore come strumento di esercizio dell’intelligenza umana (non sempre accade, ma dipende dall’uomo, non certo da Dio).

20140908-decapitani-ignorare-312Mi soffermerò sul fatto che De Capitani è un grande ignorante (participio presente del verbo “ignorare”): in materia giuridica internazionale (e perfino nazionale). Egli ignora la materia su cui si è soffermato, peccando di superbia e presunzione (ma questo sta ad Altri rilevarlo: non è materia mia), offendendo una ragazza che ha solo due colpe: essere giovane e affidare i propri pensieri istintivi a un social media, non all’analisi ragionata che dovrebbe essere patrimonio delle persone più adulte.

Nel primo post su Facebook del 2 Settembre scorso, don De Capitani scrive alcune inesattezze gravi, perché proferite da una persona (teoricamente) matura e conscia che affermare in pubblico inesattezze comporta una responsabilità: etica, in questo caso. Questione di “faccia”, ma pare che alla faccia il don non ci tenga molto.

Anzitutto, penso che tu sappia ciò che ha combinato tuo padre. Non intendo accusarlo. Spetta alla legge indiana stabilirne la colpevolezza. Comunque, non mi sembra che stesse per difendere la Patria italiana. I veri patrioti sono di ben altro calibro! […] E tu non accusare gli extracomunitari che non rispettano le leggi italiane! Tuo padre ha forse rispettato la legge indiana? Quando una persona è fuori dell’Italia chi è? Non fa parte degli extracomunitari? […]

Non spetta alla legge indiana giudicare i fatti in cui è coinvolto il Nucleo Militare di Protezione comandato da Massimiliano Latorre, dispiegato a protezione della petroliera “Enrica Lexie” nel quadro di un’azione internazionale (promossa dalle Nazioni Unite) contro la pirateria marittima. A differenza degli altri Stati occidentali (e moderni), che hanno riservato questa attività di scorta alle aziende private di sicurezza, l’Italia (infestata di statalismo cialtrone e anche un po’ coglione) ha deciso con il D.Lgs 130/2011 (approvato dal Parlamento e non dal ministro pro tempore della Difesa, Ignazio La Russa) di impegnare la Marina Militare in tali attività, (1) ritenendo pericoloso che il Paese abbia società di sicurezza privata attrezzate con armi pesanti (ci sarebbero da rivedere alcune leggi in materia e, anzitutto, il Testo Unico di Pubblica Sicurezza), (2) rilevando interessi primari di sicurezza (energetica, prevalentemente) nazionale.

La Legge 130/2011 ha peraltro sollevato qualche perplessità sulla conformità comunitaria, perché limita la concorrenza e impone il monopolio di un servizio di scorta a un’Arma dello Stato, con violazione dei principi comunitari. Servizio che gli armatori, va detto, pagano a titolo di rimborso spese: quindi non pagano un servizio.

Questa premessa è utile per confutare l’affermazione di don De Capitani in cui fa riferimento all’eroicità di 20140908-gdecapitani-312x207Massimiliano Latorre: Latorre, Girone e gli altri militari presenti sull’Enrica Lexie svolgevano un servizio richiesto e ordinato dallo Stato italiano, godendo della cosiddetta “immunità funzionale” riconosciuta ai militari (tutti, non solo italiani) dal diritto internazionale (pubblico) consuetudinario vigente, che è la fonte primaria delle norme internazionali (mentre i trattati e le convenzioni sono fonti giuridiche secondarie). Il principio dell’immunità funzionale è peraltro previsto dalla Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche (firmata nella capitale austriaca il 18 aprile 1961), trattato considerato una specificazione ulteriore della norma generale consuetudinaria.

Sul primo punto – “Spetta alla legge indiana stabilirne la colpevolezza” – don De Capitani afferma il falso senza alcuna consapevolezza e conoscenza. Il fatto controverso – l’uccisione dei due poveri pescatori indiani al largo del Kerala, ipoteticamente scambiati per pirati marittimi – è avvenuto in acque internazionali (circostanza acclarata e incontestata perfino dall’autorità giudiziaria indiana), dunque sotto il vigore delle norme e dei principi dell’UNCLOS (United Nations Convention on the Law of the Sea), convenzione internazionale sul diritto del mare firmata sotto l’egida delle Nazioni Unite il 10 Dicembre 1982 a Montego Bay, di cui Italia e India sono firmatari e parti (avendo proceduto alla rispettiva ratifica).

Anzitutto, l’ambito di applicazione è determinato, in premessa, dall’articolo 86 di UNCLOS, che statuisce: “Le disposizioni della presente parte si applicano a tutte le aree marine non incluse nella zona economica esclusiva, nel mare territoriale o nelle acque interne di uno Stato, o nelle acque arcipelagiche di uno Stato-arcipelago. Il presente articolo non limita in alcun modo le libertà di cui tutti gli Stati godono nella zona economica esclusiva, conformemente all’articolo 58”.

Peraltro, in quella situazione l’India aveva tutto il diritto di richiedere all’Italia – stato di bandiera della petroliera “Enrica Lexie” – l’applicazione delle norme stabilite dal successivo articolo 94 (Obblighi dello Stato di bandiera) e, in particolare, dei commi 6 e 7:

“6. Qualunque Stato abbia fondati motivi per ritenere che su una nave non sono stati esercitati la giurisdizione e i controlli opportuni può denunciare tali omissioni allo Stato di bandiera. Nel ricevere la denuncia, lo Stato di bandiera apre un’inchiesta e, se vi è luogo a procedere, intraprende le azioni necessarie per sanare la situazione.

7. Ogni Stato apre un’inchiesta che sarà condotta da o davanti a una o più persone debitamente qualificate, su ogni incidente in mare o di navigazione nell’alto mare, che abbia coinvolto una nave battente la sua bandiera e abbia causato la morte o lesioni gravi a cittadini di un altro Stato, oppure abbia provocato danni seri a navi o installazioni di un altro Stato o all’ambiente marino. Lo Stato di bandiera e l’altro Stato cooperano allo svolgimento di inchieste aperte da quest’ultimo su uno qualunque di tali incidenti”.

La procedura è stata rispettata dall’Italia, che ha collaborato alle indagini più di quanto avrebbe dovuto, rispettando l’obbligo generale di comportamento in buona fede sancito dall’articolo 300 dell’UNCLOS (Good faith and abuse of rights, Buona fede e abuso del diritto), che recita:

States Parties shall fulfil in good faith the obligations assumed under this Convention and shall exercise the rights, jurisdiction and freedoms recognized in this Convention in a manner which would not constitute an abuse of right

“Gli Stati parte (del trattato, ndr) adempieranno in buona fede agli obblighi assunti nell’ambito della presente Convenzione ed eserciteranno i diritti, la giurisdizione e le libertà riconosciuti nella presente Convenzione in modo tale che non costituiscano una di diritto”.

Infine, sulla panzana della competenza giudiziaria indiana propalata da don De Capitani, la parola definitiva (atteso il luogo in cui si sono svolti i fatti: acque internazionali), interviene l’articolo 97 UNCLOS, che stabilisce esplicite norme sulla “Giurisdizione penale in materia di abbordi o di qualunque altro incidente di navigazione” (Penal jurisdiction in matters of collision or any other incident of navigation).

  1. In the event of a collision or any other incident of navigation concerning a ship on the high seas, involving the penal or disciplinary responsibility of the master or of any other person in the service of the ship, no penal or disciplinary proceedings may be instituted against such person except before the judicial or administrative authorities either of the flag State or of the State of which such person is a national.
  2. In disciplinary matters, the State which has issued a master’s certificate or a certificate of competence or licence shall alone be competent, after due legal process, to pronounce the withdrawal of such certificates, even if the holder is not a national of the State which issued them.
  3. No arrest or detention of the ship, even as a measure of investigation, shall be ordered by any authorities other than those of the flag State.
  1. In caso di abbordo o di qualunque altro incidente di navigazione in alto mare, che implichi la responsabilità penale o disciplinare del comandante della nave o di qualunque altro membro dell’equipaggio, non possono essere intraprese azioni penali o disciplinari contro tali persone, se non da parte delle autorità giurisdizionali o amministrative dello Stato di bandiera o dello Stato di cui tali persone hanno la cittadinanza.
  2. In ambito disciplinare, lo Stato che ha rilasciato la patente di capitano o un’idoneità o licenza è il solo competente, dopo aver celebrato un regolare processo, a disporre il ritiro di tali documenti, anche nel caso che il titolare non sia cittadino dello Stato che li ha rilasciati.
  3. Il fermo o il sequestro della nave, anche se adottati come misure cautelari nel corso dell’istruttoria, non possono essere disposti da nessuna autorità che non sia lo Stato di bandiera“.

La competenza giudiziaria appartiene all’Italia e, in particolare, alla procura di Roma, competente per i reati commessi dai cittadini italiani all’estero. Le indagini per appurare se Latorre e Girone abbiano ucciso – seppure in condizioni particolari – due poveri pescatori indiani devono essere svolte dalla procura di Roma. L’eventuale processo deve essere svolto da una Corte del tribunale di Roma, non dall’India e da un tribunale indiano.

Se c’è uno Stato che ha violato il diritto internazionale, quello Stato è l’India: con la complicità di organi dello Stato iItaliano, su cui dovrebbe indagare la magistratura competente per i reati perpetrati da funzionari dello Stato e da membri del Governo.

Vi sono reati evidenti commessi da organi costituzionali e di rilevanza costituzionale, come denunziato dall’ex ministro degli Esteri Giulio Terzi, in una recente intervista al quotidiano “Libero” (QUI).

Dunque, sulle affermazioni contenute nel primo post rivolto a Giulia Latorre, don Giorgio De Capitani ha scritto una serie irresponsabile di inesattezze, cui si sono accodati ingoranti (in diritto internazionale) come lui: seguendo il suo modo di parlare e commentare, si potrebbero chiamarle “vergognose minchiate”. Preferiamo definirle “inesattezze” fondate sull’ignoranza evidente per una materia che il sacerdote lecchese non conosce: il diritto internazionale. Non è una colpa in generale, lo diventa quando si sbandierano opinioni legittime, infondate e smentibili con minimo sforzo.

Sul secondo post pubblicato su Facebook il 5 Settembre, vorrei soffermarmi solo su tre affermazioni di don De Capitani.

La prima: “ciò che ho scritto lo pensa la maggior parte degli italiani, anche se non lo dicono apertamente, perché magari temono i giudizi o le minacce di gente squilibrata“. Non so se De Capitani ha il fiuto di Nicola Piepoli, statistico e ricercatore tra i più noti, o l’acume analitico di Alessandra Ghisleri, la preferita dall’odiato Berlusconi (un sacerdote cattolico che odia mi pare una contraddizione in termini, ma ho deciso di non occuparmi delle questioni ecclesiastiche: se sta bene al suo vescovo, chi sono io per contestarlo?), ma è lecita una domanda: sulla base di quale dato De Capitani pensa che la maggior parte degli italiani la pensi come lui? Non è un po’ presuntuoso (ritorna questa sua qualità…)?

Quanto alle “minacce di gente squilibrata”, effettivamente qualche post su Facebook non risponde analiticamente alle inesattezze dette da De Capitani, ma si lancia in sfoghi istintivi, con ricorso al turpiloquio. Turpiloquio fomentato dal jihadista con la tonaca De Capitani (ma non per questo turpiloquio giustificabile).

La seconda:ho scritto esattamente ciò che penso, e, siccome non ho nulla da perdere, non me lo sono tenuto per me, ma l’ho detto pubblicamente“. Quindi De Capitani evoca il diritto di dire ogni nefandezza che passi per la mente se non si ha nulla da perdere? Se si è coperti da una specie di immunità patrimoniale dipendente dal non avere denari da colpire con querele, beni da far sequestrare per rifondere danni da diffamazione?

Non è questa forse una forma di barbarie civile? Non è un modo incosciente e incivile di agire?

Infine, la terza affermazione che voglio commentare è: “Lo sapete che si tratta di militari pagati per difendere con le armi gli interessi economici di qualche multinazionale? E tu, caro Gino Strada, che cosa dici? E vorrei fare una domanda anche ai nostri ambientalisti: si parla di una “petroliera” difesa dalla Marina italiana! Che ne dite?“.

Nella fattispecie, le petroliere sono difese con le armi dall’attacco di pirati marittimi, che non hanno esitato a uccidere persone per impossessarsi del carico e lucrare ingenti riscatti, con cui condurre il jihad, non per sfamare la popolazione indigente. E le petroliere servono a portare il petrolio con cui produrre anche l’energia elettrica utilizzata da don De Capitani per accendere il computer, registrare i suoi sermoni jihadisti leninisti, scrivere su Facebook ogni sorta di imprecisione, panzana, falsità.

L’ignoranza (sconoscenza) di don De Capitani è smontabile: basta solo perdere il tempo per confutarla punto su punto. Per le parole maleducate, per le volgarità, per le follie fondamentaliste comuniste, sono io a chiedere al Signore, in ginocchio, clemenza per questo sacerdote che dovrebbe semplicemente parlare di cose che conosce.

E di diritto internazionale don Giorgio De Capitani non sa un bel nulla. È un grande ignorante (participio presente del verbo “ignorare”)…

Ultimo aggiornamento 12/09/2014, ore 16:13:44 | © RIPRODUZIONE RISERVATA